27° Poeticforum - Le poesie che amiamo

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Terza proposta

Ecco a voi la terza proposta :)

La sonata al chiaro di luna

Ghiannis Ritsos


(Sera primaverile. Grande stanza di una vecchia casa. Una donna anziana, vestita di nero, parla a un giovane. Non hanno acceso la luce. Dalle due finestre entra un implacabile chiaro di luna. Ho dimenticato di dire che la Donna in Nero ha pubblicato due o tre interessanti raccolte di versi di ispirazione religiosa. Dunque, la Donna in Nero parla al Giovane):



Lasciami venire con te. Che luna stasera!
La luna è buona – non si vedrà
che si sono imbiancati i miei capelli. La luna
me li farà di nuovo biondi. Non te ne accorgerai.
Lasciami venire con te.

Con la luna ingrandiscono le ombre nella casa,
mani invisibili tirano le tende,
un dito pallido scrive sulla polvere del piano
parole dimenticate – non le voglio sentire. Taci.

Lasciami venire con te
poco piú avanti, fino al recinto del mattonificio,
fin dove la strada svolta e appare
la città d’aria e di cemento, calcinata dal chiaro di luna,
cosí indifferente e immateriale
cosí positiva, quasi metafisica,
che puoi finalmente credere che esisti e non esisti
che non sei mai esistito, non è esistito il tempo con la sua rovina.
Lasciami venire con te.

Ci sederemo un poco sul muretto, sull’altura,
rinfrescandoci al vento di primavera
forse immagineremo pure di volare,
perché spesso, e perfino ora, sento il fruscío della mia veste
che pare il battito di due ali forti,
e quando ti chiudi in questo rumore del volo
senti tendersi il collo, i fianchi, la tua carne,
e cosí stretto nei muscoli del vento azzurro,
nei nervi robusti dell’altezza,
non ha importanza che tu parta o torni
né conta che i miei capelli siano bianchi
(non è questo che mi dà pena – mi dà pena
che non mi s’imbianchi anche il cuore).
Lasciami venire con te.

Lo so, ciascuno cammina solo verso l’amore,
solo verso la gloria e la morte.
Lo so. L’ho provato. Non giova a niente.
Lasciami venire con te.

Questa casa è abitata dai fantasmi, mi scaccia –
voglio dire ch’è invecchiata molto, i chiodi si staccano,
i quadri è come se si tuffassero nel vuoto,
gli intonaci cadono in silenzio
come il cappello del morto cade dall’attaccapanni nel corridoio scuro
come il guanto di lana consunto cade dalle ginocchia del silenzio
o come una striscia di luna cade sulla vecchia poltrona sventrata.

Un tempo era giovane anche lei – non la foto che guardi con tanta diffidenza,
parlo della poltrona, cosí riposante, potevi sedertici per ore
e a occhi chiusi sognare a tuo piacimento
– un arenile umido e liscio, lucido per la luna,
piú lucido delle mie vecchie scarpe di coppale che ogni mese porto dal lustrascarpe qui all’angolo,
o della vela di un pescatore che si perde sul fondo cullata dal proprio respiro,
una vela triangolare come un fazzoletto piegato di traverso
come se non avesse nulla da chiudere o da contenere
o da salutare sventolando. Ho sempre avuto la mania dei fazzoletti,
non per tenervi ripiegato qualcosa,
certi semi di fiori o camomilla raccolti nei campi verso sera,
né farvi quattro nodi, come il berretto degli operai del cantiere di fronte,
o per asciugarmi gli occhi – ho conservato buona la vista;
non ho mai portato gli occhiali. Una semplice stravaganza i fazzoletti.

Adesso li piego in quattro, in otto, in sedici
per tenere occupate le dita. E ora mi ricordo
che ritmavo cosí la musica quando andavo al Conservatorio
col grembiule blu, il colletto bianco e due trecce bionde
– 8, 16, 32, 64 –
per mano a un’amichetta-pesco tutta luce e fiori rosa,
(perdona queste parole – una cattiva abitudine) – 32, 64 – e i miei riponevano
grandi speranze nel mio talento musicale. Dunque, dicevo, la poltrona –
sventrata – si vedono le molle arrugginite, la paglia –
pensavo di portarla dal mobiliere qui accanto,
ma chi ha il tempo, la voglia, i soldi – che cosa riparare per prima? –
pensavo di buttarci su un lenzuolo – ho avuto paura
del lenzuolo bianco con questo chiaro di luna. Qui si sono sedute
persone che hanno sognato grandi sogni, come te, e come me del resto,
e che ora riposano sottoterra senza che la pioggia o la luna li disturbi.
Lasciami venire con te.

