Morante, Elsa - La storia

ayuthaya

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È sempre difficile commentare libri che sono inequivocabilmente dei capolavori, soprattutto quando di questi libri se ne sono già intessute tutte le lodi possibili. La storia è uno dei più bei libri che abbia mai letto, e forse il più bello in assoluto in lingua italiana (faccio fatica a paragonarlo a Eco, troppo diversi). Ma il perché mi sia piaciuto così tanto, come si fa a spiegarlo?

In questo romanzo c’è tutto, un tutto che non è mai troppo. La grandezza di quest’opera – che pure, come sottolinea il commento alla mia edizione, possiede lo stesso ampio respiro dei poemi epici, dei romanzi picareschi – è nella sua (maestosa) semplicità: non occorre cercarla in chissà quale pieghe recondite e, se è vero che oltre ad essere uno straordinario romanzo è stato anche un coraggioso atto politico, ideologico, quasi non ce ne accorgiamo. Certo al giorno d’oggi tanto del suo originario potenziale “sovversivo” (o almeno di denuncia) non riusciamo a coglierlo, ma quasi quasi è meglio così... quello che resta è, secondo me, l’essenziale: la forza disperata di una donna che lotta contro le proprie paure in un mondo che le appare comunque ostile, il suo viscerale amore di madre, l’incontenibile bramosia di vivere di suo figlio, la natura quasi ultraterrena dell’altro suo figlio, talmente puro e talmente felice da “non appartenere a questo mondo”...Che altro c’è oltre questo? Che altro ci può essere?
La Storia, quella con la “S” maiuscola, quella che si mostra in apertura a ogni capitolo del libro, a me ha dato la paradossale impressione di essere l’unica vera “esclusa”. Mentre leggevo, non mi importava nulla di quello che succedeva “fuori”, e a quanto pare la Storia stessa ha mostrato la propria indifferenza verso la storia di questa misera famiglia (tant’è vero che quando la guerra finalmente finisce, quasi non ce ne si accorge). La verità è che quando si penetra nel cuore di una vita, come la Morante riesce a farci fare in modo sublime, quell’unica vita diventa più importante di qualsiasi altra cosa... e una storia come tante, la quale non meriterebbe nessuna attenzione particolare, diventa la sola Storia possibile. Io mi sento di interpretare così il rapporto fra queste due grandi protagoniste del romanzo.

(da qui in poi possibili spoiler)
C’è poi da dire che il modo in cui la Morante ci racconta le vicende di Iduzza e dei suoi due figli, e di tutta la folla di personaggi che intersecano le loro vite, è davvero straordinario. Descriverlo è impossibile... I personaggi, così veri, così palpitanti, sono allo stesso tempo condannati al loro destino, e la scrittrice non ne fa mistero. Questa è forse la cosa che mi ha sorpreso di più: nessuna forzata suspence cerca di calamitare l'attenzione del lettore. Non serve. La sorte di questi infelici, il senso di ineluttabilità che pesa sulle loro vite, è qualcosa di chiaro fin dal principio: in questa immobilità dolorosa essi muovono tutti i propri passi, di modo che quando uno dopo l’altro i loro destini si compiranno (perché “tutte le vite, invero, hanno la medesima fine”), l’effetto sorpresa (quello che rende così facile la commozione) è ormai nullo, e al suo posto prende spazio tutto la nostra partecipazione di essere umani.
È davvero difficile immaginare come l’autrice sia riuscita in un’impresa così titanica: racchiudere l’umanità intera (in questo senso, sì, la “Storia”!) nelle vite semplici, e semplicemente raccontate, di queste gocce in mezzo all’oceano.

Un’ultima cosa mi ha colpito, e riguarda il tema della “maternità” in questo romanzo. Premetto che ho una personale antipatia verso le “figure femminili” in quanto tali (ovvero “caricate” come tali) nella letteratura. Ma allo stesso tempo anch'io sono una donna, e una mamma. Bè... devo ammettere che non ho mai letto un libro così denso di maternità come questo. E anche qui, senza che si debbano sprecare parole a spiegarla, a descriverla. Sembra che questo romanzo sia fatto di maternità. C’è un’espressione bellissima usata da Cesare Garboli nel commento alla mia edizione, ed è “coppia androgina”. “Questa coppia androgina (quella formata da Ida e Useppe) forma un animale, un’immensa matrioska che risucchia il mondo.
La sola figura poi di Useppe credo che da sola meriterebbe un poema (e davvero il suo personaggio ha la consistenza di una creazione lirica), ma forse le parole più adatte a descriverlo sono quelle usate da Davide Segre verso la fine del libro: “Tu e tuo fratello siete così differenti (...) ma vi rassomigliate per una cosa: la felicità. Sono due felicità differenti: la sua, è la felicità di esistere. E la tua è la felicità... di... di tutto. Tu sei la creatura più felice del mondo.” E poi continua con una sentenza che suona come una condanna a morte: “Tu sei troppo carino per questo mondo, non sei di qua. Come si dice: la felicità non è di questo mondo.
 
