150° dell'Unità d'Italia

Shoofly

Señora Memebr
Hai ragione Skitty.... quando sento dire castronerie come: al Sud si discuteva di filosofia mentre al Nord ci si dondolava come scimmiotti, mi pare proprio che invece di alimentare la discussione con argomenti convincenti ci si perda dietro a inutili schermaglie da bambini.

Sì perché - se proprio vogliamo essere sottili - di filosofia a quei tempi discutevano solo quei pochi Greci d'importazione che a spregio del periglio avevano fondato colonie nel Sud Italia. E ne discutevano fra loro perché la popolazione autoctona non aveva nessunissima intenzione di star lì a perder tempo, datosi che nella maggior parte dei casi accoglieva l'ellenica stirpe a sassate sul grugno.

:mrgreen:
 

Candy Candy

Active member
Noi discutevamo di Filosofia quando tu ancora ti dondolavi sulle liane.

Vengo dal sud anche io e se è veramente come dici tu... avrei preferito meno filosofi e più Tarzan:wink:. Soprattutto se la filosofia ha portato miei amici e parenti a scappare dal sud :wink: Smettiamo di dire che il sud è bello perchè c'è il sole c'è il mare ci sono anche troppi disoccupati troppi mafiosi e troppi raccomandati... è brutto sentirselo dire in faccia da chi è del nord ma bisogna anche guardare in faccia la realtà e ammettere che è così... e se è così non è colpa del nord... è colpa di chi al sud ci vive e permette che queste cose accadano :wink:
 
Se proprio vogliamo essere sottili, prendiamo uno dei tanti filosofi dell'antichità, uno dei più importanti: Parmenide. Nacque ad Elea, tra Capo Palinuro e Punta Licosa. Certo se vogliamo continuare ad essere sottili, dovremmo anche chiederci, presupponendo che i genitori del Filosofo fossero greci, se il giovane, al raggiungimento del 18° anno di età abbia espresso l'intenzione di diventare cittadino italiano. Decisione da prendere entro un anno dal compimento della maggiore età.

Candy Candy, tu sei del Sud ma anche tu non è che abbia capito granché di ciò che scrivo. Noi siamo al massimo corresponsabili di quello che è successo al Sud, non i soli responsabili. La Mafia, la camorra, la N'drangheta erano tutti fenomeni sconosciuti o quasi prima del 1861, e non lo dico io,ma lo diceva il Maestro di Falcone e Borsellino, quel sant'uomo di Rocco Chinnici:

"prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia".

Torniamo ai fatti: nel 1945 al Sud avevamo 9500 km di strada ferrata, nel 2010 ne abbiamo 8500. E' colpa mia, tua, oppure di chi gestisce le Ferrovie dello Stato (del nord)?
 

Candy Candy

Active member
Per come la vedo io è colpa nostra...al nord se fai qualcosa che non sta bene ai cittadini succede il delirio, se i lavoratori sono trattati male succede il delirio. Qua se si passa da 9500 a 8500 è perchè qualcuno ha incassato la sua "onesta" mazzetta e tutto tace la cosa viene oscurata non diventa di dominio pubblico e i pochi a conoscenza ho hanno beneficiato di qualche "aiuto" o se ne fregano!
Ovviamente parere personale eh :wink:
Qui non si dice che al nord siano tutti onesti e pii ma che semplicemente sanno meglio gestire i servizi sicuramente anche li godono di altri "benefici" ma sicuramente il cittadine ne viene penalizzato in modo nettamente mnore.
 

Fabio

Altro
Membro dello Staff
Il giorno della festa dell'Unità d'Italia lo passerò nella provincia che più rappresenta il mio concetto di Patria, sarò in Alto Adige (non in Trentino, ripeto, in Alto Adige). Personalmente reputo sia quella la mia Italia.
:HIPP
 
Il giorno della festa dell'Unità d'Italia lo passerò nella provincia che più rappresenta il mio concetto di Patria, sarò in Alto Adige (non in Trentino, ripeto, in Alto Adige). Personalmente reputo sia quella la mia Italia.
:HIPP

Terra bellissima tra l'altro Fabio:tutta la mia invidia.:)
Strappata(senza senso particolare)agli imperi centrali nel 1918 a suon di qualche milione di (stupidi,inutili,inusitati) morti.

T.
 

Shoofly

Señora Memebr
Se proprio vogliamo essere sottili, prendiamo uno dei tanti filosofi dell'antichità, uno dei più importanti: Parmenide. Nacque ad Elea, tra Capo Palinuro e Punta Licosa. Certo se vogliamo continuare ad essere sottili, dovremmo anche chiederci, presupponendo che i genitori del Filosofo fossero greci, se il giovane, al raggiungimento del 18° anno di età abbia espresso l'intenzione di diventare cittadino italiano. Decisione da prendere entro un anno dal compimento della maggiore età.