Ci fermeremo un po’ in cima alla scala di marmo di San Nicola,
poi tu scenderai e io tornerò indietro
avendo sul fianco sinistro il calore del contatto casuale con la tua giacca,
alcuni riquadri di luce delle piccole finestre del quartiere
e questo fiato bianchissimo della luna che sembra un grande corteo di cigni d’argento –
non ho paura di questa frase, perché io
molte notti di primavera, un tempo, ho dialogato con Dio, che mi è apparso
nel manto di caligine e di gloria di un chiaro di luna come questo,
e molti giovani, piú belli anche di te, gli ho sacrificato,
svaporando cosí, bianca e inaccessibile nella mia fiamma bianca, nel biancore del chiaro di luna,
incendiata dagli sguardi voraci degli uomini e dall’estasi incerta degli adolescenti,
assediata da stupendi corpi abbronzati,
da membra robuste addestrate nel nuoto, nei remi, nell’atletica, nel calcio (che fingevo di non vedere)
da fronti, labbra, colli, ginocchia, dita e occhi
toraci, braccia, cosce (e davvero non li vedevo)
– sai, certe volte, ammirando, dimentichi quel che ammiri, ti basta l’ammirazione –
dio mio, che occhi pieni di stelle, e mi elevavo in un’apoteosi di stelle rifiutate
perché, cosí assediata, da dentro e fuori,
non mi restava altra via che verso l’alto o il basso. – No, non basta.
Lasciami venire con te.

Lo so che ormai si è fatto tardi. Lasciami,
poiché per tanti anni, giorni e notti e meriggi purpurei, sono rimasta sola,
irriducibile, immacolata e sola,
perfino nel mio letto nuziale immacolata e sola,
scrivendo versi gloriosi sulle ginocchia di Dio,
versi che, ti assicuro, resteranno come scolpiti su un marmo irreprensibile
oltre la mia vita e la tua, molto oltre. Non basta.
Lasciami venire con te.

Non fa piú per me questa casa.
Non sopporto di portarla sulle spalle.
Devi sempre badare a questo e a quello,
a puntellare il muro con la grande credenza
a puntellare la credenza con l’antichissimo tavolo intagliato
a puntellare il tavolo con le sedie
a puntellare le sedie con le mani
a sostenere con la spalla la trave che ha ceduto.
E il piano, chiuso come un feretro nero. Non osi aprirlo.
Badare sempre a questo e a quello, che non cada, a non cadere tu. Non ce la faccio.
Lasciami venire con te.

Questa casa, pur con tutti i suoi morti, non vuol saperne di morire.
Si ostina a vivere con i suoi morti
a vivere dei suoi morti
a vivere della certezza della sua morte
perfino a sistemare i suoi morti su letti e mensole pericolanti.
Lasciami venire con te.

Qui, per quanto piano io cammini nel fiato della sera,
in pantofole o scalza,
qualcosa scricchiola – s’incrina un vetro o uno specchio,
si odono passi – non sono i miei.
Fuori, per strada, può darsi che non si odano questi passi –
il pentimento, dicono, porta scarpe di legno –
e se fai per guardare in questo specchio o in quello,
dietro la polvere e le incrinature,
scorgi piú opaco e frantumato il tuo viso,
il tuo viso: non chiedesti altro alla vita che di conservarlo integro e puro.

L’orlo del bicchiere riluce al chiaro di luna
come un rasoio circolare – come portarlo alle labbra,
pur cosí assetata? – Come? – Vedi?
Ho ancora voglia di similitudini, – mi è rimasto questo,
questo mi rassicura ancora che ci sono.
Lasciami venire con te.

