Le donne che hanno fatto la storia

Le MUJERES LIBRES di Catalogna

(durante la guerra civile)


Nel 1936 un gruppo di donne fondò le mujeres libres (le donne libere) gruppo di ispirazione anarchica. L’organizzazione si prefiggeva di liberare le donne dal loro ruolo di schiave dell’ignoranza, e della famiglia.

Cominciarono a partecipare attivamente alla lotta contro il fascismo, non più semplici spettatrici ma protagoniste di quella nuova società che stava nascendo in Spagna. Si armarono ed andarono a combattere al fronte, vestite dello stesso “Mono azul” (tuta da operaio) che portavano gli uomini, uguali a loro in tutto.

Non si trattava di una forma di femminismo, la loro intenzione non era quella di sostituire una gerarchia costituita da uomini con un’altra costituita da donne, perché con queste premesse non si sarebbe potuto nemmeno più parlare di rivoluzione sociale.

L’educazione e la cultura erano considerati due fattori importantissimi nel lavoro di emancipazione da loro iniziato. Tutti i gruppi femminili si occuparono dell’analfabetismo di migliaia di donne spagnole e affrontarono la domanda di programmi educativi per adulti. Tutte le organizzazioni femminili rivendicarono il diritto delle donne alla preparazione professionale, ed al lavoro garantito e pagato a parità di salario con l’uomo.

Come collettivo sociale le donne cominciarono a fare sentire la loro voce , a pubblicare riviste sulle quali si discuteva di antifascismo, politica, guerra, necessità delle donne etc.

Una delle priorità delle organizzazioni femminili fu quello di risolvere il dilemma della prostituzione e dei rapporti personali, e di conseguenza elaborarono una riforma sessuale che prevedeva l’aborto, il divorzio, e l’assistenza medica sanitaria gratuita.
 
CAMILLA RAVERA

Camilla Ravera, classe 1889, morta quasi centenaria, e il partito di cui assunse le redini è il partito Comunista d’Italia. Camilla nacque ad Acqui Terme, in provincia di Alessandria ed era un’insegnante.

Un’insegnante per quegli anni fuori dal comune perché fuori dalle aule, Camilla seguiva in maniera attiva la politica, tanto da diventare nel 1921 una delle fondatrici del partito Comunista d’Italia (PCd’I), per poi assumere subito la guida dell’organizzazione femminile del partito, fondando anche il periodico La compagna.

Nel 1927 Camilla venne nominata segretaria del PCd’I. Sono anni difficili, il fascismo incombeva e la donna fu costretta anche a lasciare il Paese.

Nel 1930, di ritorno in Italia dalla Francia, dove aveva vissuto clandestinamente, Camilla venne arrestata e condannata a quindici anni e mezzo di carcere che trascorse fino alla fine del fascismo tra carcere e confino.

Fu l’ultima dei confinati a lasciare Ventotene insieme a Umberto Terracini con il quale fu nel 1939 espulsa dal partito per aver condannato il patto Ribbentrop - -Molotov, concordato russo – tedesco per la spartizione della Polonia.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, Camilla sapendo di essere di nuovo ricercata riparò in un casolare tra le colline che diventò presto luogo di incontri politici.

Ma i fascisti arrivarono anche in quella zona iniziando a dare fuoco ai casolari, costringendo così i “clandestini” ad abbandonare il loro rifugio.

Rientrata a Torino dopo la liberazione, Camilla Ravera venne riammessa nel Pci e divenne consigliere comunale. Successivamente fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane (UDI) e nel 1948 venne eletta deputata.

I suoi interessi hanno riguardato in particolare le condizioni delle donne e le battaglie a favore della pace.

Nel 1982 fu la prima donna italiana ad essere nominata senatrice a vita. Il primo giorno a Palazzo Madama, i senatori, riuniti in assemblea plenaria, l’accolsero in piedi.

Camilla aveva allora 93 anni e raccoglieva ancora i frutti di una vita lunga ed intensa che sarebbe arrivata al crepuscolo solo sei anni dopo, proprio alla soglia dei cento anni.