Candy Candy, tu sei del Sud ma anche tu non è che abbia capito granché di ciò che scrivo. Noi siamo al massimo corresponsabili di quello che è successo al Sud, non i soli responsabili. La Mafia, la camorra, la N'drangheta erano tutti fenomeni sconosciuti o quasi prima del 1861, e non lo dico io,ma lo diceva il Maestro di Falcone e Borsellino, quel sant'uomo di Rocco Chinnici:

"prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia".

Torniamo ai fatti: nel 1945 al Sud avevamo 9500 km di strada ferrata, nel 2010 ne abbiamo 8500. E' colpa mia, tua, oppure di chi gestisce le Ferrovie dello Stato (del nord)?

Parmenide era un cittadino di Elea e al diciottesimo anno di età non avrebbe barattato la sua cittadinanza con quella degli Enotri nemmeno se lo avessero tritato.:mrgreen:

Io credo che il problema su chi sia nata prima, tra Mafia e Unità d’Italia, resti ben aperto proprio come quello che riguarda l’uovo e la gallina.

Rocco Chinnici aveva certamente ragione nell'intervista citata sopra, ma la criminalità organizzata non inizia ad esistere dal momento in cui le si trova un nome.
Inizia ovunque l’uomo cominci a vivere in gruppi.

Un esempio paradigmatico di malavita milanese nel Seicento lo offre Manzoni: Don Rodrigo con i suoi Bravi, il conte Attilio e soprattutto l’Innominato, storicamente identificabile in Francesco Bernardino Visconti, ricco e spietato capo di una squadra di delinquenti che dettava legge sul territorio.
Tutte figure molto simili agli attuali boss o potenti collusi per ottenere favori e protezione.

Riguardo ai fatti risorgimentali, poi, l’alleanza tra Garibaldi e i picciotti siciliani non è più un mistero: l’eccidio di Bronte è lì a testimoniarla.
Lo stesso Garibaldi annoterà: “E Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta, 11 maggio 1860".

Altro fatto sconcertante fu la decisione dei piemontesi di “istituzionalizzare” la Camorra a Napoli. La prova la fornisce lo stesso prefetto Liborio Romano che scrisse a Salvatore de Crescenzo, esponente della camorra: “redimersi per diventare guardia cittadina, con quanti compagni avesse voluto, col fine di assicurare l’ordine. In cambio, i camorristi irregimentati avrebbero goduto di amnistia incondizionata e stipendio governativo”.

Stato e Mafia erano già culo e camicia quando il deputato repubblicano Napoleone Colajanni, nel 1900, affermava Parlamento: “Per combattere e distruggere la mafia, è necessario che il Governo Italiano cessi di essere il re della mafia”.
Per non parlare di un altro elemento fondamentale che entra in questo gioco Stato/Mafia da protagonista, direi quasi da “ago della bilancia”: la Massoneria.

Non mi sembra corretto far partire la storia della delinquenza organizzata dall’Unità d’Italia, perché già esistevano germi di prepotenze e sacche di criminalità controllate dai potenti di turno, in barba allo Stato di turno (nella Sicilia dominata dai Romani la vicenda di Cicerone vs. Verre mi sembra che dica abbastanza).

Quel che mi pare più giusto affermare, invece, è che le radici malavitose – storicamente ben affondate nel terreno di tutta Italia (e non solo del Sud) – siano state coltivate a dovere dopo l’Unità, tanto da far nascere diversi alberi, uno dei più rigogliosi chiamato Mafia.
 
