Pavese, Cesare - La luna e i falò

white89

InLove Member
Grazie ....forse perchè ci sono cresciuta e ho vissuto il susseguirsi delle stagioni contadine :mrgreen:,ora però stà perdendo colpi anche lei.:W

Anche io ci sono cresciuta e mi dispiace che molte cose vadano perdute...ma forse il problema sta anche nel fatto che noi non siamo più gente "semplice e solida" come i nostri nonni.....la campagna pretende grande sacrificio, chi è ancora disposto a farlo??
 

Peggy

New member
A me questo libro ha trasmesso solo nostalgia!! non mi ha entusiasmato per quanto riguarda la storia,ma mi hanno colpito molto le descrizioni dei paesaggi,è stato come vederle e sentirne gli odori! senza dubbio un classico da leggere!!
 

Denni

New member
Finito da poco di leggerlo...e vorrei ricominciarlo! E' il libro più "saporito" che ho letto fino ad ora...è semplice e intriso di ricordi odori e identità! E' il primo libro che ho letto di Pavese...e se il suo scrivere è questo bè l'ho adorato!
 

pigreco

Mathematician Member
Finito da poco di leggerlo...e vorrei ricominciarlo! E' il libro più "saporito" che ho letto fino ad ora...è semplice e intriso di ricordi odori e identità! E' il primo libro che ho letto di Pavese...e se il suo scrivere è questo bè l'ho adorato!

A mio parere La casa in collina è ancora più intenso. Leggilo, ti piacerà.
 
P

~ Patrizia ~

Guest
La luna e i falò è un romanzo di ampio respiro con movenze da poema in prosa.
In gran parte autobiografico, una sorta di testamento simbolico prima del suicidio, espressione di ansia interiore volta alla ricerca e conferma d'identità.
I temi più importanti del senso dell'esistenza, della memoria, della solitudine e della morte prendono forma da evocazioni semplici eppur suggestive, tradotte con uno stile personale, calcolato e sicuro.
In un'atmosfera di totale sospensione, la disperazione finale, non detta ma sottintesa.

Insieme a "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", per me, la più intensa e toccante testimonianza della sensibilità di uno scrittore che si congedò con queste parole: "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi."
Chapeau!
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Il minigruppo con Minerva6 (se qualcuno lo legge stia attento agli spoiler) è stata una bellissima esperienza forumlibrosa, anche perchè questo è un libro che offre tantissimi spunti di riflessione e che trasmette varie sfumature di sensazioni; anch'io ne leggerò certamente altri di Pavese.
Un senso di nostalgia malinconica pervade tutto il romanzo - nel quale luoghi, sensazioni, atmosfere e odori vengono descritti così bene che sembra di esserci - fino alla parte finale, quando si percepisce più forte la rabbia e il disorientamento dell'autore, che si toglierà la vita non molto tempo dopo.
I ricordi del passato si alternano ai fatti del presente; la nostalgia di un tempo difficile, vissuto da spettatore ma nella speranza di un futuro migliore, contrasta e al tempo stesso si fonde con la rassegnazione attuale, nel momento in cui quel futuro è diventato presente e non somiglia a quello agognato. Bellissimo il personaggio di Nuto, che cresce con le lotte partigiane e non smette mai di indignarsi, pur facendo scelte diverse da quelle del protagonista.
Non lascia molte speranze, ma vale la pena di leggerlo. Molto bello.
 

skitty

Cat Member
Immagini e pensieri molto delicati, disarmanti nella loro semplicità, eppure che scuotono un'emozione in noi leggendo, risvegliando i sensi e la voglia di riscoprire le origini.
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”
“E' un caldo che mi piace, sa un odore: ci sono dentro anch'io a quest'odore, ci sono dentro tante vendemmie e fienagioni e sfogliature, tanti sapori e tante voglie che non sapevo più d'avere addosso.”
“Nuto l'ha molto quest'idea che una cosa che deve succedere interessa a tutti quanti, che il mondo è mal fatto e bisogna rifarlo.”
“I veri acciacchi dell'età sono i rimorsi...”
“ Sarebbe bella, pensavo, se mio figlio somigliasse a mio padre, a mio nonno, e così mi vedessi davanti finalmente chi sono.”

