Morante, Elsa - L'isola di Arturo

sergio Rufo

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Preferirei che lo tenessi tu. Quando lo leggero' me lo darai, ma un libro che cosi' tanto ti e' piaciuto va' lasciato nella tua libreria.
Sai come la penso con i libri a noi " cari".
 

baranta

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Storia stratificata, complessa sebbene a trama semplice da romanzo di formazione. Ma anche con spesso in primo piano e sempre nello sfondo i grandi temi della situazione femminile, nelle nostre società tradizionali e no, l'omosessualità, la maturità e l'immaturità, l'idealizzazione del padre, i rapporti tra coniugi, tra compaesani, l'erotismo doloroso, l'insularità... e Nunziata. Ma è tutto così ben tenuto. Cresce a letture successive e soprattutto distanziate nel tempo.
 

DoppiaB

W I LIBRI !
Un romanzo scritto con maestria.
Arturo è un ragazzino che vive nel suo piccolo mondo che ha i confini dell'isola di Procida. Non conosce altro.
Non conosce l'amore di una madre e può solo immaginare il sapore dei baci e la dolcezza degli abbracci materni.
Per lui la vita è fatta solo di lunghe corse sulla spiaggia e bagni al mare.
Abbandonato a sé stesso, la sua unica preoccupazione è andare al porto e sperare che suo padre sia sul piroscafo di ritorno da uno dei suoi misteriosi viaggi.
Sarà solo con l'arrivo della seconda moglie di suo padre (prima donna con cui ha a che fare Arturo) che scoprirà un "nuovo mondo".
Ma se ne andrà Arturo dalla sua isola, se ne andrà per scappare da tradimenti e delusioni.
 

Pimpa

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Elsa Morante: una certezza

Ho letto questo grande classico che non avevo ancora letto; Elsa Morante è sempre una certezza , lettura piacevole , non appassionante quanto altri suoi testi ma meritevole.
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Un bellissimo romanzo di formazione, ma forse non solo.
E' indubbio il condizionamento della scrittrice dalla psicanalisi freudiana, Arturo soffre di un complesso edipico nei confronti della matrigna adolescente e di una idealizzazione della figura paterna, da cui cerca disperatamente affetto e a cui cerca di tendere in sembianze fisiche e in carattere, secondo un'idea fantastica del ragazzo sul modo di essere del padre.
La perdita dell'infanzia e l'entrata nell'adolescenza è dolorosa per chi non ha avuto una base di sicurezza affettiva, per chi è stato circondato dalla solitudine e ha vissuto in un suo mondo, proprio per colmare questo vuoto.
La realtà che si presenta improvvisamente lo sconvolge ma gli dà coraggio allo stesso tempo, l'abbandono dell'isola è metaforicamente l'addio alle illusioni e la presa di coscienza del "dolore di vivere" e la scoperta del sentimento di pietà lo porterà alla maturità.
Amaro ma quanta verità in questo romanzo, la storia è tutta un'allegoria, la descrizione di quest'isola (che non è visivamente Procida ma è immaginaria) è un po' la descrizione di paure e speranze inconsce, le parole scritte sono uno specchio delle emozioni.
Forse l'innamoramento questo fa, ci mette in discussione, ci apre verso l'ignoto, verso una realtà nuova, abbandonando la nostra isola cioè le nostre certezze assolute.
 

Jessamine

Well-known member
"Avevo sempre rimpianto che, ai tempi moderni, non ci fosse più sulla terra qualche limite vietato, come per gli antichi le Colonne d'Ercole, perché mi sarebbe piaciuto d'oltrepassarlo io per primo, con la mia audacia"

Questo romanzo è a metà fra il racconto infuso di luce mitica di un sogno e la descrizione del paesaggio di una fiaba.
Arturo è una creatura selvatica, un figlio di nessuno, un cucciolo cresciuto a latte di capra e libri sui grandi condottieri.
Procida, l'isola di Arturo, ha i confini del mito e della terra dorata, dell'infanzia, dei grandi ideali e dei sogni fragili come lische di pesce. "L'isola di Arturo", con una prosa straniante, a volte ridondante, spesso ammaliante, avvolgente e consolante (in barba ai denigratori degli avverbi), racconta del risveglio.
Il risveglio dei sensi, che vengono a galla assieme all'adolescenza.
Il risveglio dai sogni, lo scontro con l'asprezza della realtà, la perdita di un'infanzia dorata.
L'amarezza che resta sulla lingua, al termine di questa lettura, è la stessa che si prova respirando la polvere dopo il crollo di un santuario.