ECCOLA IN UNA BELLA IMMAGINE CON TERRACINI:

http://www.barbierimarco.org/wp-content/gallery/album-di-famiglia/camilla-ravera.jpg
 
l' U.D.I

(cito dal web)

Il 12 settembre 1944 nasce nella Roma appena liberata l’UDI (Unione Donne Italiane),
che, raccogliendo le esperienze elaborate dai Gruppi di Difesa della Donna (GDD) durante
la Resistenza, si propone di “unire tutte le donne italiane in una forte associazione che
sappia difendere gli interessi particolari delle masse femminili e risolvere i problemi più
gravi e urgenti di tutte le donne lavoratrici, delle massaie e delle madri”. *
Il Primo Congresso Nazionale (Firenze, ottobre 1945) ha carattere fondativo e segna
l’unificazione tra l’UDI e i GDD, i Gruppi di Difesa della Donna che avevano operato
nell’Italia settentrionale dal 1943 in collegamento col CLN (Comitato di Liberazione
Nazionale).
Nell’immediato dopoguerra le donne dell’UDI partecipano alla ricostruzione del Paese e, in
virtù del loro lavoro e del loro impegno, entrano a far parte delle prime strutture nelle quali
si riorganizza la vita civile e l’amministrazione pubblica.
Si delineano i primi elementi di una nuova idea di cittadinanza: famiglia, lavoro e pace
sono le principali preoccupazioni di questo periodo (come esplicitato dalle parole d’ordine
del Terzo Congresso Nazionale, Roma, ottobre 1949: “Per l’avvenire dei nostri figli, per la
libertà e il progresso, no alla guerra”).
Negli anni Cinquanta l’UDI si interroga su di sé e sul carattere specifico e unitario che
vuole avere; allo stesso tempo compare un concetto allora considerato eversivo, quello di
emancipazione (“Per l’emancipazione della donna, per una società più progredita e più
giusta, per il disarmo e la pace” sono le parole d’ordine del Quinto Congresso Nazionale,
Roma, aprile 1956; “Per l’emancipazione della donna, una grande associazione autonoma
e unitaria” sono le parole del Sesto Congresso Nazionale, Roma, maggio 1959).
Nel corso degli anni Sessanta l’UDI denuncia il doppio lavoro a cui sono costrette le donne
e chiede che il lavoro casalingo sia riconosciuto come lavoro vero e proprio, battendosi per
la pensione alle casalinghe (1963), per la parità di salario, per il riconoscimento del lavoro
della donna contadina, per il divieto di licenziamento delle donne che si sposavano.
L’UDI comincia inoltre a rivendicare una politica dei servizi sociali: nel febbraio 1965
consegna 50.000 firme raccolte per presentare una legge di iniziativa popolare per
l’istituzione degli asili nido.
Nell’anno precedente si svolge il Settimo Congresso Nazionale (Roma, giugno 1964), nel
corso del quale si fa esplicitamente riferimento al conflitto tra i sessi e si definisce la
società italiana come società maschilista.
Gli anni Settanta sono gli anni delle lotte cruciali, dominati dalle battaglie per il divorzio, la
liberalizzazione dell’aborto, la riforma del diritto di famiglia.
Si andavano intanto formando, verso la fine degli anni Sessanta, diversi gruppi di donne
che avrebbero dato vita al neo-femminismo (gruppi di autocoscienza, collettivi
studenteschi o di quartiere etc): al Nono Congresso Nazionale (Roma, novembre 1973)
l’UDI offre ai gruppi femministi una seduta straordinaria nel corso della quale possano
presentare le loro pratiche, in particolare quel tipo di analisi politica contraddistinta dalla
pratica del partire da sé.
“In tutto il Congresso c’è un vivace confronto tra l’UDI e il neo-femminismo. Il terreno in cui
ci si confronta e scontra è l’esperienza e la realtà dell’aborto: il tema è però paradigmatico
di diverse concezioni della politica e delle donne in quanto soggetti della politica. Tutto
l’arco degli anni ’70 è dominato dalla vicenda dell’aborto.