A volte, quando fa sera, ho la sensazione
che fuori dalle finestre passi l’ambulante con la sua vecchia orsa pesante
dal pelo pieno di lappole e di spine
sollevando polvere sulla strada del quartiere
una nube solitaria di polvere che incensa il crepuscolo,
e i bambini sono tornati alle loro case per la cena e non li lasciano piú uscire
benché dietro i muri loro indovinino i passi della vecchia orsa –
e l’orsa stanca incede nella saggezza della sua solitudine, senza un dove e un perché –
si è appesantita, non riesce piú a ballare sulle zampe posteriori
non riesce a portare la cuffia merlettata per far divertire i bambini, gli sfaccendati, gli esigenti,
vuole solo stendersi a terra
lasciando che le calpestino il ventre, giocando cosí il suo ultimo gioco,
mostrando la sua tremenda forza di rinuncia,
la sua disobbedienza agli interessi altrui, agli anelli nelle labbra, alla necessità dei denti,
la sua disobbedienza al dolore e alla vita
con l’alleanza certa della morte – foss’anche di una morte lenta –
la sua estrema disobbedienza alla morte con la continuità e la cognizione della vita
che con la conoscenza e l’azione sale al di sopra della sua schiavitú.

Ma chi può giocare fino alla fine questo gioco?
E l’orsa si rialza e cammina
obbediente al suo laccio, agli anelli, ai denti,
sorridendo con le labbra lacere alle monete dei bambini belli e privi di sospetto
(belli proprio perché privi di sospetto)
e dicendo grazie. Perché gli orsi invecchiati
hanno solo imparato a dire: grazie, grazie.
Lasciami venire con te.

Questa casa mi soffoca. Anzi la cucina
è come il fondo del mare. I bricchi appesi brillano
come grossi occhi tondi di incredibili pesci,
i piatti si muovono lenti come meduse,
alghe e conchiglie mi si impigliano tra i capelli – non riesco piú a staccarle,
non riesco a risalire in superficie –
il vassoio mi cade di mano senza rumore – mi accascio
vedo salire, salire le bolle del mio respiro,
tento di svagarmi guardandole
e mi chiedo cosa direbbe chi dall’alto vedesse queste bolle,
forse che qualcuno annega, o che un sommozzatore esplora gli abissi?

E davvero, non di rado scopro lí, nel fondo dove annego,
coralli e perle e tesori di navi naufragate,
incontri imprevedibili, di ieri, di oggi e del futuro,
quasi una conferma di eternità,
un certo sollievo, un certo sorriso d’immortalità, come si dice,
una felicità, un’ebbrezza, perfino un entusiasmo,
coralli, perle e zaffiri;
solo che non so donarli – no, li dono;
solo che non so se loro possono prenderli – comunque io li dono.
Lasciami venire con te.

Un momento, che prendo la maglia.
Con questo tempo instabile, per quanto, dobbiamo premunirci.
C’è umidità la sera, e la luna
non ti pare, davvero, che faccia aumentare il fresco?

Lascia che ti abbottoni la camicia – che petto forte hai,
– che luna forte – la poltrona, dico – e quando sollevo la tazzina dal tavolo
resta sotto un foro di silenzio, ci metto subito la mano
per non guardare dentro – rimetto a posto la tazzina;
anche la luna è un foro nel cranio del mondo – non guardarci dentro,
è una forza magnetica che attira – non guardare, non guardate,
date retta a quello che vi dico – ci cadrete dentro. Questa bella vertigine,
leggera – attento, cadi –
è un pozzo di marmo la luna,
si muovono ombre, ali mute, voci misteriose – non le udite?

Profonda la caduta,
profonda la risalita,
l’aerea statua tesa tra le sue ali aperte,
profonda la carità implacabile del silenzio –
luci tremule sull’altra riva, mentre oscilli sulla tua stessa fionda,
respiro dell’oceano. Leggerissima, bella
questa vertigine – sta’ attento che cadi. Non guardare me,
il mio posto è l’oscillazione – la stupenda vertigine. Cosí ogni sera
ho un po’ di mal di testa, certi capogiri.

Spesso faccio un salto alla farmacia di fronte per qualche aspirina,
a volte non mi va e resto con il mal di testa
a sentire il rumore sordo dei tubi dell’acqua dentro i muri,
o mi faccio un caffè; sempre distratta
e smemorata, ne preparo due – chi berrà il secondo? –
buffo davvero, lo lascio sul davanzale a raffreddarsi,
o a volte bevo anche l’altro, guardando dalla finestra la lampadina verde della farmacia
come la luce verde di un treno silenzioso che mi viene a prendere
con i miei fazzoletti, le mie scarpe sformate, la mia borsa nera, le mie poesie,
senz’alcuna valigia – per farne che?
Lasciami venire con te.