"I condottieri storici, pure i più famosi come Alessandro di Macedonia, non erano persone fatate (le persone fatate sono favole); erano persone uguali a tutte le altre in tutte le cose, fuorché i pensieri!"

La scrittura della Morante ha ancora delle asprezze acerbe, in questa fiaba di crescita, ma di certo contiene già tutta l'ampiezza di respiro che saprà dimostrare in seguito.
 

ayuthaya

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Ancor prima di arrivare alla fine di questo romanzo mi sono chiesta per quale misterioso motivo io mi sia decisa così tardi a leggerlo, avendo fra l’altro già fatto esperienza de La storia, uno dei libri più belli che abbia mai letto e che, anche quella volta, chissà perchè, ha atteso parecchio prima di finire fra le mie mani.
L’isola di Arturo è un romanzo bellissimo, che pur non eguagliando La storia, non può non entrare nel cuore.

Tante volte mi ha fatto vagare con la mente questo titolo... se il protagonista è Arturo, perchè l’isola è così importante?
“L’isola” non è solo l’isola di Procida, comunque esplicita, luminosa e straordinaria coprotagonista. L’asprezza dei suoi paesaggi, la sua condizione di naturale confinamento – accentuata dall’essere, come ammette Arturo stesso, un’isola poco conosciuta e battuta rispetto alla vicina Ischia –, il mare che rappresenta insieme un limite e una promessa, l’alone di mistero collegato alla presenza del castello di Torre Murata, ovvero il penitenziario, ne fanno sicuramente un luogo magico, con il quale Arturo instaura una simbiosi profonda, fisica. “L’isola meravigliosa, regno di Arturo, domina la scena.
Per estensione, quindi, l’isola rappresenta anche il mondo spirituale in cui Arturo è nato e cresciuto e, quindi, tutta la sua fanciullezza. Abbandonare l’isola significherà per il giovane abbandonare un pezzo della sua vita, quello più importante, ma anche quello che gli ha portato le delusioni più cocenti. Ma di questo rompersi dell’“incanto” dell’infanzia – comune a tutti ragazzi e ancor più tragico per il protagonista, cresciuto senza madre e con un padre assente, che lui idealizza fino alla cieca adorazione – non ne riceviamo una percezione amara. L’Arturo che ci racconta la sua storia, quando ormai tutto è finito, presumibilmente da adulto, non è infatti un disilluso, un uomo indurito, anzi.
L'isola di Arturo è il romanzo di un incanto, del felice gioco segreto della reinvenzione infantile del mondo e del suo infrangersi contro lo scoglio improvviso della maturità, della realtà. Arturo parla in prima persona, eppure la lingua in sui è scritta l’opera non è il calco della lingua di un ragazzo (...), (è) una lingua che racconta la vita di Arturo, le sue invenzioni, i suoi ardimenti, le sue scoperte, le sue miracolose ingenuità, ma le indica con tenerezza, come dall’alto, da un altro tempo, da un altrove. (...) ... uno sguardo incantato e intenerito come di qualcuno ormai cresciuto che guarda se stesso, o come se a raccontare fosse una creatura fantastica, una chimera, che è figlio e madre insieme. Questo sguardo è capace di raccontarci, quasi in un solo movimento, l’incanto e la scabra realtà che nasconde, ma mai, in tutta l’opera di Elsa Morante, come qui ne L’isola di Arturo, fra i due vince l’incanto. Esplode con una gioia narrativa che non tornerà un’idea dell’infanzia capace di nutrirsi di tutto: di libri, di esperienze, di animali, di piante, persino di morti e di assenze, per costruire, a dispetto degli adulti e del loro abbandono, un modo meraviglioso di stare al mondo: iperbolico, vitale, senza limiti, che ha una soglia però terribile nell’età adulta, che spazza via tutto e lascia solo l’arsura o la morte.”
Troppo belle e significative sono queste parole, tratte dall’introduzione di Carola Susani alla mia edizione in audiolibro, per non riportarle integralmente.
L’incantesimo agisce per davvero e crediamo ad Arturo quanto lui ci crede. La concretezza vitale del mondo naturale sostiene lo sforzo di trasfigurazione della realtà.
Ecco, “l’isola” del titolo è il luogo di questa straordinaria trasfigurazione e noi ne veniamo pienamente coinvolti: ci dimentichiamo che questo ragazzo di fatto è un selvatico, abbandonato a se stesso, che ha dovuto per forza di cose imparare a cavarsela da solo... dovremmo quasi arrabbiarci che lui possa sentirsi coì fortunato, quando in realtà tutti i beni più preziosi gli sono stati negati: l’amore di una madre, la stima vera di un padre. Eppure, talmente grande è la sua forza creatrice da riuscire a trasmettere lo stesso “incanto” anche a noi, che ripercorriamo gli eventi della sua infanzia con la sua stessa tenerezza.