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Grantenca

Well-known member
Ho appena terminato la lettura di questo (voluminoso) libro. E' un opera grandiosa per tutti i temi che tocca, lasciando in sottofondo la guerra, che però è assoluta protagonista nel percorso di vita di tutti i protagonisti e alla fine ne condiziona pesantemente l'esistenza. La descrizione dei personaggi, gente per lo più umilissima, è fantastica. Ida, Useppe, la pastora Bella, sono personaggi che ti restano nel cuore, come fantastica è la scoperta del paradiso terrestre presso il fiume da parte di Useppe e la cagna. E' un mondo fantastico che riempie la vita dei personaggi ma anche del lettore. Con meno interesse ho seguito le dissertazioni politico-filosofiche del tormentato Davide Segre, ma solo per colpa mia in quanto, proprio dal punto di vista personale, non riesco a provare grande interesse per questi argomenti pure importantissimi (mi è successo anche con i fratelle Karamazov).
Un Grande libro comunque che sono contento di aver letto e che conferma la grandezza assoluta di un autrice che nel penultimo libro che avevo letto non mi aveva del tutto convinto. Solo un grande scrittrice può concepire un'opera come questa.
 

SickedVale

New member
Velletario

Tante buone intenzioni, perfino buonafede direi, ma caos e lacrimucce involontarie. Non è più l'Elsa Morante dell'Isola d'Arturo, L'Elsa Morante in grado di seguire con partecipazione alle convulsioni dell'eros e ai soprusi della psiche. Qua si scorge già il declino di una delle scrittrici migliori del Novecento Europeo.
 

bouvard

Well-known member
Conoscevo, a grandi linee, questo libro per averne letto diversi brani al liceo, e proprio l’averlo parzialmente letto mi aveva sempre fatto rimandare la lettura completa, un po’ come quando non ci si riesce a decidere a leggere un libro di cui si è già visto il film. Invece La Storia è uno dei libri più belli che abbia mai letto, un vero peccato averne rimandato così a lungo la lettura.
La Storia dei grandi avvenimenti, delle date da imparare a memoria, in questo libro cede il passo alla storia - con la s minuscola - di singole, normalissime, quasi insignificanti persone. Ida Mancuso, Nino, Davide Segre, la variopinta banda dei “Mille” ed ancor di più il piccolo Useppe, la Storia, quella appunto con la S maiuscola, innanzitutto la subiscono, e solo subendola ne diventano parte. Non a caso la Morante ha voluto dar risalto, non ai grandi avvenimenti storici, relegati in poche pagine all’inizio di ogni capitolo, quanto alle tante Ide e Useppe i cui nomi non troveranno mai spazio nei libri di storia, essendo solo delle singole, anonime unità di quella spaventosa cifra finale che sono le vittime della seconda guerra mondiale.
Eppure proprio la guerra, che genera morte e distruzione, e da cui Ida ha cercato, in tutti i modi, di tener lontano sé stessa e il figlio Nino, le ha lasciato, per mezzo di un ubriaco e triste soldato tedesco, paradossalmente il “dono” più inaspettato e più bello, in quanto simbolo della continuità della vita: un figlio. Useppe è il figlio della vergogna, della colpa, ma ha una tale innocenza e purezza negli occhi, nel sorriso sempre aperto alla vita, da non aver preso su di sé la brutalità dell’atto da cui è nato. Impossibile leggere questo libro senza rimanere affascinati da questo pischello dalla figura mingherlina, persino la sua difficoltà a pronunciare alcune lettere fa tenerezza, come i suoi bacetti, ma sono soprattutto i suoi occhi fissi sul mondo, la sua capacità di cogliere ogni cosa e trattenerla dentro, anche quando sembra dimenticare tutto nel giro di pochi attimi, a mettere a disagio il lettore. Come adulti non si può non provare un senso di disagio per il dolore e le sofferenze che Useppe – e con lui tanti bambini - è costretto a subire, o semplicemente a conoscere, per causa nostra, settant’anni fa, come oggi.
Per rendere appieno la sofferenza di quegli anni la Morante non ha bisogno – e per fortuna non lo fa - di soffermarsi, o calcare la mano su particolari cruenti, riesce ad ottenere lo stesso risultato con delle immagini semplici, ma degli autentici pugni nello stomaco, che restano indelebili nella mente del lettore, come non pensare infatti – leggendo di Annina e sua suocera - alle tante madri e giovani mogli che hanno aspettato invano per anni il ritorno - anche a guerra finita e contro ogni logica ed ogni possibilità - di un figlio o di un marito, come non capire il dolore di quella donna ebrea che cerca disperatamente di salire su un treno di deportati perché dentro c’è tutta la sua famiglia, la sua vita, o come non essere al fianco di Ida e rubare con lei una scatola di carne, o un po’ di farina per Useppe?
Se Niente di nuovo sul fronte occidentale è stato il libro che meglio mi ha saputo far capire, e percepire anche fisicamente l’atrocità della guerra "dal di dentro", cioè dalla parte di chi era stato chiamato a combatterla (in questo caso la prima guerra mondiale), La Storia è (dopo i racconti in prima persona dei miei nonni) il libro che meglio mi ha fatto percepire le atrocità della guerra "dal di fuori", dal punto di vista di chi non l’ha combattuta, ma l’ha subita (in questo caso la seconda guerra mondiale).
Consigliato. Voto 5/5.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Spoiler sparsi.

