Pennacchi, Antonio - Canale Mussolini

velmez

Active member
Nella prefazione l'autore dice di essere nato al fine di scrivere questo libro, che tutti i suoi studi, le sue azioni, conoscenze, discorsi sono stati mirati alla realizzazione di questo libro... devo dire che sicuramente ci è riuscito: se questo è il senso che voleva dare alla sua vita, può ritenersi più che soddisfatto.
Non pensavo che un premio strega potesse piacermi così tanto, bello, ben costruito, con quel tocco di popolare pieno di usanze, miscredenze e incredulità che lo rendono ancora più reale!! :mrgreen:
consigliatissimo!!
 

lettore marcovaldo

Well-known member
In questo romanzo c'è una gran mole di storie e riferimenti storici. Poteva esserci il rischio di far perdere il filo della storia, a causa delle molte divagazioni. Invece trovo che il risultato sia molto buono.
E' facile, a mio parere, rimanere incollati a queste pagine, che raccontano una specie di epopea western, dove alle praterie dell'ovest americano si sostituiscono le paludi pontine bonificate.
In particolare mi sembra riesca a far capire bene, la mentalità e le aspettative delle popolazioni più povere dell'Italia di tanti anni fa.
Lettura scorrevole e con molti spunti interessanti. Da consigliare.
 

Holly Golightly

New member
Premettendo di non condividere quelle leggere strizzatine d'occhio al "buono che ha fatto il fascismo" (perché non mi pare di aver letto una condanna in toto del ventennio, per quanto l'ottica della narrazione sia piuttosto viziata dal "narratore popolare"), posso dire che questo è un libro veramente bello.

All'inizio ho fatto un po' di fatica, ma poi prende e ne ho letto metà in due giorni :D

Il difetto fondamentale è che è troppo lungo. Si capisce che l'autore ha fatto uno studio meticoloso, zelante, ma pagine intere su come erano fatto i gabinetti nell'Agro Pontino durante gli anni '30, insomma, ce le poteva anche risparmiare XD Perdonatogli questo, perché lo studio che c'è alle spalle è, ripeto, esatto e meticoloso, è interessantissimo vedere come la storia di una famiglia si intreccia con le vicende del ventennio fascista, specie perché il punto di vista è popolare, è la percezione che una porzione stessa di popolo aveva. La confusione politica è quanto mai evidente, i Peruzzi si fanno fascisti senza capire assolutamente un accidenti di quel che stia succedendo e tutta la vicenda - specie nell'ultima parte, quella ambientata durante la seconda guerra mondiale - va avanti in questa enorme confusione, in cui il popolo non capisce più nulla, in cui la gestione del cibo è da regime sovietico, in cui non si sa se i tedeschi o gli americani siano i buoni.
Certo, quel che mi fa strano è l'esaltazione della bonifica dell'Agro Pontino perché a sentir parlare figli dei figli di quei coloni (ora di Veneto è rimasto solo il cognome in -in, ma nei dintorni di Latina non sono pochi) sembra che sia stato veramente brutto il modo in cui questa gente sia stata messa lì in una terra nuova, fra l'acqua alta e la malaria. Ecco perché secondo me, da un punto di vista politico, non ho visto chiarezza, sarà che a me hanno parlato di contadini veneti che piangevano come disperati arrivati in Agro Pontino. Ma poi, si sa, è un romanzo storico ma pur sempre un romanzo e la storia, in questi casi, non dà torto o ragione, è lo scrittore un po' a farlo.