Ripercorrendo i documenti si può

ricostruire un significativo processo, non privo di aspra conflittualità, che però si risolverà
in un comune sentire e agire tra donne dell’UDI e femministe. Tanti gli episodi, le
occasioni, le circostanze. Fino alla grande manifestazione del 3 aprile 1976 che vede
vivere nell’immenso corteo di protesta contro il voto del Parlamento (che aveva
reintrodotto il principio dell’aborto come reato) l’unità delle donne e, insieme, il convidere di
esperienze storiche diverse. Sul finire degli anni ’70 si moltiplicheranno le occasioni di
incontro quando esploderanno i problemi e le riflessioni sulla violenza sessuale”. **
Anche alla luce dell’incontro-scontro con il femminismo, si apre all’interno dell’UDI una
travagliata fase di riflessione critica sui propri metodi politici e organizzativi, che culminerà
con l’Undicesimo Congresso nazionale (Roma, maggio 1982). In questa sede, portando a
compimento la critica alle tradizionali forme della politica, si decide di abbandonare la
struttura organizzativa verticistica e centralizzata dell’Associazione, optando per nuove
forme di relazione politica tra donne come l’autoconvocazione, l’autoproposizione,
l’autofinanziamento etc.
Significativamente, anche nelle parole d’ordine del Congresso si parla ora di liberazione e
non più di emancipazione (“Noi donne che ci ribelliamo, trasgrediamo, usciamo dalle
nostre case, parliamo tra di noi, ci organizziamo, la nostra politica è la liberazione”).
Ora la realtà dell’UDI diventa più complessa e differenziata, i congressi successivi
affrontano infatti il problema fondamentale della gestione politica delle differenze non
componibili (non a caso le parole d’ordine del Congresso del 1988, il Dodicesimo, sono:
“Diamo voce alle nostre differenze: pratiche e teorie UDI a confronto”).
Con il Quattordicesimo Congresso, svolto in più tappe tra il 2002 e il 2003, si apre una
fase nuova, testimoniata innanzitutto dal cambio del nome: per sottolineare l’intento di
essere luogo che accoglie anche le esperienze e i saperi delle donne che, nate altrove,
vivono in Italia, l’UDI rilegge il proprio acronimo come Unione Donne in Italia.




* L’Unione delle donne italiane si è costituita a Roma, in L’Unità, 21 settembre 1944, cit. in
Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa. L'Unione donne italiane e la costruzione politica
della memoria (1944-1955), Donzelli, Roma, 2005, p. 3
** Marisa Ombra, Introduzione, in Guida agli Archivi dell’Unione Donne Italiane, Ministero
per i beni e le attività culturali, Quaderni della “Rassegna degli Archivi di Stato”, Roma,
2002, pag. 21
 
Mariana de Pineda Muñoz
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Eroina di Granada nata al principio del ciclo XIX che mori' a soli 26 anni per difendere la liberta' liberale.
Nacque il 1 settembre del 1804 a Granada e mori' il 26 maggio del 1831.
In Spagna e' un simbolo popolare della lotta contro la mancanza di libertà.
 

Nerst

enjoy member
Aggiungo una donna, che ha fatto la storia del DNA, ma haimè, dietro le quinte: Rosalind Franklin
studiò il DNA attraverso analisi ai raggi X assieme a Wilkins.

Wilkins insieme a Crick e Watson, vinse il premio Nobel nel 1962, mentre la Franklin non ebbe questa riconoscenza (il 16 Aprile del 1958 all’età di 37 anni muore di cancro alle ovaie a causa della sua esposizione prolungata ai raggi X).

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Edith Flanigen (1929) considerata uno dei chimici più inventivi di tutti i tempi. Nella sua lunga carriera (42 anni) alla Union Carbide, Edith Flaningen si è dedicta alla tecnologia emergente dei setacci molecolari, il cui uso ha permesso, fra le altre applicazioni, la filtrazione ed il frazionamento degli oli grezzi nel corso del processo di raffinazione del petroli. In particolare, il suo lavoro ha consentito la produzione commerciale della Zeolite Y, rendendo la produzione della benzina più efficiente, pulita e sicura.
 
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Ipazia (Alessandria d'Egitto, circa 370 – Alessandria d'Egitto, marzo 415) fu una matematica, astronoma e filosofa greca. Rappresentante della filosofia neo-platonica pagana, la sua uccisione da parte di una folla di cristiani fanatici, per alcuni autori composta da monaci detti parabolani, l'ha resa una martire del paganesimo e della libertà di pensiero.
 

Meri

Viôt di viodi
MADRE TERESA DI CALCUTTA



Madre Teresa di Calcutta, al secolo Anjeza Gonxha Bojaxhiu (pron. aŋɛzə gɔnʤa bɔjadʒi:u, it. Agnesa Gongia Boiagiu; Skopje, 26 agosto 1910 – Calcutta, 5 settembre 1997), è stata una religiosa e beata albanese, di fede cattolica, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della Carità. Il suo lavoro tra le vittime della povertà di Calcutta l'ha resa una delle persone più famose al mondo. Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1979, e il 19 ottobre 2003 è stata proclamata beata da Papa Giovanni Paolo II.
 