Parto da Candy.
Suppongo che tu paghi le tasse. I tuoi soldi servono per offrire dei servizi al cittadino. Tra tali servizi si includono le Autostrade e le Ferrovie. L'ente che doveva costruire le autostrade era l'ANAS, uno dei migliori enti che abbiamo avuto in Italia. Ora fai un piccolo sforzo e cerca di ricordare come è fatta l'Italia. Ci sei? Ebbene l'Italia negli anni '50 fece un piano autostradale imponente, una rete di chilometri inimmaginabile in quel periodo negli altri paesi europei. Qualcuno però fece notare ai dirigenti dell'ANAS, i quali si attennero a direttive politiche, che in quel mastodontico piano mancava qualcosa. Quel qualcosa erano le autostrade nel Meridione, il piano prevedeva l'arrivo a Roma, fu concesso un prolungamento per Napoli. E la Calabria? E la Lucania? E la Puglia? E la Sicilia?
Prova a leggere "Senza pedaggio" e poi tornerai a dirmi che al Nord sanno gestire meglio le risorse. E così è per le Ferrovie. Riesci a sentire le interviste di Moretti AD delle Ferrovie? La priorità è il nord? E Matera che a 150 anni dall'Unità è ancora senza il collegamento delle Ferrovie dello Stato?
Perché mi chiedo, ma forse dovresti chiedertelo tu. Perché Messina Trapani impieghi una vita e Milano Roma ci arrivi in tre ore?
Torno un secondo alla mia delinquenza. Sai il costo di un chilometro di Alta Velocità della Roma Napoli? Si va dai 20 ai 25 mln di euro. Sai quanto costa in Francia e Spagna un chilometro di alta velocità? 9-10 mln di euro. Immagino il tuo sospiro di sollievo leggendo ciò. Sto dimostrando con i dati che siamo geneticamente delinquenti, d'altronde c'è un museo pagato con soldi dello Stato, dunque anche i miei, che lo dimostra. Il Museo Lombroso di Torino, dove è facilmente individuabile la mia fossetta occipitale, chiaro indice dell'uomo delinquente meridionale.
Tuttavia vorrei aggiungere, facendo leva sulle tue conoscenze geografiche, il costo di un chilometro di Alta Velocità tra Torino e Milano. Il costo è di quasi 55 mln di euro. Mi dirai: ma tra Torino e Milano ci sono gallerie da scavare e viadotti da innalzare. Sarebbe vero se il riso crescesse inerpicato tra le montagne.

Continuiamo. Dalla geografia, passiamo alla storia. Hai rimembranza del punto ove sono sbarcati gli Alleati durante la seconda Guerra Mondiale? Sono sbarcati da te e hanno risalito la penisola. Il Meridione d'Italia è stato teatro di guerra per oltre un anno. Ponti distrutti, infrastrutture (poche) rase al suolo, morti e distruzioni fin nei più piccoli borghi appenninici (parlo con cognizione di causa). Per farla breve i danni maggiori la guerra li fece al Sud. Torniamo all'Economia, oppure semplicemente al buon senso. Se devo ricostruire un paese parto dalla zona maggiormente colpita. Non la pensarono così gli industriali del Nord. E durante una riunione con loro, Di Vittorio uscì in lacrime dalla stanza. Si era deciso che i soldi del Piano Marshall andassero a ricostruire la zona più produttiva del Paese (Nord), poiché giustificazione lapalassiana, dare soldi a qualcosa che c'è già produce ricchezza da subito. La domanda che mi pongo: non era meglio usare quei soldi per ricostruire dove si era distrutto? Magari a quest'ora non avrei sentito Candy Candy pontificare sulla mia colpa di Meridionale, sfaticato e senza iniziativa, nonché arraffone.

Continuo col Divino. Divino! fino a prova contraria l'Alto Adige è territorio della Repubblica italiana e in una nazione che si rispetti se il Parlamento decide che un giorno deve esser di festa, si fa festa anche a Jenesien o meglio San Genesio.
La tua Italia è quella, pienamente d'accordo, vorrei solo aggiungere che "quella" almeno finché Durnwalder non opta per l'autoproclamazione dell'Alto Adige come nuova provincia dell'Impero Austro - Ungarico, è anche la mia Italia.


Shoofly, che altro aggiungere al tuo post. Parmenide è nato ad Elea e non mi sembra di aver detto che fosse nato a Poggibonsi. I delinquenti come i bravi c'erano dappertutto,ma la criminalità elevata a "sistema" di governo è tutta unitaria. D'altronde pur leggendoti un paio di volte non vedo contrarietà in ciò che hai scritto. Bronte forse dovresti approfondirlo meglio. I picciotti c'entravano davvero poco con quell'eccidio.


FabioG, io l'immondizia la porto fuori tutte le notti. Nel mio borgo la differenziata è al 65%. Il mio problema sai qual è? L'immondizia, ma non la mia, la tua che fino ad ora sei venuto a seppellire in quella che una volta io chiamavo Terra di Lavoro. Ti basta prendere un'inchiesta a caso ("Nord Sud"). Ti basta sapere che i delinquenti del Sud, smaltiscono l'immondizia dei tuoi imprenditori, o forse dovrei dire dei delinquenti del nord per 10 centesimi al chilo invece dei canonici 40-60 che dovresti pagare per uno smaltimento legale.
Mi infastidisce sempre più esser chiamato ladro da chi è entrato in casa mia e mi ha fregato il portafoglio.

Continuo con Skitty. Cara Skitty, torno a ripeterlo e non mi stancherò di farlo. Questo è un forum, non una San Vincenzo. Ci sta tutto che i toni siano un po' accesi, l'importante è che non si trascenda in insulti personali.


