La fantasia è più importante della conoscenza
A me il senso pare piuttosto chiaro e, come di consueto in Eistein, piuttosto azzeccato.
Albert era uomo di scienza, in preda ad un'arsura di conoscenza tipica solo dei genii. Aveva quasi la mia età, venticinque anni appena, quando si accinse, da solo, a rivoluzionare l'universo. Ma se rigido e severo sui suoi interessi scientifici (o, meno correttamente, professionali), diventava invece una ragazzino di fronte ad una burla, ad un gioco, uno scherzo. Era così lui, tanto serio quanto faceto.
L'aforisma in questione, per quanto mi riguarda, va interpretato seguendo una prospettiva storica, non altrimenti che così è possibile produrre una spiegazione plausibile e degna del suo autore. Se per conoscenza intendiamo il cumulo dei dati acquisiti storicamente, l'archiviazione minuziosa di teorie, dimostrazioni, esperimenti, e non meno di materiale traviante, altre teorie errate e fuorvianti, allora sì, sempre
storicamente è possibile andare avanti grazie anche alla fantasia.
Significa in breve: molto spesso l'archeologia e lo sfruttamento del sapere presente non è bastevole da sé solo, si rende necessario un quid, una componente estranea alla macchina [lo stesso Albert lo ripeteva sempre]: e questo quid è l'intelligenza, e forse di più proprio la fantasia, la capacità immaginativa, questa proprietà degli uomini per cui è possibile pensare qualcosa prima che si trovi ad esistere. Il discorso si complicherebbe se andassimo a scavare nell'epistemologia del tempo: qualche anno dopo la morte del Nostro, Kuhn avrebbe scritto teorie già comunque in circolazione da tempo, nel suo ambiente, con annessa critica al progresso lineare della scienza, ma qui non ci serve andare oltre.
Eistein sapeva bene che uno scienziato fermo sui suoi elementi è solo uno storico; la professione di chi si vota alle scienze consiste della scoperta, e, secondo alcuni orientamenti filosofici, dell'invenzione. Da questo punto di vista, sì, è di gran lunga più importante la fantasia che non la conoscenza.