Per il resto, a me le saghe familiari piacciono molto, quindi è stato un piacere leggere la storia in sé. Magari (SPOILER) è un po' forzato il finale: in primis perché a un certo punto era evidente chi fosse il narratore e un po' perché quella storia del mezzo incesto, secondo me, era nel complesso un po' forzata. In realtà per quasi l'intero romanzo i personaggi vivono in funzione degli avvenimenti storici e a me quella parte è parsa un po' forzata, specie per come il ritorno a casa di Paride viene liquidato con un "questa è un'altra storia, si racconterà in un altro filò". Pare sì che Pennacchi a breve pubblicherà un altro libro, però, insomma, non si liquida così un protagonista nel momento "clou" o.o

Non ho capito tutte le battute in veneto :mrgreen: però è stato divertente per me leggere un dialetto del Nord in un romanzo, perché di solito, a parte qualche cosa in romano, di regola si legge sempre o il napoletano (che almeno avrei capito XD) o il siciliano.
L'intera famiglia Peruzzi ha un suo gergo e a dire il vero era divertente questo strano linguaggio, anche se non lo capivo bene XD

Io gli darei 4,5/5, ma visto che sembra proprio che Pennacchi a scriverlo abbia compiuto la missione della sua vita, gli do 5.
 
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malafi

Well-known member
Premettendo di non condividere quelle leggere strizzatine d'occhio al "buono che ha fatto il fascismo" (perché non mi pare di aver letto una condanna in toto del ventennio, per quanto l'ottica della narrazione sia piuttosto viziata dal "narratore popolare"), posso dire che questo è un libro veramente bello.


Certo, quel che mi fa strano è l'esaltazione della bonifica dell'Agro Pontino perché a sentir parlare figli dei figli di quei coloni (ora di Veneto è rimasto solo il cognome in -in, ma nei dintorni di Latina non sono pochi) sembra che sia stato veramente brutto il modo in cui questa gente sia stata messa lì in una terra nuova, fra l'acqua alta e la malaria. Ecco perché secondo me, da un punto di vista politico, non ho visto chiarezza, sarà che a me hanno parlato di contadini veneti che piangevano come disperati arrivati in Agro Pontino. Ma poi, si sa, è un romanzo storico ma pur sempre un romanzo e la storia, in questi casi, non dà torto o ragione, è lo scrittore un po' a farlo.

Premetto che ho letto il libro più di 2 anni fa e dunque le mie sono sensazioni più che ricordi netti.
Però non ne ho ricavato la sensazione di "quelle leggere strizzatine d'occhio al buono che ha fatto il fascismo" che tu citi.

A me è parso che - come giustamente riconosci - lui abbia narrato tramite la vox populi, ed il popolo in quegli anni - non mi riferisco a tutto il popolo ma di certo ai contadini sì - non era mica tanto in grado di fare valutazioni politiche "informate". Non c'era TV, non c'era (o quasi) radio, penso che non leggessero nemmeno tanto i giornali. Non c'era mica internet ed i blog.

Quanto alla "deportazione" di questi coloni - fatto che personalmente ignoravo - è stata senz'altro coatta e dunque per definizione disdicevole, ma mica detto che l'abbiamo presa tutti allo stesso modo.
Se lui ha scelto di raccontare la storia di una famiglia che l'ha presa con spirito di rassegnazione e dignità, e dunque di fare vedere solo una parte della verità storica, può essere che l'abbia fatto per fare conoscere una parte meno conosciuta di questa storia.

Comunque Pennacchi è di certo personalità contorta e controversa, ma di certo è profondo conoscitore ed amante di quelle terre. Può darsi che questo amore l'abbia portato a "glorificarne" la bonifica, ma questo non vuol dire, secondo me, sdoganare il ventennio e strizzare l'occhio al fascismo.
 

Holly Golightly

New member
Premetto che ho letto il libro più di 2 anni fa e dunque le mie sono sensazioni più che ricordi netti.
Però non ne ho ricavato la sensazione di "quelle leggere strizzatine d'occhio al buono che ha fatto il fascismo" che tu citi.

A me è parso che - come giustamente riconosci - lui abbia narrato tramite la vox populi, ed il popolo in quegli anni - non mi riferisco a tutto il popolo ma di certo ai contadini sì - non era mica tanto in grado di fare valutazioni politiche "informate". Non c'era TV, non c'era (o quasi) radio, penso che non leggessero nemmeno tanto i giornali. Non c'era mica internet ed i blog.

