Su quale sponda la felicità?
p.s. (pre scriptum): grazie a tutti per aver migliorato le mie giornate con le vostre gentilezze.
Suppongo che essendo il Laos tra i paesi meno industrializzati al mondo, il famoso dato del PIL sia anch'esso tra i più bassi. Non sono al corrente delle percentuali, ma posso dire con certezza che la stragrande maggioranza delle persone lavora la terra, mentre solo una piccola parte è impiegata nel terziario.
Non esiste una vera e propria produzione di consumo, di conseguenza quei pochi oggetti industriali vengono da oltre confine, spesso dalla Cina o dalla Thailandia e costano un occhio della testa; per un letto ci vogliono due stipendi, per un tavolo quattro.
Dunque i laotiani si fanno tutto da soli e l’economia ha un andamento diverso, quasi rovesciato rispetto a quello che troviamo nel mondo industrializzato.
I prodotti artigianali costano pochissimo, quelli industriali tantissimo.
Da qui l’esperienza straordinaria di trovarsi continuamente di fronte a oggetti lavorati a mano, a poco prezzo e bellissimi. Pezzi unici i letti, pezzi unici le stampe e pezzi unici le sedie. I laotiani hanno una manualità straordinaria, li vedi continuamente intrecciare corde di seta, tirare fili di paglia o tagliare piante in forme strane. Lentamente, tutto molto lentamente, perché non hanno ordini da evadere o clienti da soddisfare.
L’arte di fare le cose si coniuga con la ricchissima natura sub-tropicale che dà i suoi frutti con infinita generosità. Il bambù è tra i legni che più si presta a essere lavorato e, in mano a questi artisti inconsapevoli, diventa qualsiasi cosa: tavoli, sedie, bicchieri, piatti, attrezzi, impalcature, coperchi, lampioni stradali, altalene, cannucce.
Sui giornali leggiamo spesso concetti che andrebbero analizzati in controluce, deformati come sono da una prospettiva a senso unico. Vedere con gli occhi è sempre meglio che leggere. Ad esempio esistono delle statistiche sulla felicità, sul benessere, sulla qualità della vita, quasi come se queste tre terminologie fossero sinonimi e quasi come se fossero dati perfettamente inquadrabili. La qualità della vita e il benessere sono generalmente legati al prodotto interno lordo e quasi per nulla a quei valori astratti e indefiniti che ci fanno ridere o sorridere, gioire o semplicemente divertire.
Come si fa a quantificare il benessere di una persona? E come quella di un’intera nazione? I sorrisi spontanei avranno pure un peso sul concetto di felicità? E come facciamo a chiuderli in un parametro, in un numero, in un grafico? Quanti saranno i tramonti e le aurore che ci daranno brividi di piacere durante la nostra esistenza? Quanti i libri che accenderanno il nostro spirito, i baci da innamorati e le fette di torta al cioccolato? Davvero possiamo pensare che solo il tipo di lavoro che uno fa, il quanto guadagna e il tipo di oggetti di cui si circonda possano fare la sua felicità? Quand’è che una persona impazzisce? E quando può sentirsi in diritto di sentirsi depresso? Quando ci spegniamo ci sentiamo in colpa, perché in fondo non ci manca nulla. Ma la depressione, credo io, può essere un campanello d'allarme che ti dice che anche se hai tutto, forse l’hai ottenuto nei modi sbagliati e che, forse, non è quella la tua strada.
In quest'ottica la depressione è una grande opportunità, un momento da cogliere, perché sei tu stesso che ti stai parlando, per una volta senza intermediari e senza statistiche.
Siamo ancestrali, anche nello spirito e lo spirito ci parla attraverso il corpo che smette di voler mangiare, smette di voler bere, smette di voler vivere, anche se hai la casa più bella del mondo, mangi aragoste e bevi vino francese.
C’ è un concetto che non sopporto, ma che spesso mi ritrovo sotto gli occhi: l’ansia, lo stress e la depressione sono le malattie del benessere. Che grande stupidata! Come dire che se non stai bene è perché stai bene.
Io sono contento quando vedo un cane che mi fa le feste o quando parlo di calcio con gli amici. Chi può indicizzare queste cose? Lavorare un oggetto con un lieve sorriso deve rientrare tra le cose che rendono felici un popolo. Altrimenti parliamo di consumo di cose e di persone, di un logoramento materiale e fisico continui, quasi una specie di tossica necessità di avere e distruggere. Si smetta di parlare di benessere come di un qualcosa legato al concetto di crescita economica, come se quest'ultimo fosse l’unico parametro degno di essere alimentato con la nostra vita.
Dunque, così come Tiziano Terzani anni prima, anch'io ero seduto ad un tavolino di un bar di Vientiane e vedendo stendersi drappi di grattacieli thailandesi sulla riva opposta del Mekong, pure io mi sono chiesto: "su quale sponda la felicità?".