Un saluto terronico, Baldassarre gratia Dei si quid est
 

Ira

Retired member
Vi informiamo che mercoledì 9 marzo p.v. alle ore 15.30 nell'Aula Nievo
del Palazzo del Bo si inaugura un ciclo di conferenze sull'Unità d'Italia
promosso dall'Istituto Veneto per la storia della Resistenza e dell'età
contemporanea e il Dipartimento di Storia in collaborazione con
l'Assessorato alla Cultura del Comune.
Alla lezione inaugurale saranno presenti il M. Rettore e il Sindaco di
Padova.
Il programma è disponibile al seguente indirizzo


http://www.unipd.it/unipdWebServices/ShowBinary/wwwunipd/FILE/documenti/agenda/unita2011.pdf
 

Shoofly

Señora Memebr
Parmenide è nato ad Elea e non mi sembra di aver detto che fosse nato a Poggibonsi. I delinquenti come i bravi c'erano dappertutto,ma la criminalità elevata a "sistema" di governo è tutta unitaria.

Bronte forse dovresti approfondirlo meglio. I picciotti c'entravano davvero poco con quell'eccidio.

Neanch'io ho detto che fosse di Poggibonsi, ho semplicemente detto che non era enotrio nè avrebbe desiderato esserlo (l'orgoglio cittadino greco era smisurato :mrgreen:). La filosofia è trapianto greco e non farina del sacco indigeno (a meno che non salti fuori qualcosa di nuovo dalle fonti archeologiche che ci dimostri il contrario...ma è difficile).
Gli Enotri avevano aspetti culturali propri e di tutto rispetto ma non superiori a quelli di Veneti, Reti, Liguri, Celti, Piceni, Umbri, Latini, Campani e Japigi. Nessuno dei sopracitati si dondolava dagli alberi quando nelle colonie del Sud si discuteva di Tutto e di Niente.
Magari non conoscevano l'uso della moneta ma i propri affari li sapevano gestire benissimo.:mrgreen:

Ma passiamo alle cose serie.
A proposito dei fatti di Bronte. Non li ho citati a caso. Forse è mancato il giusto inquadramento nel discorso.
Provvedo.

Sappiamo che fu la criminalità organizzata (aka malandrini, aka protomafia, aka che te pare, sempre organizzati erano, più o meno bene) a sostenere economicamente e in armi lo sbarco dei Mille, fin da Marsala.
Le “famiglie” non solo offrirono l'aiuto militare dei picciotti a Garibaldi, bensì si adoperarono economicamente per corrompere alcuni ufficiali borbonici, che lasciarono la strada libera agli unitaristi in più di un'occasione.
I mafiosi reclamarono la loro ricompensa poco dopo, quando le truppe garibaldine furono chiamate a sopprimere i moti contadini che pensavano finalmente di potersi sbarazzare dei borghesi che li sfruttavano (vedi Bronte).
Per contro va detto che anche i Borboni, nella fase in cui la guerra sembrava già quasi persa, ricorsero all'ingaggio dei picciotti come “guardia civile”. L'idea fu del già citato prefetto Liborio Romano, una controversa figura che non tardò a tradire Re Francesco II di Borbone quando la situazione era oramai compromessa.

Rimango dell'idea che la Mafia non sia un'invenzione postUnitaria ma semplicemente il prodotto, riveduto corretto e coltivato, di un fenomeno che è tristemente tipico di tutte le terre di conquista dove "sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia".

Il fenomeno si chiama Stato nello Stato e si manifesta nella spiccata tendenza a cercare aiuto "fuori" dalle istituzioni, percepite come incapaci e indesiderate - nel migliore dei casi - quando addirittura nemiche. La mafia rappresenta, sempre a mio modo di vedere, un antico potere defraudato che si rifà :shock:a modo suo.
 
Ultima modifica:

Shoofly

Señora Memebr
Vi informiamo che mercoledì 9 marzo p.v. alle ore 15.30 nell'Aula Nievo
del Palazzo del Bo si inaugura un ciclo di conferenze sull'Unità d'Italia
promosso dall'Istituto Veneto per la storia della Resistenza e dell'età
contemporanea e il Dipartimento di Storia in collaborazione con
l'Assessorato alla Cultura del Comune.
Alla lezione inaugurale saranno presenti il M. Rettore e il Sindaco di
Padova.
Il programma è disponibile al seguente indirizzo


http://www.unipd.it/unipdWebServices/ShowBinary/wwwunipd/FILE/documenti/agenda/unita2011.pdf

Grazie Ira! :D

Interessante..... se fossi di quelle parti non me lo perderei.....
 
