Finito. Attenzione spoiler presenti
L’altra Eszter è uno di quei libri che lasciano uno strascico emotivo e psicologico nel lettore anche giorni dopo averlo finito. A me ha lasciato un magone, una sensazione alla bocca dello stomaco che ho faticato a superare.
Nella sua lettera aperta all’uomo che ama, Eszter si mette a nudo, senza inibizioni né filtri, e non si fa scrupolo di ammettere senza mezzi termini che Angéla, per il semplice fatto di essere nata in una famiglia benestante, per il semplice fatto di essere lei, le ha rovinato l’infanzia e la vita, perché incarnava l’emblema dell’opulenza mentre Eszter davanti agli occhi aveva solo povertà, privazioni, anche aridità di affetti e sentimenti, visto che sua madre e suo padre erano troppo occupati a riversare il loro amore l’una sull’altro per pensare alla figlia.
Eppure, trovo che incolpare qualcun altro della miseria e delle difficoltà in cui ci troviamo a vivere, crogiolandosi nell’eterno “a chi tanto e a chi niente” oppure “perché a lei sì e a me no?”, ecco, trovo che sia il comportamento più vigliacco, debole, codardo di cui una persona si possa macchiare. Odiare è troppo facile. È una strada troppo comoda.
Non lo so, è un libro che ti lascia per giorni a riflettere su quanto possa essere malato, contorto, marcio l’animo umano, e su quanto l’ambiente nel quale siamo cresciuti, dove magari ci è mancato non solo l’affetto e la protezione, ma anche la sicurezza economica e la serenità in generale, possa influire sul nostro carattere, sulla nostra anima, sulla nostra stessa crescita.
È la prima volta in vita mia che non parteggio per il protagonista di un romanzo, non sono riuscito a provare empatia né solidarietà né compassione per Eszter, nemmeno in una circostanza. Nonostante capisca benissimo da dove traggano linfa il livore e l’odio che prova, non solo verso Angéla, ma verso la vita tutta e l’ingiustizia a essa connaturata, non riesco, da lettore, ad avallare nessuna sua scelta, nessuna sua affermazione, nessun suo comportamento. Più volte, tra un salto temporale e l’altro, mi si è gelato il sangue al leggere come augurasse la morte ad Angéla, come traesse godimento dal semplice pensiero che lei soffrisse o potesse, eventualmente, soffrire. Non solo: mi ha ghiacciato anche quando prova sollievo, paradossalmente, al vedere Lorinc’ in quelle condizioni (non posso spoilerare). Sollievo perché almeno, adesso, non avrebbe più dovuto preoccuparsi per lui. So bene che la Magda non si era prefissa l’obiettivo di far parteggiare il lettore per Eszter o fargliene comprendere scelte e azioni, senza giudicarle dal piedistallo, lei si limita a presentarci una donna priva di maschera, in tutta la sua essenza più vera. Ci fa vedere chi era l’ALTRA Eszter, quella fuori dal palcoscenico del teatro, quando poteva smettere la sua seconda pelle.
Niente da dire sulla prosa, la Szabò aveva una “mano” che scorreva via liscia nonostante periodi lunghi, appesantiti da subordinate o incisi e inframmezzati da virgole come se piovesse; niente da dire sullo stile – l’impostazione della lettera-confessione e della narrazione in prima persona sono funzionali a renderlo accorato, diretto, sentito e a volte spietato; niente da dire sulla caratterizzazione psicologica della protagonista, dubito che in letteratura si possa trovare una migliore rappresentazione del confine labile che c’è tra odio e amore.
Un libro e un’autrice da leggere assolutamente.