Il tuo discorso è interessante, parecchio. Non credo l'ICF sia riuscito a superare la dicotomia normale-anormale, ed in ogni caso le inadeguatezze della legge sono evidenti. Le norme faticano a tenersi al passo, ed è anche per questo, per via di questo dinamismo, che una parte del problema viene risolto dalla perizia-medico legale. Ma tu, e a ragione, facevi riferimento a problematiche ben diverse. Chiedi: come si conciliano queste due cose? La necessità di garantire la soggettività, la libertà dell'individuo con la sua tutela e la tutela degli altri? E da qui emerge un'altra immensa questione, quella posta in essere proprio da Basaglia, allorché condannava il meccanismo di esclusione, la patologizzazione e dunque l'isolamento del diverso. Chiusi i manicomi, si è dimostrata la vanità di tutto il suo lavoro, in quanto la società non è stata pronta ad assorbire un mutamento tanto radicale nel trattamento del malato. D'altra parte la psichiatria non è che l'istituzione incaricata di trattare la malattia mentale, non dimentichiamo che essa è voluta dalla società. Nelle sue Conferenze Brasiliane, il buon Franco scriveva:
Io ho detto che non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la riduce alla ragione nel momento in cui esiste una scienza che si incarica di eliminarla. Il manicomio ha la sua ragione di essere, perché fa diventare razionale l'irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio, smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato. Il problema è come sciogliere questo nodo, superare la follia istituzionale e riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita.
Di poi, il discorso su scienza e legge m lascia altri spunti. Per cominciare, l'ingerenza dannosissima dell'etica. L'ordinamento giuridico, si sa, è appunto espressione formalizzata dell'etica di un Paese, è questa la sua ragion d'essere: disciplinare il giusto e il meglio. Ma cosa accade se una scienza teoricamente obiettiva ma priva di statuto, si lascia informare dall'ethos? Un certo tipo di patologia oggi compresa nel DSM ha avuto senza dubbio questo tipo di derivazione. E intendo essere provocatorio quando parlo della pedofilia. E' questa una malattia? Può un istinto essere una malattia? No, assolutamente no, la pedofilia, come tutte le alternative all'eterosessualità, è un mero orientamento: la sua - giusta - stigmatizzazione può aversi in sede giuridica, quando se ne condannino gli effetti e si constati il danno su un altro cittadino, nella fattispecie minore; l'essere intimamente dannosa per la società non ne conclude essere malattia, non ci autorizza a dichiararla anormale. E per ora qui mi fermo.
Forse che delle rimembranze pasoliniane arrivano da lontano? Certo Pier Paolo lo aveva previsto: la cultura borghese vede se stessa come unica possibile, essa ammette solamente la sua esistenza come legittima. Non ti dice nulla questo 'dispotismo culturale'? Chi si discosta dall'educazione, quindi dall'etica borghese, cosa è? Un criminale ..oppure un malato.
E' la stessa solfa della 'qualità della vita'. Stiamo decidendo in luogo di un'altra persona se sia normale o meno il disturbo (?) ossessivo compulsivo. Supponendo tra l'altro un'angoscia nei fatti probabilmente inesistente. Posto in altri termini questo argomento avrebbe avuto senso, così com'è invece, lascia trapelare esattamente il fine ultimo della psichiatria: l'uniformità.
Qualcuno che dice le cose come stanno! Non mi stupisce, finora sei il solo ad avere qualcosa da dire.