Come preferisci Shoofly. Se mi dici che Parmenide non avrebbe chiesto la cittadinanza italiana non posso non crederti, anche se ti facevo più giovane.

Torno sulla strage di Bronte, secondo me citata fuori luogo per quanto riguarda il rapporto Stato/Picciotti.
Premetto che il mio libro di storia contemporanea del Liceo, liquida la strage di Bronte con poche parole, "a seguito di una rivolta contadina il generale Bixio fu costretto a riportare l'ordine".

E fin qui un plauso al macellaio Bixio. Quello che il mio libro non dice, erano i soprusi patiti dai poveracci di Bronte, soprusi a cui Garibaldi aveva detto, anzi decretato di voler porre rimedio. Ciò non avvenne a Bronte e i villici pensarono bene di farla da loro la rivoluzione. In Francia è festa nazionale la presa della Bastiglia, da noi aver reagito con la violenza a secoli di soprusi ti etichetta come feroce masnadiero.
Sta di fatto che l'arrivo del Poulet inviato per sedare la rivolta aveva ottenuto il suo effetto.
Ma agli inglesi non bastava, loro, i proprietari della Ducea di Nelson, volevano una punizione esemplare. Chiamarono il Nizzardo e gli presentarono il conto: Compagno Garibaldo, ti abbiamo aiutato durante lo sbarco e favorito in tutti i modi, ora colpisci Bronte e tutela la Ducea.
E il Garibaldo così fece. Inviò il macellaio Bixio che prese quattro cittadini a casaccio, compreso lo "scemo del villaggio". L'avvocato Lombardo, colui che era a capo dei contadini, ma aveva tentato in tutti i modi di fermare la strage, si consegnò a Bixio. Lombardo non aveva colpe, anzi cercò di tranquillizzare gli animi senza riuscirci. Il consegnarsi a Bixio era per comunicargli tali cose.
Invece il macellaio lo fece arrestare e dopo un processo farsa durato poche ore li fucilò.
Ecco cosa successe a Bronte. I picciotti come li chiami tu, d'altra parte una cosa è un picciotto, due tre, altra è la mafia elevata a sistema, non hanno nessun ruolo in questa strage.

Posso anche concordare con te. Siamo stati sempre colonia di qualcuno, tuttavia a differenza degli altri popoli del sud Europa, greci, turchi, spagnoli, noi non eravamo mai andati via. Non eravamo mai emigrati. Il nostro esodo, di proporzioni bibliche, che ancora non vede la fine è iniziato 10 anni dopo l'Unità d'Italia. Prima briganti e dopo emigranti.

Su Liborio Romano necessitano alcune precisazioni che ci saranno.

"Sappiamo che fu la criminalità organizzata a sostenere economicamente e in armi lo sbarco dei Mille..."

Magari fammi sapere dove l'hai letto, perché riconosco la mia ignoranza, ma io non conosco nessuna criminalità "organizzata" nell'accezione moderna, che fosse presente in Sicilia, Campania e Calabria prima dell'Unità.
 
Ultima modifica:

Shoofly

Señora Memebr
L'ho letto in diversi testi:

  • A. SERVIDIO, L'imbroglio nazionale: Unità e Unificazione dell'Italia (1860-2000), Napoli 2002, p. 83 ss. (e p. 106 per i fatti di Bronte; non c'erano solo gli inglesi a dettar legge da quelle parti).

  • N. COLAJANNI, Nel Regno della Mafia, Brindisi 2009, p. 41 ss.

  • G.C. MARINO, Storia della Mafia, Roma 1998, p. 31 ss.

  • P. PEZZINO, Le Mafie, Firenze 1999, p. 11 ss. e p. 125.

  • M. CALLARI GALLI, G. HARRISON, Nè leggere, nè scrivere, Roma 1887, p. 59.

  • A. CHILLURA, Coscienza di chiesa e fenomeno mafia: analisi degli interventi delle chiese di Sicilia sulla mafia, Palermo, 1990, p. 21 ss.

P.s. Al tempo di Parmenide non c'ero (ancora) ma "sappiamo" :mrgreen: che i locali (italiani, va', chiamiamoli anacronisticamente così) non erano proprio entusiasti di convivere con quei rompiballe dei Greci che andavano barattando "specchietti" in cambio di lingotti di rame.
 
Ultima modifica:

Shoofly

Señora Memebr
Prego.
Ancora non ho capito che vuol dire undicicaratteri (qualcuno me lo spieghi, perpiacé :W) ma penso niente di "insultorio" :mrgreen:
 
Se tu mi avessi risposto solo prego invece di aggiungere la frase successiva, l'avresti capito. Undici caratteri è la lunghezza minima del messaggio per essere postato.
 