Quanto alla "deportazione" di questi coloni - fatto che personalmente ignoravo - è stata senz'altro coatta e dunque per definizione disdicevole, ma mica detto che l'abbiamo presa tutti allo stesso modo.
Se lui ha scelto di raccontare la storia di una famiglia che l'ha presa con spirito di rassegnazione e dignità, e dunque di fare vedere solo una parte della verità storica, può essere che l'abbia fatto per fare conoscere una parte meno conosciuta di questa storia.

Comunque Pennacchi è di certo personalità contorta e controversa, ma di certo è profondo conoscitore ed amante di quelle terre. Può darsi che questo amore l'abbia portato a "glorificarne" la bonifica, ma questo non vuol dire, secondo me, sdoganare il ventennio e strizzare l'occhio al fascismo.

Beh, quella della reazione dei coloni era un'impressione molto personale. Non mi aspettavo che tutti l'avessero recepita come una cosa così idilliaca, perché a me ne era stato parlato molto male, mi è stato veramente detto di questi contadini veneti piazzati nei poderi dell'ONC in mezzo all'acqua alta delle paludi che si son fatti pianti a non finire. Avendo ormai quest'idea, mi ha semplicemente "fatto strano" leggere un'ottica diversa.

Io non dico, attenzione, che ci siano nette simpatie fasciste. È (metto un piccolo spoiler) piuttosto significativo che il più fascista di tutti i fratelli sia poi disperso in Africa. Intendo dire che secondo me la condanna al fascismo non è totale. Per come l'ho letto io, mi è sembrato che dicesse "però il fascismo le sue cose buone le ha fatte" ed è un pensiero che io non condivido. Anzi, a me è parso che Pennacchi volesse mettere l'accento su due cose: la prima è la confusione ideologica che era all'origine del fascismo (magari "confusione" non è il termine esatto, ma mi riferisco al fatto che sia nato da gruppi socialisti) e che quello di Mussolini più che un operato negativo è stato un operato degenerato nel corso del ventennio, specie dopo l'incontro con Hitler. Questo non mi ha impedito di apprezzare veramente il libro (non gli avrei dato 5/5 XD).
Per quanto un narratore possa essere popolare, lo scrittore in qualche modo non può non far trapelare le sue impressioni, è umano pure lui, e io ho avuto l'impressione che Pennacchi proprio tutto quello che ha fatto il fascismo non lo avrebbe buttato. Io penso, invece, che una condanna totale sia una necessità storica. È solo una questione di opinioni divergenti.
 

elesupertramp

Active member
Questo bellissimo romanzo, che giaceva da tempo nella mia libreria, è stato davvero una rivelazione.
Non pensavo che mi avrebbe affascinato così tanto, un po’ per lo scetticismo che nutro sempre nei confronti dei libri vincitori di qualche premio, il premio Strega in particolare, un po’ perché avevo visto un’intervista di Pennacchi e non mi aveva fatto molta simpatia.
Ora invece vorrei tanto incontrarlo e congratularmi con lui per avermi regalato una lettura così intensa ed emozionante.
Le sorti di questa numerosa famiglia di contadini, i Peruzzi, così drammaticamente dipendenti dagli avvenimenti storico-politici che si susseguono durante tutto il ventennio, sono narrate con uno stile scorrevole e avvincente ed anche molto divertente.
Mitici il Periclin e l'Armida con le sue api.
Insomma: lo consiglio vivamente .
 

Nefertari

Active member
Questo romanzo mi è piaciuto moltissimo, la famiglia Peruzzi mi ha coinvolto come se ne facessi parte grazie anche ai dialoghi nel mio dialetto. Leggendo alcuni passaggi mi sembrava di ascoltare i racconti dei miei nonni relativi alla loro gioventù: la grande forza d'animo delle persone dell'epoca e la capacità di rialzarsi e rimboccarsi le maniche per ripartire da zero dopo la distruzione e poi il carattere forte delle donne che riuscivano a gestire la casa e figli durante l'assenza dei loro mariti partiti per il fronte. Ho apprezzato molto anche le parti storiche che secondo me arricchiscono il libro. E che dire dell'Armida e le sue api? E il Periclin? E poi l'epilogo mi ha stupita, non pensavo proprio che sarebbe terminato così. Lo consiglio a tutti.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Per quanto un narratore possa essere popolare, lo scrittore in qualche modo non può non far trapelare le sue impressioni, è umano pure lui, e io ho avuto l'impressione che Pennacchi proprio tutto quello che ha fatto il fascismo non lo avrebbe buttato. Io penso, invece, che una condanna totale sia una necessità storica. È solo una questione di opinioni divergenti.