Ah, te ne vai? Buonanotte. No, non vengo. Buonanotte.
Tra poco esco. Grazie. Perché infine bisognerà
che esca da questa casa in rovina.
Devo vedere un po’ di città – no, non la luna –
la città con le sue mani callose, la città del salario quotidiano,
la città che giura sul pane e sul pugno,
la città che ci regge tutti sulle spalle
con le nostre meschinità, cattiverie, inimicizie,
con le nostre ambizioni, la nostra ignoranza e la vecchiaia,
devo sentire i grandi passi della città,
per non sentire piú i tuoi passi
né i passi di Dio, né i miei passi. Buonanotte.



(La stanza si fa buia. Si vede che una nube ha coperto la luna. D’un tutto, come se qualcuno avesse alzato il volume della radio del bar vicino, si ode una frase musicale molto nota. Allora mi sono reso conto che tutta questa scena era stata accompagnata a basso volume dalla Sonata al chiaro di luna, solo la prima parte. Ora il Giovane starà scendendo con un sorriso ironico, forse di commiserazione, sulle labbra ben disegnate, e con un senso di liberazione. Quando sarà arrivato a San Nicola, prima di scendere la scala di marmo, riderà − un riso forte, irrefrenabile. La sua risata non suonerà affatto sconveniente sotto la luna. Forse l’unica cosa sconveniente è che non c’è nulla di sconveniente. Poco dopo il Giovane tacerà, si farà serio e dirà: “La decadenza di un’epoca.” Cosí, ormai completamente tranquillo, si sbottonerà di nuovo la camicia e andrà per la sua strada. Quanto alla Donna in Nero, non so se sia infine uscita di casa. Il chiaro di luna splende ancora. E negli angoli della stanza le ombre si stringono per un’incontenibile contrizione, quasi un’ira, non tanto per la vita, quanto per l’inutile confessione. Lo sentite? La radio continua)
 

shvets olga

Member
Prima ho letto una versione abbreviata:

Lasciami venire con te. Che luna stasera!
La luna è buona – non si vedrà
che si sono imbiancati i miei capelli. La luna
me li farà di nuovo biondi. Non te ne accorgerai.
Lasciami venire con te.

Con la luna ingrandiscono le ombre nella casa,
mani invisibili tirano le tende,
un dito pallido scrive sulla polvere del piano
parole dimenticate – non le voglio sentire. Taci.

Lasciami venire con te
poco piú avanti, fino al recinto del mattonificio,
fin dove la strada svolta e appare
la città d’aria e di cemento, calcinata dal chiaro di luna,
cosí indifferente e immateriale
cosí positiva, quasi metafisica,
che puoi finalmente credere che esisti e non esisti
che non sei mai esistito, non è esistito il tempo con la sua rovina.
Lasciami venire con te.

Ci sederemo un poco sul muretto, sull’altura,
rinfrescandoci al vento di primavera
forse immagineremo pure di volare,
perché spesso, e perfino ora, sento il fruscío della mia veste
che pare il battito di due ali forti,
e quando ti chiudi in questo rumore del volo
senti tendersi il collo, i fianchi, la tua carne,
e cosí stretto nei muscoli del vento azzurro,
nei nervi robusti dell’altezza,
non ha importanza che tu parta o torni
né conta che i miei capelli siano bianchi
(non è questo che mi dà pena – mi dà pena
che non mi s’imbianchi anche il cuore).
Lasciami venire con te.

Lo so, ciascuno cammina solo verso l’amore,
solo verso la gloria e la morte.
Lo so. L’ho provato. Non giova a niente.
Lasciami venire con te.

Ho pensato che fosse poesia dedicata a tutte le donne che hanno perso una persona cara,
ho ricordando le mie nonne, che hanno perso i loro mariti durante la Guerra e nel resto della loro vita erano soli.
Quando ho trovato la versione completa e ho letto prologo ed epilogo, penso cosi:
si incontrano una donna ed un uomo, per la donna è un amore per la tutta la vita, per uomo è un incontro casuale, si incontrano la tenerezza, la devozione della donna e il cinismo, la frivolezza di un uomo, per cui lacrime di una donna è “La decadenza di un’epoca” e lui “completamente tranquillo, si sbottonerà di nuovo la camicia e andrà” per cercare i nuovi amori. Giovane in epilogo è l'uomo, in cui innamorata la Donna in Nero.
 

maclaus

New member
Concordo con te, Olga, nell'interpretazione di questa poesia...
Per l'uomo è un incontro come un altro, mentre per la donna è l'incontro della vita.
Due prospettive opposte di uno stesso incontro.
L'amore unico e totalizzante di una donna e l'egoismo di un uomo superficiale.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
né conta che i miei capelli siano bianchi
(non è questo che mi dà pena – mi dà pena
che non mi s’imbianchi anche il cuore).