Shoofly

Señora Memebr
Nel caso in cui fossi (o vi fosse qualcuno) interessato alle questioni "Cose Nostre" segnalo altri tre testi che meritano attenzione:

G. TESSITORE, Il nome e la cosa. Quando la mafia non si chiamava mafia, Milano 1997 (in particolare pp. 57-84), presenta un ottimo quadro documentario
come anche il saggio di Marc Monnier sulla camorra (pubblicato nel 1863), del quale c'è una buona presentazione qui.

Infine: M. ONOFRI, Tutti a cena da Don Mariano, Milano 1996 (questo affronta il tema partendo dal versante letterario).
 
Il trombettiere di custer

IL TROMBETTIERE DI CUSTER


E ora Napoli, a passo di carica. Con Garibaldi che accelera, precede le truppe, entra in città da solo in carrozza tra la folla in delirio. E, poiché siamo sulla strada, è tempo che vi dica la storia di John Martin, alias Giovanni Martino di Sala Consilina, paese tra Basilicata e Salerno. Il trombettiere John Martin, camicia rossa e poi soldato blu. Me la porto dietro dall' inizio del viaggio, da quando ho incontrato a Perugia la banda garibaldina di Mugnano, capitanata dal novantenne Virgilio Riccieri, generale dei lagunari in pensione. Fu lui a dirmela per primo. Giovan Crisostomo Martino- ecco l' anagrafe di questo figlio dell' Italia grecanica - ha otto anni quando nella piazza di Sala arriva l' arcangelo biondo in marcia su Napoli. Lo vede e urla come un' aquila che gli vuole parlare. Garibaldi lo sente e dice: «che cosa vuoi da me, ragazzo?». Giovan chiede di partire con lui ma il generale dice: «sei troppo piccolo, non puoi sparare ancora». Risposta: ma no, io voglio solo suonare la tromba. Allora l' uomo col poncho promette: «quando sarai più grande verrai con me». E difatti accade. Nel 1866, Martino quattordicenne suona la carica di Bezzecca, unica vittoria italiana della terza guerra d' indipendenza. Ma ora viene il bello. Con l' unificazione, al Sud la miseria aumenta e Giovan, come altri sei milioni di meridionali, emigra. In quegli anni non c' è paese che non abbia l' ufficio di una qualche compagnia di navigazione, pronta a vendere biglietti. Il biglietto di Martino da Sala Consilina è per l' America, dove Dio vuole che ci sia un' altra epopea in corso, la conquista del West. L' italiano ci si butta da garibaldino, diventa John Martin e riesce a farsi prendere, sempre come trombettiere, dai mitici cavalleggeri del generale Custer. Ma a Little Big Horn accade che gli indiani circondino i soldati; la situazione è così disperata che Custer ordina a Martin attraversare le linee nemiche e chiamare rinforzi. John riesce nell' impresa, ma quando torna con truppe fresche, Custer e i suoi sono già tutti morti e l' ex ragazzinotrombettiere di Garibaldi, Giovan vincitore di Bezzecca, diventa l' unico superstite del Settimo Cavalleggeri in quella storica battaglia. «John Martin, John Martin / sei diventato americano / ma un po' del cuore / l' hai lasciato ancora qui / a Sala Consilina, Italy» fa una canzone, testo e musica del generale Riccieri. L' ex camicia rossa diventerà sergente maggiore, sposerà un' americana, avrà cinque figli e un esercito di nipoti. Chiuderà pacificamente la sua carriera facendo il bigliettaio sui tram di New York, dimenticato dalla storia. Ma più forte è il mito, più è forte l' anti-mito, leggo negli appunti di Mario Isnenghi. Figurarsi qui a Sud, nel buco nero della disillusione unitarista. Cose tremende si dicono di noi camicie rosse. Per esempio che l' ingresso a Napoli di G. fu gestito dalla camorra (Liborio Romano era e rimase capo della Polizia), in un "patto scellerato" firmato già allora. E noi che dovremmo fare, caro compagno-ombra, Cariolato Domenico da Vicenza padrone della mia camicia rossa: far finta di non sentire? No. Sono certo che G. reggerà anche a questo. Lui fu movimento, speranza. La delusione arrivò dopo. Per l' ingresso del re a Napoli non vi I SOLDATI ITALIANI E IL SOGNO AMERICANO "Figli di Partenope, Soldati Italiani armati contro di noi, io vi ho veduti sui campi di Calatafimi, e di Palermo ed ho ravvisato in voi i lineamenti dei coraggiosi miei compagni, lo stesso slancio, lo stesso valore <...