Mi è piaciuto molto il percorso di vita del protagonista, il suo mettere da parte le cose imparate e cercare sempre di essere migliore.
Voto 5.
 

LowleafClod

e invece no
Ho finito di leggerlo ora, ho ancora bene impresse le sensazioni che mi ha lasciato.
Un susseguirsi di immagini che si intrecciano coi sensi, in questo libro si riesce a vedere, ad assaporare, a percepire, perfettamente con la mente il paesaggio descritto in ogni suo aspetto, come se fossimo presenti realmente.
La storia mi fa pensare a ciò che ci si lascia alle spalle, che cambia inevitabilmente: una volta che si vuole ritornare e ritrovare ciò che si è lasciato, ci si rende conto che nulla è rimasto come prima.
Le feste del paese e i suoi falò, rimarranno segnati dal tempo e dalla guerra, una guerra che ha segnato quelle terre peggio della miseria, e che ha trasformato quei falò in un letto di morte.

Libro fantastico, pieni voti!!
 

nitina

New member
Ho letto La luna e i falò perchè sono anni che ne leggo citazioni... ero incuriosita e affascinata...
effettivamente mi ha rapito. Ho respirato un'atmosfera nostalgica, sapori di vita di paese.
Un pò mi ha rimandato a Verga.
Il protagonista (il romanzo è evidentemente autobiografico) torna al paese natìo (che poi natìo non è perchè lui è in realtà un "bastardo") dopo aver vissuto a Genova e in America. Si avverte il dolore della guerra, gli abusi della dittatura e della resistenza... l'amarezza e la povertà del dopoguerra.
L'immagine di Cinto mi è rimasta nel cuore e non mi aspettavo assolutamente che la narrazione si concludesse con un evento così crudo e imprevedibile.
Era il mio primo di Pavese...beh, di certo non sarà l'ultimo. :HIPP
 

balindes

New member
E' l'ultimo romanzo di Pavese e sebbene non sia una autobiografia ci sono moltissimi elementi autobiografici rispetto ad altre sue opere. Il rapporto col passato e la riscoperta dei luoghi della memoria sono gli elementi principali di questo grande romanzo. A me ha lasciato una profonda nostalgia, mi ha riportato al passato, un passato che segna indelebilmente il nostro presente.
 

