McEwan è uno scrittore straordinario. Sceglie le parole con grande cura e sembra avere con loro un rapporto di profonda intimità.
Non è vero che questo libro parla solo del senso di colpa. Parla anche di cosa significhi inventare mondi per fuggire da quello fatto di peccati e ambiguità. Scrivere è creare, ma solo Dio crea veramente e fino in fondo, ed è questo il grande problema degli artisti il cui destino è vivere in perenne affanno. Lo scrittore, l’artista, si macchia di un peccato mortale; quello di volersi avvicinare al divino senza però averne i mezzi. Non basta una scintilla a fare di un uomo un genio, così come non bastano un paio di ali per fare di un demone un angelo. Non a caso la “peccatrice” del romanzo vuole fare la scrittrice. E, anche se ci riuscirà, non potrà distaccarsi dai suoi sensi di colpa terreni, dalle sua macchie concrete e tangibili.
Il romanzo parla di una ragazzina, Briony, che all’età di tredici anni accusa un innocente di un delitto, in particolare di uno stupro. Come tutti i grandi scrittori McEwan non ci racconta tutto, non fino in fondo per lo meno, ma pare che la ragazzina fosse veramente convinta che Robbie fosse il vero colpevole. E’ solo con il tempo che si convincerà di essersi …autoconvinta, perché, forse, voleva punire l’aitante figlio della governante per essersi innamorata della sorella e non di lei. Invidie tipicamente femminili, si dirà. Invidie dell’uomo in quanto tale, dico io. Siamo tutti invidiosi, ma nessuno di noi può esserlo perfettamente e fino in fondo. Per ciò il male che facciamo agli altri, a coloro che ci sembrano meglio di noi, finisce prima o poi per ricaderci addosso. Perché nessuno di noi è veramente “cattivo”. Siamo degli esseri invidiosi, ma intimamente buoni, questo è il nostro destino, un destino di imperfezione anche nella malvagità. Dovevamo, potevamo, scegliere tra salvezza e dannazione, invece siamo rimasti lì appesi come angeli senza ali a guardare il cielo e l’inferno, senza riuscire a toccare né l’uno né l’altro.
SPOILER
Il libro si divide in quattro parti, di cui la prima è la più lunga. Centosessanta pagine ci raccontano i personaggi del romanzo, tutti alto borghesi anni ’30 e tutti più o meno infelici. Briony ha solo tredici anni, ma conosce già la vanagloria e l’intelligenza, la furbizia e la caparbietà. Sembra una bambina matura o un’adulta ancora acerba. Non potrà mettere in scena il proprio lavoro, il primo, per una serie di eventi sfavorevoli. Avrebbe voluto inscenare la propria commedia in un teatro improvvisato davanti alla propria famiglia, ma il progetto fallisce. Deciderà allora di punire Robbie, il figlio della governante, che poi coincide con il primo individuo che gli capita sotto tiro. Come spesso capita a tutti: urliamo le nostre pene con chi non ha colpa e tacciamo di fronte ai potenti che ci hanno invece calpestato.
La seconda parte, molto più fluida, diventa un romanzo di guerra molto ben congegnato. Sono pagine passionali e appassionate, nelle quali vediamo Robbie parte di quella lunga ritirata dell’esercito inglese in terra francese, durante la seconda guerra mondiale. Robbie ama ancora Cecilia, la sorella di Briony. E qui il messaggio di McEwan è semplice quanto raccontato a meraviglia: l’amore può tutto, travalica confini e disperazioni. Si ha la sensazione che Robbie sopravviva alla tragedia grazie alla forza invisibile dell’unione lontana. Dopo il carcere Robbie si è fatto la guerra, entrambi contesti che lo hanno tenuto lontano dall’amata.
La terza parte ci narra di Briony nel ruolo di infermiera in tempo di guerra. La vicenda si svolge, dal punto di vista temporale, in parallelo rispetto a quella di Robbie, ma McEwan sa come non cadere nel banale: non fa incontrare un ferito e traumatizzato Robbie con la sua nemica, che così avrebbe espiato le proprie colpe. Il finale felice e scontato non fa per i grandi scrittori.
Briony, diciottenne, si destreggia abilmente tra arti amputati e facce divelte e non trova il tempo per scrivere, l’atto che dovrebbe rappresentare la sua espiazione. Alla fine della seconda parte i due, Robbie e Briony, si incontrano e anche qui McEwan ci risparmia il facile espediente: quello del perdono. Robbie non solo non la perdona, ma reagisce come chiunque avrebbe fatto trovandosi di fronte la persona che gli ha rovinato la vita. Ci sono parole grezze e mancanze di stile, ed è giusto che sia così.
Il romanzo termina con una Briony anziana, sul limite degli ottanta, alla quale viene diagnostica una forma di demenza senile piuttosto violenta. Non solo sta morendo, ma si sta dimenticando di sé stessa e, nonostante nei sessant’anni non raccontati sia diventata scrittrice di fama, non può sfuggire ai propri sensi di colpa, alle proprie invidie, al proprio essere finito e mortale.
Votato 5/5