&" (Giuseppe Garibaldi, All' Esercito Napoletano, 13 giugno 1860) "Mio caro amico, non è esatta la notizia data dai giornali ch' io vada negli Stati Uniti. N' ebbi, e ne ho grande desiderio, ma sono molti i motivi che me lo vietano. <...& Ditemi pure se si tratta dell' emancipazione dei neri o no. Sarei ben felice d' esservi compagno in una guerra ove andrei ben volentieri per dovere e per simpatia" (Giuseppe Garibaldi a J. W. Quiggle, console degli Stati Uniti ad Anversa, Caprera, 27 giugno 1861) (citazioni a cura di Eva Cecchinato) fu un briciolo dell' entusiasmo popolare manifestato per lui. Ci furono porcherie? Lo sapeva anche Garibaldi. «Il Suo governo- scriverà a Vittorio Emanuele - è più odiato di quello dei Borboni, gli amici suoi sono gente interessata, che prima o poi la tradiranno». Senza paura dunque, andiamo oltre la storia bella di John Martin e rovistiamo altrove. Vi ricordate? Lo storico Nino Buttitta a Palermo ci aveva parlato del naufragio e della morte di Ippolito Nievo,e ci aveva detto che quello era stato «il primo delitto di Stato italiano, un caso Mattei dell' Ottocento». È per capirne qualcosa di più che stasera ci fermiamo a Salerno, davanti ai faraglioni di Amalfi. Lì dopo la nave di lui stranamente affondò in una notte di bonaccia. Palme sul lungomare, sole albicocca dietro Capri. Al caffè, lo storico Roberto Martucci, autore de "L' invenzione dell' Italia unita", racconta. C' erano ladri intorno a Garibaldi, una miriade. Lui faceva la guerra, probabilmente non se ne accorgeva o non aveva tempo di occuparsene. Pur di vincere in fretta, lasciò unirsi a lui strani personaggi dalle facce patibolari e sottovalutò le conseguenze di quelle cattive compagnie. Nievo invece vide, capì, scrisse i suoi rapporti. Ed è possibile che la sua nave, che conteneva quei suoi documenti, sia stata fatta saltare in aria da quei ladri infiltrati. È un fatto: la sconfitta delle Due Sicilie fu segnata da una malversazione planetaria. Pensate, il Regno conteneva, da solo, due terzi dell' intero circolante italiano e Cavour contava su quel denaro per pagare i debiti enormi della guerra di Crimea e della seconda guerra di indipendenza. Invece quei soldi sparirono. Racconta Martucci: «Sparì l' equivalente dell' intera riserva aurea della Banca d' Italia, e il Piemonte rimase all' asciutto. Al punto che per onorare quei debiti ci vollero 55 anni, fino alla vigilia della Grande Guerra». Quanto di più potremmo capire del Risorgimento se rinunciassimo alla retorica. Le camicie rosse ebbero 24 mila effettivi, ma per loro vennero ordinati ben 60 mila cappotti, e di questi oltre metà non arrivò a destinazione o finì al mercato nero. Ma queste ruberie furono nulla di fronte al Grande Ammanco, l' azzeramento del Banco di Napoli. Chi rubò quel denaro? La mafia e la camorra? Oppure le industrie del Nord per finanziarsi il boom che seguì la conquista del Mezzogiorno? Oppure i ministri di re Franceschiello comprati da Cavour? Forse solo il pignolissimo Nievo - onesto piantagrane che rese la vita impossibile ai suoi vertici - riuscì a fiutare una pista, e forse per questo morì. Non se ne parla, si dice, per carità di patria. Ma che senso ha? Non parlarne significa solo regalare argomenti ai detrattori della nazione.E poi tutte le grandi nazioni hanno alle loro spalle storie indicibili. Le hanno, eppure non fannoa pezzi il loro mito fondativo. In fondo, John Martin contribuì a sterminare pellirosse per conto dello stato americano: ma non per questo l' America lo bolla come criminale e si lascia corrodere da una cupio dissolvi lontanamente paragonabile a quella italiana. Garibaldi uccise, dicono leghisti e neoborbonici. Ma Giulio Cesare cos' era? Uno che distribuiva caramelle? No, il mito della camicia rossa tiene, forseè l' ultima cosa che ci resta per mantenere unito il Paese.E regge anche la leggenda di Cavour. Martucci giura: «Non abbiamo avuto mai più un premier simile. Fu l' unico a ragionare in grande. Per fare l' Italia il piccolo Piemonte mandò in Crimea 15 mila uomini, più di tutti i soldati italiani di oggi in missione all' estero. Non le pare che basti?». - PAOLO RUMIZ

" la carica di Bezzecca, unica vittoria italiana della terza guerra d' indipendenza", facile per Cialdini e compagni massacrare civili inermi, molto più difficile vincere contro un esercito schierato.
 