Jessamine

Well-known member
Tanto per cambiare, questa è una recensione per me difficile da scrivere.
Lo so, lo dico praticamente all'inizio di ogni mia recensione, ma in questo caso è particolarmente vero. Basti pensare al fatto che solitamente preferisco scrivere le mie opinioni abbastanza "a caldo", entro pochi giorni dalla fine della lettura, mentre in questo caso sono passati più di dieci giorni senza che mi decidessi a scrivere nemmeno una riga. E tutt'ora non sono certa di quali siano le parole più adatte da utilizzare per descrivere le sensazioni che questa lettura mi ha dato.
È un romanzo verso il quale nutrivo grandissime aspettative, perché sembrava avere tutti gli elementi che di solito fanno entrare un libro nel mio cuore: una scrittura malinconica, una prosa evocativa e delicata, al confine della poesia, riflessioni e ricordi. È un romanzo che parla di ritorni, ritorni al proprio paese, alle proprie origini, al sostrato della propria natura; un ripiegarsi in sé stessi per sovrapporre la propria immagine attuale con quella da cui si era partiti. Ecco, è un romanzo che parla di ritorni, del fare i conti con quello che si è stati, che si è lasciato o si è ritrovato, e io l'ho letto in un momento particolare della mia vita in cui mi sento totalmente "in partenza" (non sto parlando di partenze e ritorni fisici, sia chiaro, è un discorso che resta sul piano emotivo e psicologico). Non credo sia tanto - o per lo meno, non solo -una questione anagrafica, ma più che altro di esperienze e di situazioni: in questo particolae momento della mia vita io mi sento estremamente proiettata verso l'esterno, lontanissima da questo moto di ritorno, di ripiegamento su sé stessi, dunque immagino che non fosse questo il momento adatto per leggere un romanzo del genere. Sicuramente lo prenderò di nuovo in mano più avanti, quando mi sentirò pronta a "tornare".
Devo dire che per più di tre quarti del romanzo (o meglio, forse dovrei chiamarlo "raccolta di memorie") mi sono annoiata parecchio. Certo, la scrittura di Pavese è veramente qualcosa di bello, ci sono passaggi che sono vera poesia in prosa, ma fra uno di questi momenti e l'altro ho fatto davvero fatica ad appassionarmi alle vicende. Forse perché non si può nemmeno parlare di vere e proprie vicende, perché in realtà si tratta solamente di riflessioni frammiste a ricordi buttati insieme un po' alla rinfusa. Non che in un romanzo io cerchi a tutti i costi una trama ricca e densa, tutt'altro, ma devo dire che in questo caso mi sono annoiata molto. In generale, fatico ad appassionarmi alla vita contadina descritta nei minimi dettagli, e non appena qualche capitolo prendeva una strada interessante, un percorso riflessivo ricco, un ricordo di cui sarei stata curiosa di leggere, ecco che Pavese mette un bel punto, volta pagina e inizia a parlare di tutt'altro.
Le ultime ottanta pagine circa invece mi hanno stupita in positivo: le ho lette tutte d'un fiato, anche se riflettendoci adesso mi rendo conto che il registro di quelle ultime pagine non era tanto diverso rispetto al resto del romanzo, per cui è altamente probabile che semplicemente io abbia letto questo romanzo in un momento particolarmente instabile per me, e che i miei sbalzi di umore abbiano condizionato fortemente la lettura.
Credo che comunque la scrittura di Pavese si meriti una seconda possibilità, magari quando sarò certa di essere più calma e di potermi approcciare a degli scritti così intimi e intimisti con un animo più sereno, più aperto ad accogliere emozioni diverse da quelle che mi pervadono in questo determinato momento.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Personalmente ho un rapporto con la letteratura piuttosto ambivalente. Se da una parte ricerco lo svago e l’immediatezza del piacere, dall’altro anche una crescita che può passare attraverso l’impegno.

La luna e i falò appartiene senz'altro alla seconda categoria, pur non essendo un romanzo “difficile” in senso stretto.

E’ uno di quei libri che devi affrontare sapendo che cosa ci sta dietro. Inutile leggerlo se non sai che Pavese, poco dopo la pubblicazione, si suicidò, perché la trama è talmente semplice da poter essere riassunta in tre righe e il senso di nostalgia, di malinconia, di bello rischia di essere travolto dalla noia.

Bisogna essere nella testa dell’autore e consci del suo momento.

Nonostante lo spirito cupo di Pavese, io credo che questo sia un romanzo profondamente ottimista. La storia è quella di un giovane che per (ri)trovarsi passa attraverso diverse esperienze, le quali lo riportano, nessuna esclusa, a quel senso di appartenenza che tutti noi dobbiamo avere se non vogliamo vivere come fuscelli in preda ad una tempesta o come rami che crescono alla rinfusa.