dany-nyd

New member
IBARRURI DOLORES, DETTA LA PASIONARIA


Donna politica spagnola (Gallarta, Biscaglia, 1895 - Madrid 1989). Di famiglia di minatori della Biscaglia, sposa un minatore, fu nel 1921 tra i fondatori del Partito comunista spagnolo. Più volte arrestata, nel 1936 fu eletta alle Cortes, di cui fu uno dei vicepresidenti. Durante la guerra civile animò la lotta antifranchista con comizî e interventi radiofonici (celebre lo slogan "Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio") e, dopo la partenza di J. Negrín (1939), si pensò a lei per la presidenza del Consiglio. La vittoria di Franco l'obbligò a espatriare. Rifugiatasi in URSS, assunse nel 1942 l'incarico di vicesegretario generale del Partito comunista spagnolo in esilio che tenne fino al 1960, per divenire presidente del partito. Si dichiarò, da Mosca, per la creazione di un Fronte politico popolare e per una strategia di lotta pacifica al regime franchista. Dopo la morte di Franco e il ripristino della democrazia ritornò in Spagna (1977), dove fu eletta deputato e riconfermata alla presidenza del Partito comunista (1979).
 
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Stephanie Louise Kwolek (1923) ha inventato un materiale le cui fibre sono cinque volte più forti dell'acciaio,ma sono leggere, flessibili e confortevoli da indossare. Mentre lavorava come chimico alla E.I. duPont de Nemours &Co, mise a punto numerose ammidi sintetiche e scoprì i polimeri cristallini liquidi nel 1965. Il frutto più famoso delle sue ricerche è il Kevlar (US Patent 3,819,587), una fibra sintetica dalle numerose applicazioni (giubbotti antiproiettile, cavi per navi e navicelle spaziali, schermi anti-frammentazione per i motori degli aerei, guanti antitaglio, rinforzi per i pneumatici, attrezzature sportive) che ha contribuito anche a salvare numerose vite umane e lo Scotchgard®, il rivoluzionario sistema di impermeabilizzazione.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Rita Levi-Montalcini

A pochi giorni dalla sua morte,ho pensato di aggiungere
Rita Levi-Montalcini (Torino, 22 aprile 1909 – Roma, 30 dicembre 2012) che è stata una neurologa e senatrice a vita italiana, Premio Nobel per la medicina nel 1986.

Rita Levi-Montalcini - Wikipedia
 

Mizar

Alfaheimr
Le donne che hanno davvero fatto la storia... son poche, davvero pochine. Per di più, hanno spesso un significato più che altro simbolico, "sintetico" (ma ciò non riguarda affatto tutti i casi)
Un piccolo elenco:

- La spettacolare Elisabetta I, ineguagliabile donna (altro che certe asine giulive che straparlano di femminismo oggi)
- L' esperta e versata Isabella di Castiglia, un po' la Madre di tutti noi Europei (sotto il segno del Cristianesimo)
- Saffo, la lesbicona: faticheremmo di molto se volessimo dimenticare i di lei versi
- Eleonora d'Aquitania
- Caterina de' Medici
- La Thatcher, due p***e così
- Teresa di Calcutta, p***e ancora più grandi
- Maria Maddalena (o quello che era, insomma...)
- Eva Peron, quanta stima!
- La regina Victoria, una riformatrice silenziosa ed inconsapevole
- Frida Kahlo, genio
- Matilde di Canossa, che incontrò la Storia per caso
- La Luxemburg, un puro emblema
- Caterina la Grande, la quale è probabilmente tra i dieci-venti esseri umani più intelligenti del XVIII secolo
- La incredibile Dickinson, artefice di poesia immortale
- Cleopatra
- Nefertiti
- Giovanna d'Arco
- Maria Antonietta d'Asburgo Lorena, un altro genio incontrastato: non verrà mai dimenticata, per nessuna ragione
- Maria Callas
- Jane Austen
- La Woolf
- Simone de Beauvoir
- Anna Frank
- La Montessori (spero di non essere stato parziale in quanto italiano, ma ritengo sia un[a] pionier[a] a tutti gli effetti)
- Livia (ovviamente! Una mente non meno formidabile che deformata dal male - pura abiezione. Insomma, un genio)

Credo di poter pronosticare, pro futuro, una Ethel Rosenberg e, forse, una Gloria Coates
Ipazia, che è un po' una candidatura simbolica: ad fiduciam :wink:
 
P

ParallelMind

Guest
Ce ne sono state sicuramente di piu`di quelle che pensiamo,perche`spesso grandi uomi avevano grandi donne al loro fianco.
In quell'umile silenzio riservato plasmavano con incredibile energia il nostro piccolo mondo.
 

bouvard

Well-known member
Le Portatrici Carniche

Se aprite un libro di storia, di quelli in uso nelle scuole superiori e andate a leggervi il capitolo sulla Prima Guerra Mondiale quasi sicuramente le Portatrici Carniche non le troverete neppure menzionate, se le trovate citate in un trafiletto di qualche rigo già potete ritenervi fortunati, se poi su di loro trovate addirittura una scheda di approfondimento beh allora gridate pure al miracolo.

