Per come si stanno nuovamente mettendo le cose, so già che è una pessima idea, ma idealmente rispondo ad Athana...
Allora, io, come chiunque mi conosca un pochino non fa fatica ad accorgersi, sono sempre stata più predisposta (e appassionata) alle materie umanistiche, in particolare Letteratura e Storia dell'Arte. Ma al momento di scegliere l'Università, indecisa fra Lettere moderne, Psicologia (altra piccola passione) e Architettura (mi piaceva la "sfida" e mi sembrava un ottimo compromesso fra i miei interessi e il "mondo del lavoro") ho scelto quest'ultima,
soprattutto per ragioni professionali: credevo (a torto o a ragione non lo so, dovrei tornare indietro e ripercorrere la mia vita in un altro senso per scoprirlo) che laurearmi in architettura mi avrebbe aperto più strade, mentre facendo Lettere mi sarei trovata quasi certamente disoccupata.
Vabbè... per farla breve (ma non ci riuscirò!:W):
ho sbagliato. Adesso come adesso sono una libera professionista, e lo sottolineo appunto per non creare equivoci, dove per "equivoci" intendo il fatto che
c'è una differenza enorme fra l'essere dipendenti e l'essere liberi professionisti. E c'è una differenza ancora maggiore fra l'essere liberi professionisti "veri" e liberi professionisti "di nome", ovvero collaboratori che vengono pagati un
fisso da uno studio professionale, come se fossero dipendenti (ma non lo sono, poichè non godono di una serie di diritti dei dipendenti regolari, tipo i permessi) e
con lo stipendio di un dipendente (ma
non lo è, poichè a questo stipendio vanno poi detratte tutte le tasse).
Io non ho scritto da nessuna parte quanto prendo al lordo perchè credo che siano cose personali, ma quel che è certo è che non mi sono mai lamentata:
tutti i neo-architetti (così come i neo-avvocati, e tutte le libere professioni che iniziano con un tirocinio...)
iniziano a lavorare sottopagati (so di ragazzi che hanno iniziato prendendo 500 euro in nero lavorando 10 ore al giorno).
è sempre stato così ed è "normale".
e proprio perchè è "normale", le Casse di previdenza (che per noi sono private) garantiscono per un certo periodo un regime fiscale "agevolato" (
un libero professionista si paga i contributi da sè, cioè detrae dal suo reddito lordo ciò che un dipendente regolare neanche vede nella busta paga perchè gli viene detratto a monte)... Di questo regime ho usufruito per alcuni anni, e ora è finito. L'ho scoperto ieri (colpa mia e della mia commercialista: credevo durasse fino al compimento del mio 35° anno d'età). La conseguenza è che il mio stipendio (già basso) resta lo stesso, ma le tasse mi si sono triplicate... Il "risultato" sono quei famosi 400 euro per 25 ore, che io
non posso accettare. Non posso farlo perchè non ha neanche senso mantenere Partita Iva con un reddito così basso, è da folli.
Certo la battuta sulla donne delle pulizie era infelice, ma non volevo mancare di rispetto per nessuno (anch'io ho amici laureati che non sono in quelle condizioni ma quasi), quanto
sottolineare l'assurdo che viviamo oggi, dove fare le pulizie (lavoro dignitosissimo, per carità, ma sfido che sia per chi ha studiato tanti anni la più alta aspirazione...) è più redditizio che esercitare in base al proprio titolo di studio. Mi dispiace dirlo, ma è così.
E potete dirmi quel che volete sul fatto che mi devo rassegnare. non è giusto comunque.
Non sto incolpando nessuno: nel mio caso ho sbagliato io. Ho sbagliato io perchè ho iniziato una carriera per la quale non sono minimamente portata, costringendomi a una strada, quella della libera professione, che comporta non solo uno stile di vita, ma persino un "carattere" che io non ho... e non avrò mai. è tanto che mi sono resa conto di aver sbagliato, ma adesso ci ho sbattuto la testa contro il muro: o trovo uno studio che mi paghi tre volte quello prendo adesso, o io devo chiudere Partita Iva. Ergo: cambiare mestiere. E sapete, quando ci si rende conto di aver buttato via sei anni della vostra vita per pensare "adesso che faccio?" non è una cosa tanto carina. Sicuramente c'è chi sta peggio, ma io sono stata male. e adesso ci sto ancora più male.
Scrivo tutto questo solo per spiegare il mio sfogo di ieri, ma anche perchè non voglio passare per quella che si lamenta o che incolpa il mondo della propria sfiga... sapevo che prima o poi sarebbe successo (il passaggio dai minimi al regime normale), ho fatto lo struzzo e adesso la "pacchia" è finita. Non si tratta di trovare un altro studio, perchè con ogni probabilità mi pagherà uguale (e addio part-time, che ho chiesto solo per potermi occupare di mio figlio, che
pretendo abbia sua mamma vicino almeno adesso che è piccolo e ne ha bisogno).
E qui torno ad Athana (scusami la lunga digressione...mi conoscete!:wink
:
non rinunciare a quello che desideri di fare in nome di un' ipotetica strada professionalmente più feconda... adesso come adesso le difficoltà ci sono dappertutto, ma almeno (come dice Elisa, che quoto in pieno) avrai seguito la tua vera passione. e alla fine è la passione che ti aiuta a far fronte alle difficoltà che comunque incontrerai. Se ti manca quella, forse avrai anche più "sbocchi", ma non riuscirai a trarne vero profitto perchè lo farai senza l'unica cosa che in mezzo a questa situazione di "emme" che viviamo è l'unica cosa che conta: il cuore. Non parlo da romantica, so che finire per fare il lavoro dei nostri sogni e, anzi, persino il lavoro per il quale abbiamo studiato, spesso è un'utopia, ma davvero... adesso come adesso preferirei essere disoccupata (o sottopagata) avendo però la competenza (non dico il "titolo di studio", che vale quanto vale...) in ciò che amo, piuttosto che essere disoccupata (o sottopagata) non avendo le competenze necessarie perchè quella cosa non l'ho mai amata davvero. Col "senno del poi" è pieno il mondo, ma se tornassi indietro nella mia vita credo che cambierei... forse adesso anzichè sentirmi così "in trappola" (che faccio? torno al full-time? cerco un altro studio? lascio partita IVA? rinuncio a tutto e cambio strada?), troverei la grinta necessaria per uscire da questa situazione.
Fai quello che ami fare, credo che adesso come adesso sia l'unica cosa su cui ci resti puntare.