Meridione annesso, non connesso.

L’Unità d’Italia è morta di parto 150
anni fa, quando il Sud fu conquistato,
annesso e non connesso: ancora
oggi aeroporti insufficienti,
Salerno-Reggio Calabria, rete ferroviaria
ottocentesca (e decurtata di mille chilometri
rispetto a prima della Seconda
guerra mondiale). E oggi come allora, il
Nord insulta, il Sud si lascia insultare. Si
potrebbe approfittare dell’anniver sario
per unirlo davvero il Paese, non solo a
chiacchiere, inni e bandiere. Le Ferrovie
dello Stato (pagate pure dai meridionali),
che bruciano 54 milioni di euro a chilometro
per ampliare l’Alta velocità al
Nord (Francia e Spagna spendono sei
volte meno, curioso...), potrebbero finalmente
far arrivare il treno a Matera, il
cui sindaco, già nel ‘900 invidiava le colonie
africane, cui non si negò “il conforto
della vaporiera”.
SI POTREBBE mandar via Bossi, ministro
che predica l’anti-mer idionalismo
(vedi l’autobiografia), chiama “p o rc i ”i romani
e minaccia il ricorso a milioni di fucili
(ridevano così pure a Belgrado); o il
collega Calderoli che definisce “topi da
d e ra t t i z z a re ” i napoletani; o Brunetta,
manco ufficialmente leghista, per il
quale i campani sono “c a n c ro ”
(malattia che si brucia o si estirpa con il
bisturi). Immaginate altrettanto in Paesi
davvero uniti, sia pur da poco, come la
Germania. Si potrebbe cominciare a raccontare,
a scuola, che il Risorgimento
non fu l’impresa di mille eroi e un Sud povero,
arretrato e oppresso. Così povero,
che l’oro sottratto al Banco di Napoli oggi
varrebbe 1.500 miliardi di euro; i due terzi
del denaro circolante in Italia erano a
Sud e il restante terzo negli altri Stati preunitari
messi insieme: il Consiglio Nazionale
delle Ricerche ha dimostrato che il
divario economico Nord-Sud non esisteva
nel 1861. Era così arretrato, il Sud, che
i più grandi e moderni stabilimenti siderurgici
e meccanici e navali d’Italia erano
in Calabria, a Pietrarsa, Napoli e Castellammare
di Stabia: quando il Piemonte
costruì la ferrovia (dopo i Borbone), comprò
a Napoli la locomotiva (ma Piemonte
e Lombardia avevano dieci volte le ferrovie
del Sud, vi diranno: scorretto raffronto
fra due regioni senza sbocco sul mare e
un Paese marinaro, che investì in trasporti
navali e creò una delle maggiori flotte
c o m m e rc i a l i ) .
TANTO ARRETRATO il Sud, che
due fuoriusciti napoletani fondarono a
Torino le cattedre di chimica e di economia
politica (invenzione partenopea, come
l’archeologia, la vulcanologia, la moderna
storiografia). Era tanto oppresso, il
Sud, che, per Napoleone III gli “errori e
or rori” dei Savoia in un anno, i Borbone
non li commisero in un secolo (protestarono
pure Bixio il sanguinario e Garibaldi!).
Si sterminarono, a Sud, da 100 mila
persone (Giordano Bruno Guerri) a dieci
volte tanto, secondo i gesuiti di Civiltà
Cattolica. I primi campi di sterminio in Europa
(ma non chiamateli così, qualcuno si
offende) sorsero per eliminare decine di
migliaia di meridionali: nella fortezza di
Fenestrelle li squagliavano nella calce viva.
I bersaglieri ebbero libertà di saccheggio
e stupro: a Pontelandolfo violentarono
e uccisero sull’altare le
donne rifugiate in chiesa; e
davanti ai genitori; o legate
nude in piazza. I superstiti,
dopo le fucilazioni in massa
(come in decine di altri paesi),
furono arsi vivi nelle case.
(Galli della Loggia e Cazzullo,
sul Corriere della Sera,
mi rimproverano il paragone
fra tali eccidi e quello nazista
di Marzabotto. Sono citazioni:
da Carlo Alianello a una
delle più autorevoli firme del
Corriere della Sera. Ma non ditelo
ai due...). Se la storia di
vinti e vincitori non diventerà
storia di tutti, ugualmente
onorata (come negli Stati
Uniti, in Giappone, nati da
guerre fratricide come noi),
per tradursi in equità, non saranno
le nobili esortazioni a
unire il Paese.


Pino Aprile
 
Alto