Un romanzo bellissimo, commovente, eppure intimamente gaio.
Un altro capolavoro firmato Elsa Morante, che spero ne abbia almeno un altro in serbo per me.
 
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alessandra

Lunatic Mod
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Leggere questo libro è un viaggio. Un viaggio a Procida, nell'affascinante isola "fisica" di Arturo, e un viaggio nella sua isola interiore, forse un po' simile a quella di tutti. Con la sua scrittura lirica, spietatamente introspettiva e al tempo stesso limpida e spontanea, questa meravigliosa autrice risucchia quasi a tradimento chi legge nel suo mondo narrativo. Procida (e dire che l'estate scorsa l'ho sfiorata!), con il suo mare e la sua terra ammaliante e insidiosa, diventa la nostra casa; siamo noi a vivere nella Casa dei guaglioni, dove un tempo si consumavano divertimenti non detti, in questa casa che va in rovina di pari passo col suo padrone, Wilhelm Gerace nonché padre del protagonista, cupo e scontroso custode di segreti inconfessabili all'epoca. Il suo personaggio, egoista e a suo modo aggressivo, respinge e nel contempo attrae, poiché noi siamo Arturo e condividiamo l'ammirazione incondizionata del figlio per un padre sfuggente e quasi sempre assente, ma in nome di qualcosa di grande: la libertà, il viaggio verso lidi lontani. Un padre che agli occhi del ragazzo è un re, un dio del quale anelare l'attenzione, puntualmente negata. Arturo, orfano di madre, non parla quasi con nessuno: del suo mondo fanno parte il cane, le cartoline del balio che l'ha cresciuto e la barca con cui compie giri interminabili. La sua vita si svolge in modo semplice, sempre uguale finché il padre non prende la decisione inattesa di accogliere in famiglia un'altra persona. Mi viene voglia di raccontarlo tutto ma non posso farlo.
L'universo esteriore di Arturo è apparentemente ristretto quanto è vasto quello interiore. A distanza di anni, con voce ormai adulta egli ci racconta con precisione chirurgica ed estremamente realistica la potenza dei suoi sentimenti: la gelosia, l'amore, la delusione, l'odio che si alternano nel suo animo talvolta nei confronti della stessa persona in momenti diversi o anche nello stesso momento; ci racconta il dolore, ci mostra come atteggiamenti apparentemente cinici possono nascondere sentimenti opposti; ci mette a parte di stati d'animo in cui tutti possiamo riconoscerci e oh, se ne fossimo capaci l'avremmo fatto proprio con quelle parole!
Il racconto di una crescita che avviene attraverso diverse scoperte, in particolare quella da cui nessuno può esimersi e che segna l'ingresso nell'età adulta: la presa di coscienza dell'imperfezione dei propri genitori. Dalla struggente parte finale traspare un'idea che sembrerebbe pessimistica e cioé che di fronte a certe ferite l'unica via di uscita sia l'oblio. O forse, al contrario, si tratta di un'idea di riscatto e di speranza, comprendere per poi dimenticare e ricominciare da capo?
Stupendo, un libro da leggere assolutamente.
 
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