Chi erano le portatrici carniche? Cosa fecero?

Sulle montagne del Trentino, del Friuli, del Veneto è ancora possibile vedere i resti delle trincee della Prima Guerra Mondiale. Resti di ormai un secolo fa eppure a camminarci dentro i brividi vengono lo stesso. Le trincee e i soldati erano in alto, sulle montagne, mentre i rifornimenti di viveri, di munizioni, di medicine e delle attrezzature necessarie per riparare qualsiasi cosa avesse bisogno di essere riparata erano giù nel fondovalle. I soldati ne avevano bisogno sia per continuare a combattere, sia per continuare a vivere, perciò non c’era altra scelta bisognava per forza portare tutto quel materiale sulle montagne. E bisognava portarcelo a spalla perché non c’erano altre vie di trasporto. Ma i combattimenti si facevano ogni giorno più serrati, e non si poteva rinunciare neppure ad uomo, rinunciare a tutti quelli che sarebbero serviti per portare ogni giorno tutto quel materiale era semplicemente impensabile. Solo la popolazione civile poteva aiutare i soldati. Ma la popolazione civile erano solo bambini, vecchi e donne. Donne.
E le donne, con il loro forte senso pratico, capirono subito la gravità della situazione e si offrirono volontariamente per il trasporto a spalle di tutto il materiale che serviva agli uomini nelle trincee. Stiamo parlando di gerle – le classiche gerle con cui le donne della Carnia erano solite trasportare legna, fieno, patate ecc. – pesanti 30/40 kg, da trasportare per chilometri e per giunta non su una comoda strada piana, ma lungo sentieri di montagna, in salita e in inverno anche con la neve. Una fatica disumana. Inimmaginabile per noi abituati alle comodità.
Una fatica che richiedeva una grande motivazione, una grande forza di volontà per affrontarla. Ma gli uomini su quelle montagne non erano semplicemente dei soldati. Erano i mariti, i figli, i parenti. gli amici di quelle donne. Non poteva esserci motivazione più grande per loro. “Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan" , "Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame". Non fu necessario aggiungere altro.
Vennero organizzate come un vero e proprio esercito, ognuna di loro aveva un braccialetto rosso al polso con su scritto il battaglione a cui apparteneva. Ricevevano 1 lira e 50 centesimi a viaggio, più o meno 6 euro di oggi per un viaggio massacrante, 6 euro per rischiare la vita. Talvolta nei viaggi di ritorno gli toccava anche portare a fondovalle i soldati feriti che venivano poi condotti negli ospedali militari. E arrivate a fondovalle non c’era il riposo, ma c’erano i bambini e gli anziani rimasti a casa a cui dover pensare, e poi l’orto e la stalla a cui badare. Altro lavoro. Altra fatica.
Alla fine della guerra il bilancio fu di tre Portatrici ferite ed una uccisa: Maria Plozner Mentil. Colpita da un cecchino austriaco morì a soli 32 anni. Nel 1997 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro le conferì “motu proprio” una Medaglia d’Oro al valor militare in rappresentanza di tutte le Portatrici. Nel 1992 al sacrificio di queste donne è stato dedicato un monumento a Timau proprio per mantenere vivo il ricordo del loro esempio eroico.
 

malafi

Well-known member
In questi anni ho visitato tante trincee e gallerie della Grande Guerra sulle Dolomiti e mi sono reso conto dell'insensatezza assoluta di questa guerra di posizione. Chilometri (non metri, chilometri) di gallerie scavate nella pancia delle montagne, pezzi interi di montagna fatti crollare con le mine (è cambiata la morfologia delle montagne ....
Il tutto in zone impervie e ad altitudini sempre superiori ai 2000 metri.

Non avevo mai considerato chi potesse portare i viveri ai nostri poveri soldati: forse perchè davo per scontato che ci pensasse l'esercito stesso a farlo.

Invece scopro dal post di Bouvard che erano le donne delle valli :paura:..... tutto ciò aggiunge insensatezza alla stupidità umana.

Visitare i luoghi della Grande Guerra ti lascia un segno: da un lato ti fa ammirare e compatire queste persone che hanno vissuto anni in condizioni assurde per combattere un'assurda guerra di posizione contro un nemico che in realtà rispettavano tantissimo; dall'altro ti fa inca@@are al pensiero dello spreco di risorse e di vite umane.

Mah ...
 
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