Votato 4/5
 

Spilla

Well-known member
Devo dire che mi ritrovo nel commento di Jessamine. La tematica della nostalgia per un passato che non può in nessun modo tornare mi è cara, ma questo libro è troppo amaro, troppo privo di aperture al futuro per poterlo ritenere "gradevole". Si ha inoltre la sensazione che all'autore non prema affatto scrivere una storia, quanto accostare pagine di ricordi, scritte magari in momenti differenti, con l'escamotage di un filo conduttore esilissimo.
Ho apprezzato alcune delicate descrizioni di luoghi, il senso di nostalgico ritorno all'infanzia, ma confesso di aver provato fastidio nei confronti dell'amarezza espressa da tutti i personaggi, quasi il senso della fine in definitiva giunga a permeare tutto: persone, paesaggi, ricordi, eventi.
Ha ragione Ziggy quando dice che non ha senso leggere questo libro senza ricordare che precedette di poco il suicidio dell'autore. Questo ne spiega le atmosfere e l'amarezza. Che si trasmette, inesorabile, al lettore :??
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Un racconto semplice ed intimo, un romanzo breve ma significativo.
Anguilla, un quarantenne in cerca di radici e ricordi, ritorna nel paesino del Piemonte nel quale e cresciuto e dal quale è partito tanti anni prima. Lo trova cambiato, eppure uguale; ritrova Nuto, l’amico di una vita, con il quale ripercorre ricordi e si ritrova nel presente. E’ in questo limbo al di sopra di spazio e tempo che si stagliano le riflessioni di Anguilla, un uomo che se n’è andato da un luogo che non gli apparteneva e che l’aveva respinto, ma che poi vi è tornato, spinto dal bisogno di ritrovarsi e ritrovare. E più che l’uomo, è proprio il paese di provincia il fulcro e l’essenza di queste pagine: perché “un paese ci vuole”, per partire e ritornare, per essere scacciati e riaccolti, per poter dire, alla fine, di avere delle radici, una patria, una casa.
E le atrocità della guerra e della lotta partigiana si uniscono alla lotta perenne per la sopravvivenza, quella atavica che è propria dell’uomo, al di là dei dubbi e delle sofferenze. Uno spaccato bellissimo della provincia italiana del secondo dopoguerra, ed insieme una profonda riflessione sul vivere o sulla necessità di sopravvivere sempre e comunque, cercando sempre di migliorare la propria condizione.
Lettura imprescindibile per chi voglia davvero intraprendere un percorso di conoscenza della Letteratura Italiana.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Se penso che ho corso il rischio di non conoscere Pavese e questo romanzo penso a quanta ricchezza mi sarei persa perché quando un autore riesce a parlare di sé in modo così trasparente, senza filtri, è una ricchezza in quanto mi fa capire che non sono l’unica al mondo a provare il senso di inadeguatezza che si respira per tutto il romanzo, mi fa capire che davvero gli uomini nascono tutti uguali e che cambiano in base alle esperienze che vivono, come sostiene Nuto che mi sembra rappresenti la coscienza di Anguilla alter ego di Cesare. Emerge in modo forte ma non urlato lo scrittore e il suo sentire, il suo aggrapparsi con tutte le sue forze alle sue origini, alla ricerca di una sua identità, la sua inquietudine di fondo che lo porta a considerare persone e luoghi migliori di se stesso e migliori del paese di origine, che lo porta a voler diventare qualcuno, a voler viaggiare, fino a scoprire che ognuno è ciò che è per cause altrui o per destino e che non si può fuggire da se stessi, che la luna e i falò della nostra infanzia, che per Cesare è il mondo contadino con i suoi ritmi naturali e le sue credenze, ci accompagnano in ogni luogo.
Trovo che la bellezza di questo romanzo sia la capacità da parte di Pavese di parlare della sua disillusione attraverso un modo di scrivere scorrevole, semplice, genuino, si respira una sincerità di emozioni che commuove (ho avvertito un bisogno di speranza più che un crederci veramente, forse perché so che è l’ultimo romanzo di Pavese), l’amore per la propria terra vista come ultima ancora di salvezza con la consapevolezza però che tutto è cambiato perché la storia ha modificato il passato, quella terra che nei ricordi del protagonista assume un aspetto nostalgico e se vogliamo anche un po’ idealizzato dal tempo e dalla lontananza fisica.
Non si può prescindere dall’uomo Pavese per leggere questo romanzo perché qui uomo e scrittore sono un tutt’uno ed è questo che mi ha colpito, perché l’autore parla di sé in modo vero e il dolore che traspare non è aperto ma si legge tra le righe, si coglie leggendo in profondità, è quasi sussurrato, tanto che rimane tra le pagine un senso di dolce tristezza.
 
Alto