Questa frase mi fa rabbrividire...è una poesia struggente, stupenda...lo strazio di una donna che ama non ricambiata, amore reso più doloroso e forse, agli occhi del giovane, patetico per via della sua età...risalta in maniera cruda la differenza tra i sentimenti di lei, il suo sperdimento e lo sprezzante cinismo dell'uomo. Bellissima.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Ecco a voi la prossima poesia :)

Sintomi


Non sopporto il mio stato mentale:
sono scontenta, garrula, asociale.
Odio i miei piedi, odio le mie mani,
non m’interessano lidi lontani.
Temo il mattino, la luce del giorno;
odio, la notte, al letto far ritorno.
Maldico chi agisce onestamente
non tollero lo scherzo più innocente.
Non mi appagano un quadro, una lettura:
per me il mondo è soltanto spazzatura.
Sono cinica, vuota, scombinata.
Non so come non mi abbiano arrestata
per quel che penso. I vecchi sogni andati,
l’anima a pezzi, i sensi torturati.
Non mi è chiaro nemmeno come sto
ma certo non mi piaccio neanche un po’.
E litigo, cavillo, gemendo di paura:
penso alla morte, alla mia sepoltura.
L’idea di un uomo mi lascia sconvolta…
Sto per innamorarmi un’altra volta.

Dorothy Parker

 

Marzati

Utente stonato
Ecco a voi la prossima poesia :)

Sintomi


Non sopporto il mio stato mentale:
sono scontenta, garrula, asociale.
Odio i miei piedi, odio le mie mani,
non m’interessano lidi lontani.
Temo il mattino, la luce del giorno;
odio, la notte, al letto far ritorno.
Maldico chi agisce onestamente
non tollero lo scherzo più innocente.
Non mi appagano un quadro, una lettura:
per me il mondo è soltanto spazzatura.
Sono cinica, vuota, scombinata.
Non so come non mi abbiano arrestata
per quel che penso. I vecchi sogni andati,
l’anima a pezzi, i sensi torturati.
Non mi è chiaro nemmeno come sto
ma certo non mi piaccio neanche un po’.
E litigo, cavillo, gemendo di paura:
penso alla morte, alla mia sepoltura.
L’idea di un uomo mi lascia sconvolta…
Sto per innamorarmi un’altra volta.

Dorothy Parker

Non ho commentato la poesia precedente perchè avete già detto tutto voi, era veramente bella, soffocante a tratti.
---
La lirica della Parker, invece, a primo impatto non mi è piaciuta, non mi sono piaciute in genere le parole usate, e quelle rimate alla fine del verso le ho proprio odiate, mi sembrava una filastrocca per bambini; ma questa è una traduzione, ho cercato la poesia originale e comunque ha lo stesso ritmo, ma suona meglio in inglese.
Alla seconda e terza e quarta rilettura la ho apprezzata di più: diviene palese la confusione, il dolore, quel senso di mancanza, di dolce malinconia che stona, l' irrequietezza, tutti sintomi di chi si è innamorato. Interessante notare come l' autrice abbia fatto riferimento sia a elementi relativi ai sensi (la luce, parti del corpo) sia relativi a numerosi altri ambiti, ossia gli svaghi, le emozioni, il comportamento, la riflessione... credo per sottolineare la forza con cui l' amore subentra scacciando prepotentemente tutto ciò che c' era prima.
Non è assolutamente uno dei miei componimenti preferiti, ma non si può dire che sia vuoto o sensa senso. Grazie per averlo proposto.
P.s ovviamente è il mio personalissimo parere, lungi da me far il critico o l'intenditore, che non sono; ho solo espresso ciò che la poesia mi ha fatto sentire:wink:
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
E' vero che le rime sembrano, o forse sono, un po' troppo elementari :)
Io però, forse perché non sono esperta di poesia classica, ho notato e apprezzato prima il senso e il significato generale, il modo in cui la poetessa ha espresso le sue sensazioni. Ha reso benissimo l'idea dell'innamoramento anche se, in maniera simpatica, ha messo in risalto solo l'aspetto straniante e "negativo", il cambiare di tutte le percezioni, il non riuscire a stare tranquilli da nessuna parte e non "gradire" niente, né il giorno né la notte, né lo stare fermi né in movimento. Mi ha fatto quasi divertire :)
 