Nonostante, nel complesso, il libro mi sia piaciuto molto, anch'io ho avuto questa sensazione che, a tratti, mi ha leggermente disturbato durante la lettura.
Non è che l'autore, almeno secondo me, non condanni il fascismo: lo condanna, credo, tra le righe, nel momento in cui descrive Mussolini come una macchietta, o nel momento in cui, in tutto il romanzo, sottolinea l'ignoranza e l'incoscienza dei peraltro simpaticissimi protagonisti, sembra che ci voglia dire "ecco chi erano i seguaci del fascismo, i poveri costretti ad attaccarsi a chi garantiva loro un minimo di benessere, se così vogliamo chiamarlo, o meglio la sopravvivenza, contadini che non sapevano e non capivano niente di politica". Ma, allo stesso tempo, forse rende troppo leggero il racconto, senza soffermarsi sulle storture quanto sulla leggerezza del contorno e sulle "opere buone" come la bonifica dell'Agro Pontino.
Del resto, non credo che l'intento dell'autore sia politico, ma che sia quello di raccontare la realtà storica del periodo dal punto di vista dei semplici, dei contadini, dei poveri, persone estremamente sveglie nella vita pratica ma non colte, poco informate sulla politica in generale, che vanno "dove porta il vento" per pura sopravvivenza, nel senso letterale del termine. I personaggi sono sapientemente tratteggiati dall'autore e resi, talvolta, simpaticamente macchiettistici, come il Pericle; uomini che non si tirano indietro quando si tratta di combattere e donne forti e determinate, abituate a fare lavori faticosi quanto e più degli uomini, come la nonna e l'Armida. Il tutto descritto con un linguaggio semplice, accattivante e divertente e, a momenti, con un dialetto veneto che strappa risate pure, di pancia.
Consigliato!
 

Grantenca

Well-known member
Gran bel libro. E' una saga familiare che va dal primissimo novecento fino alla fine della tragica seconda guerra mondiale: E' la storia della famiglia Peruzzi, di fede fascista e quindi il periodo è visto dalla parte, oggi storicamente definita, "sbagliata". Anche se si può intravvedere, tra le righe, un atteggiamento abbastanza morbido della politica del "ventennio" di cui peraltro non vengono taciute le malefatte, con la messa in luce anche di ciò che di buono è stato fatto nel periodo (soprattutto la bonifica pontina e anche qualche accenno ai treni che arrivavano spesso in orario), soprattutto l'autore, a mio avviso, ha voluto evidenziare il larghissimo consenso che il regime aveva siosopratutto prima della guerra, ai tempi dell' "impero". Il libro però è molto di più. Dal punto di vista storico parla solo di personaggi e non in termini "politici" anche se la rivalità fra i due grandi gerarchi ferraresi (Balbo e Rossoni) era cosa vera, ma quello che più ho apprezzato nel libro, oltre alle grandi figure dei protagonisti, esempi di coerenza e difesa suprema dei valori della patria e della famiglia, e di cui viene descritta la naturale evoluzione da bambini a uomini e donne responsabili, è la descrizione minuziosa, costante e precisa della vita nelle campagne di quei tempi. Con i suoi riti e le sue tradizioni, con l'integrazione completa, quasi una simbiosi, tra terra da coltivare, uomini e animali. Un trattato di storia non potrebbe farlo meglio. Per quanto riguarda l'uso del dialetto in qualche intercalare della storia bisogna dire che personaggi nati e cresciuti nella riva destra del Po fra Formignana, Copparo, Tresigallo, Codigoro parlerebbero il dialetto ferrarese. Solo nei paesi sulla foce del Po, vicino al mare (Mesola, Bosco Mesola, Goro, Gorino) si sente qualche inflessione in dialetto veneto, ma sempre con grande prevalenza del ferrarese. La Rossonia, la strada fatta costruire dal gerarca Rossoni per collegare Ferrara al basso ferrarese, è la medesima che percorre, in automobile, il protagonista de "L'Airone" uno dei capolavori di Bassani, e in questo romanzo il grande Ferrarese, scrive alcuni intercalari in dialetto ferrarese. Il dialetto ferrarese però, con tutte quelle parole tronche, è molto ostico da scrivere e soprattutto da comprendere e molto bene ha fatto l'autore ad inserire un dialetto misto, con grande prevalenza di veneto, molto più fluido e colorito, che ha dato il ritmo giusto alla storia.
Comunque, ripeto, per me un gran bel libro e soprattutto una piacevolissima sorpresa.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Sto leggendo il libro proprio in questi giorni. Ancora non l’ho finito, ma vorrei scrivere due righe dopo aver sentito molti che lo giudicano esclusivamente in base alle proprie posizioni politiche. Non mi riferisco agli interventi qui sopra, quelli sono commenti “di striscio” e non relative al cuore dell’opera. Ed è chiaro che vien da parlarne, di fascismo e di anti fascismo, ma un altro conto è valutare il libro solo perché nel titolo c'è il nome di un tiranno.