Questo libro mi è piaciuto talmente tanto che lo faccio rientrare nella categoria dei migliori che ho letto in assoluto. Scritto magistralmente da una donna che fece dell’amore per l’umanità il suo modello letterario,
ci dice che esistono due storie, quella disegnata dai potenti e che abbiamo studiato a scuola e quella subita da miliardi di persone, che invece è del tutto priva di memoria. Uno scandalo lungo “diecimila anni”.

La Morante non vedeva con grande ottimismo lo scorrere inesorabile della storia e questo romanzo non fa di certo eccezione, anzi diventa quasi l'emblema assoluto di questo pessimismo che, forse però, qualche via di uscita ce l'ha. Altro che progresso: la storia è un mostro che inghiotte tutti e non a caso i personaggi principali non contano niente di niente, schiacciati come sono dagli eventi della seconda guerra mondiale. Non contano niente nel Grande Disegno che è di pochi, ma sono tutto in questa storia che invece è di tutti.

Con questo libro, l'autrice rompe la storia ufficiale, ma non lo fa raccontandoci quella “parallela” o quella “nascosta”. Al contrario, lo fa riportandoci all’essenza dell’essere umano, al focolare, all’amore, alla tana che ciascuno di noi si costruisce fuggendo dalle bombe che gli cascano sulla testa ogni giorno.

La storia non è il nostro capoufficio, non è Mussolini, non è Stalin e non è la televisione. La storia, la nostra storia, siamo noi, con il nostro quotidiano e con ciò che possiamo dare ai nostri simili.

"La storia" e
sce nel 1975 e diventa subito un caso letterario, nessuno pare capirci niente e nessuno riesce ad etichettarlo: libro marxista, finto marxista, utopico o anarchico? Io, se avessi voce in capitolo, chiuderei la diatriba con un “chissenefrega”, parolaccia che in quegli anni intrisi di ideologia non poteva essere pronunciata.

Tra le pagine del libro, c’è chi diventa fascista, giovanissimo, alla stesso modo in cui scrive su Palazzo Venezia “W Stalin”. Per fare qualcosa di diverso, perché tristemente ignorante di ciò che la storia esige da lui. Nessuno si muove in autonomia, nemmeno l’amore per il piccolo Useppe è puro, perché nato da uno stupro di un tedesco che non sapeva quello che stava facendo. Nessuno sa quel che fa e siamo tutti pedine in una scacchiera disegnata da altri.

La storia toglie la vita a tutti, al cane di casa e a Nino che è l’esempio lampante dell'ingranaggio che ignora tutto (di sé e degli altri), al piccolo Useppe e pure a Ida, che pur rimanendo in vita, diventa pazza. Elsa Morante non ebbe figli, non so se per scelta o per altri motivi, e c’è chi dice che l’amore profondo -tanto da ricalcare quello universale “leopardiano”- tra Ida e Useppe sarebbe una sorta di necessità inconscia della scrittrice di riversare su carta ciò che non ha potuto fare in realtà. Se così fosse il rapporto sarebbe ancora più tenero e dolce.

C'è chi dice che "La storia" sia il libro più frainteso del secolo scorso, perché in realtà la vita vincerebbe. Io faccio fatica a vederla così e faccio parte di chi, forse, ha frainteso.