Vedo che, generalmente, la sinistra valuta il libro pessimo, mentre la destra lo esalta. E magari non tutti quelli che lo giudicano l'hanno letto. Che noia quest’Italia che ancora va in giro con la falce e il martello o fa il saluto romano come se il mondo si esaurisse in quei gesti, e solo in quelli.

Pennacchi, dice lui, racconta solo ciò che sa. Non è un inventore di storie ed essendo di Latina parla di bonifiche, perché quello è ciò che ha sentito dai suoi parenti. Lui, gli anni ’30 e le storie relative alla bonifica latina non le ha vissute direttamente, questo no. Sono racconti tramandati quelli che ci propone. Tutti veri, anche se la storia di fondo è inventata. La famiglia Peruzzi non esiste, non è mai esistita. Sono invece esistite migliaia di famiglie simili ai Peruzzi e i cui aneddoti l’autore ha riassunto in un’unica, lunga, esperienza narrativa. Con un linguaggio meraviglioso. Grandissima penna.

Personalmente sono affranto quando leggo recensioni basate unicamente sull’ideologia e sulla parte. Il valore letterario, per chi vede tutto rosso o tutto nero, passa in secondo piano, così come passano in secondo piano il racconto, la storia, il "come" ci sono state presentate le vicende. Chissenefrega se Pennacchi è mezzo fascista, mezzo comunista, fasciocomunista o anti qualcosa. Leggiamo il suo libro e valutiamo quello. Oppure lasciamo perdere.

Lui racconta qualcosa e lo fa, senz'altro, attraverso la propria esperienza intellettuale e attraverso il filtro della propria opinione, questo si. Nessuno può essere oggettivo. Non fa mistero delle sue idee, Pennacchi. Anche se non è fascista. Vota Partito Democratico e lo dice apertamente. Ma dice che Mussolini, fino al 1938, ha fatto cose buone. Ma il fatto è che non lo dice in questo libro, mai, in nessuna pagina. Qui racconta unicamente le esperienze dei suoi avi. Degli anni '30, quando ancora le leggi razziali dovevano venire. Non dà giudizi, né storici, né politici, si limita a fare un affresco, riuscitissimo, di un'Italia che non c'è più. Come solo il grande cinema neo realista ha saputo fare.

Invece di stare a leggere con il cuore in mano e il cervello acceso, i fascisti gongolano e gli anti fascisti innorridiscono. Quando invece questo è un libro stupendo che racconta una storia bellissima. Se poi vogliamo prendere questo libro solo per parlare delle bonifiche del fascismo, delle pensioni tarate in modo equo, delle leggi razziali, delle critiche di Mussolini a Hitler, della sua alleanza con Hitler, del fatto che ha mandato centinaia di migliaia di italiani al macello con le scarpe di cartone, del fatto di aver creato l’Inps, l’Inail, la previdenza, dell’aver posto un tetto all’orario lavorativo, dell’aver fatto l’Iri, dell’aver fatto fucilare il genero, del fatto che trattasse male le donne, del fatto che avesse ridato slancio all’economia italiana, così come Hitler aveva fatto in Germania, in un periodo in cui, Unione Sovietica a parte, tutti andavano a rotoli, ecco, voglio dire, sarebbe meglio prendere un libro di storia e parlare di quelle pagine.

Questo non è un libro di storia, è, piuttosto, un libro che racconta una storia.

Pennacchi si è rifiutato di togliere la parola “Mussolini” dal titolo. Come invece gli aveva consigliato di fare l’editore. C’è chi ha visto in questo rifiuto, un autore pronto a morire per il Duce, col braccio alzato e la mano tesa, e a difendere l’orgoglio nero. In realtà ha voluto chiamarlo così per non far torto alla storia, alla sua storia.

Quello era, per tutti, il “Canale Mussolini”. Così si chiamava e così, Pennacchi, ha chiamato il libro che ne parla.
 
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Zingaro di Macondo

The black sheep member
Un libro bellissimo.

E’ una storia, quella della famiglia Peruzzi, che per la sua ricca complessità molti hanno già ridefinito “saga”. Pennacchi dice che è tutto vero, anche se vissuto per vie indirette. Tranne i protagonisti, i Peruzzi per l’appunto, perché loro no, loro sono inventati. Ma quello che fanno non nasce dall’immaginario del talentuoso scrittore, le loro sono tutte, nessuna esclusa, azioni compiute dai suoi antenati.

La scrittura è ricercata e popolare; Pennacchi fa del Veneto ciò che Pasolini aveva fatto delle borgate romane. Si legge che è un piacere e, ad ogni pagina, sembra di vedere anziani con il mestolo nella polenta.
Anche la storia che fa da cornice a quella dei Peruzzi, è vera. Si parla delle circa 3.000 famiglie che il Fascismo fece emigrare nelle pianure pontine recentemente bonificate.

Inutile negarlo; le simpatie dell’autore per ciò che ha fatto il regime “di buono” prima del 1938 sono evidenti. Ma perdersi Pennacchi che racconta una storia, la sua storia, quella della sua famiglia e quella di un periodo importante per il nostro paese, in base a giudizi politici di parte sarebbe un peccato.

Intendiamoci; non è un libro fascista in senso stretto. Pennacchi non parla del regime nella sua totalità e questo non è in alcun modo un libro di storia. E’, piuttosto, un romanzo che parla di eventi.

Votato 5/5
 

isola74

Lonely member
Questo libro è una saga familiare e allo stesso tempo un romanzo, mi si passi il termine, "storico".
Le vicende della famiglia Peruzzi seguono l'andamento della storia d'Italia, e per la maggior parte non si tratta di finzione.
Sicuramente merita di essere letto perché anche se in maniera leggera, ci istruisce anche un po'.
Per quanto riguarda il dialetto, io che amo leggere Camilleri non posso che astenermi da ogni giudizio :mrgreen:
 

velvet

Well-known member
Un bel libro, ho apprezzato anche io la storia dei Peruzzi e le loro vicende. Grande punto di forza è la simpatia che pervade il libro, la simpatia dei personaggi con le loro stravaganze, la loro ignoranza anche e il modo in cui affrontano eventi e danno giudizi storici e politici, nonostante siano spesso coinvolti in faccende losche e anche violente. Anche l'uso del dialetto aiuta a costruire questo clima di simpatia. Inoltre io ho letto un'ironia diffusa e leggera sulle vicende politiche, sui cambi di casacca facili, sulle convenienze e le apparenze.
L'unico punto debole secondo me è che in alcuni punti risulta prolisso e ripetitivo, avrei dato qualche sfoltitina qua e lÃ*.
 
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