Voto: 5/5
 
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malafi

Well-known member
Un libro controverso.
No, non parlo della critica e delle valutazioni storico-politiche che ne furono fatti, ma dei sentimenti contrastanti che mi ha suscitato durante la lettura.
Ho alternato momenti in cui sentivo di avere tra le mani un capolavoro ad altri in cui subentrava in me il nervosismo di leggere un libro imperfetto.
Che ne fa un capolavoro? La scelta di raccontare ‘la storia’ attraverso la quotidianità e la vita miserrima di soggetti ai margini della società, eppur così veri; il modo in cui sono tratteggiati i personaggi chiave e soprattutto, naturalmente, il nostro amatissimo Useppe; la prosa coinvolgente, a volte forte, a volte poetica, a volte struggente.
Che ne fa un libro imperfetto? La trama un po’ sfilacciata in certe parti e non sempre funzionale al progetto; le disquisizioni dell’anarchico Davide Segre, certamente utili per ‘la storia’, ma davvero pesanti da leggere e troppo, troppo lunghe; un uso eccessivo della ‘virgola’, che all’inizio mi ha reso fastidiosa la lettura.
Ma chi sono io per un giudicare un libro ‘imperfetto’? Diciamo allora che alcune cose me l’hanno reso fastidioso, ma nel complesso l’ho trovato un grandissimo libro.
 

Tanny

Well-known member
Veramente un gran libro e mi è piaciuto molto, l'unica pecca a mio avviso è lo sproloquio dell'anarchico Davide che è abbastanza difficile da digerire anche per un amante del "contesto storico-politico" come me (troppo lungo e contorto).
Per il resto si legge che è un piacere, ho apprezzato molto l'uso delle forme dialettali nel racconto, anche se sinceramente mi hanno reso la lettura più difficile, essendo dialetti completamente diversi dal mio alcuni passaggi sono stati per me di difficile comprensione, sono comunque un elemento che caratterizza questa lettura e che la rende speciale.

Voto 4/5
 

Jessamine

Well-known member
Si può davvero pensare di scrivere un commento a un libro del genere standosene sdraiati a letto, con il portatile appoggiato sulle ginocchia troppe poche ore di sonno alle spalle?
Si può davvero comprendere e assaporare per intero un libro del genere ascoltandolo in audiolibro mentre si cerca parcheggio, mentre si guida per andare al lavoro prima dell'alba, mentre le cuffiette cadono dalle orecchie durante patetici tentativi di tenersi in forma correndo?
No, probabilmente no.
Non si può fruire con tanta leggerezza di qualcosa di così denso, ma io l'ho fatto, e un po' me ne pento, ma sono anche tanto felice. Perché la diffidenza verso questa pietra miliare della letteratura italiana era tanta, e perché, da circa sei mesi, di letture serie e impegnate quasi non riesco a farne.
Perché la voce di Iaia Forte mi ha accompagnata per quasi un mese, una voce roca e perfetta per dare spessore alle descrizioni particolareggiate e straordinarie di Elsa Morante, e lo ha fatto nei momenti più impensati. Perché ho passato qualche ora sdraiata a letto, occhi chiusi e luce diagonale dalla finestra, a farmi trascinare dalla storia. E c'è stato il 25 aprile, e ogni lettura, ogni approfondimento, ogni commemorazione aveva anche, almeno un po', quel suono roco e vibrante della voce di Iaia Forte. E la Storia non mi è mai sembrata così vicina, così distesa sulle dita, sporca di quotidianità.
Sono tante le cose che dovrei dire di questo romanzo, ma non credo di averne la forza. Né la voglia, ad essere del tutto sincera, ché certe riflessioni o si fanno bene, o tanto vale non farle.
Di questa lettura, mi resta la Storia, ma anche la storia, e le storie di Davide. Mi resta l'impareggiabile sensibilità e sincerità nel ritrarre animali e bambini, e i mondi grandi, e Roma e Lazio, Celeste che picchia le mani su ogni carrozza del treno, le avventure solo immaginate e le gonne raccolte per trasportare la farina dopo l'assalto delle donne.
Elsa Morante è stata capace di farmi vedere le stelle in uno sputo.
Sipario.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Recensire libri, specialmente certi libri, è una responsabilità: si rischia, con le proprie parole, di non rendere giustizia a ciò che si commenta. Nel caso di La storia di Elsa Morante io, semplice lettrice fra tante, questa responsabilità non posso e non voglio prendermela, anzitutto perché voci più autorevoli della mia hanno già decantato le meraviglie di quest'opera e non c'è nulla che potrei aggiungere che non sia già stato detto; in secondo luogo perché è stata, per me, una di quelle letture che scuotono fin nel profondo. La storia di Roma devastata dai bombardamenti, la storia di Ida Ramundo, di suo figlio Ninnuzzu e soprattutto del piccolo Useppe e della pastora Bella saranno difficili da dimenticare, perché la Morante le ha narrate in un modo che le ha rese indelebili nella mente mia e di chiunque le leggerà, ne sono convinta. Dal canto mio, La storia da oggi rientra tra i miei libri preferiti e a chi ancora non conosca questo libro non posso che dire, dal cuore, leggetelo! È tanto straziante quanto meraviglioso.
 
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