Marzati

Utente stonato
E' vero che le rime sembrano, o forse sono, un po' troppo elementari :)
Io però, forse perché non sono esperta di poesia classica, ho notato e apprezzato prima il senso e il significato generale, il modo in cui la poetessa ha espresso le sue sensazioni. Ha reso benissimo l'idea dell'innamoramento anche se, in maniera simpatica, ha messo in risalto solo l'aspetto straniante e "negativo", il cambiare di tutte le percezioni, il non riuscire a stare tranquilli da nessuna parte e non "gradire" niente, né il giorno né la notte, né lo stare fermi né in movimento. Mi ha fatto quasi divertire :)
A quanto pare non posso mettere "mi piace", quindi scrivo un post per farlo. Aggiungo solo che neanche io sono esperto di poesia, e la mia era una semplice osservazione, lungi dal voler essere dogma. Ho sentito di dover sottolineare ciò perchè non vorrei che il mio post sia sembrato troppo "offensivo" o presuntuoso, cosa che non era neanche lontanamente nelle mie intenzioni!
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
A quanto pare non posso mettere "mi piace", quindi scrivo un post per farlo. Aggiungo solo che neanche io sono esperto di poesia, e la mia era una semplice osservazione, lungi dal voler essere dogma. Ho sentito di dover sottolineare ciò perchè non vorrei che il mio post sia sembrato troppo "offensivo" o presuntuoso, cosa che non era neanche lontanamente nelle mie intenzioni!

Non ci ho pensato nemmeno per un attimo! Il tuo tono è tutto tranne che offensivo e tantomeno presuntuoso. E' giusto che ciascuno dica la sua, non avrebbe senso se tutti dicessimo che una cosa ci piace quando non è vero. :) Ti avrei dato anch'io il like :D
 
Ultima modifica:

Marzati

Utente stonato
Non posso aggiornare il mio post precedente (perchè?) comunque ecco la mia seconda proposta.
Io sono, di John Clare.

Io sono, ma cosa nessuno sa o gli importa;
abbandonato dagli amici come un ricordo smarrito:
Io sono la vittima dei miei affanni,
si levano e sprofondano nell’ oblio disperso,
come ombre nei soffocati spasimi dell’amore.
Eppure io sono e vivo, come nebbia scossa

Nel nulla dello scherno e del rumore,
nel brulicante mare di sogni ad occhi aperti,
dove non v’è vita o gioia,
ma solo il grande naufragio dei miei meriti;
perfino i più cari, quelli che più amai
mi sono estranei, o meglio: più estranei degli altri.

Bramo paesaggi mai d’uomo percorsi
un luogo dove mai donna sorrise o pianse
per dimorare col mio Creatore Dio,
e dormir come in fanciullezza dolcemente dormii,
imperturbabile e imperturbato dove giaccio
l’erba sotto, sopra, la volta del cielo.​

Per approfondire: https://goo.gl/sgnOZg
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Vi presento la prossima poesia da commentare :YY


Questa sera la luna dentro il mare
cadrà come una perla pesantissima.
E giocherà sopra di me la folle,
la folle luna.

Si frangerà l’onda color rubino
sui miei piedi spargendo mille stelle.
Le mie mani saranno diventate
due colombelle:

e saliranno – due uccelli d’argento –
a riempirsi di luna – come coppe
e di luna le spalle e i capelli
m’irroreranno.

Il mare è un oro fuso. Metterò
in una barca il mio sogno affinché
veleggi. Chiara, diamantina ghiaia
calpesterò.

Quando la luce l’attraverserà
sarà perla pesante il mio cuore.
E riderò. E piangerò... Ma guarda, ecco,
ecco la luna!

Kostas Kariotakis
 

shvets olga

Member
Semplicemente mi sono piaciuti gli epiteti e le metafore :)
La luna, "la folle,la folle luna" è splendidamente instabile (così come la nostra vita): cade, gioca, sparge, irrora...

"La perla - immagine di perfezione e della bellezza,rappresenta la realtà assoluta, la suprema saggezza e la purezza; così come l'anima umana (nascosta nell’ossatura)."

"Tutta la vita è stimolata dalla luna, in particolare la vita che risiede nell'oscurità, flora e fauna danzano al ritmo ciclico della luna incantate dalla sua energia e dal suo potere magnetico"

https://www.youtube.com/watch?v=QNKRBGih6sw&feature=player_embedded


Sylvie Guillem " La Luna"
 

Marzati

Utente stonato
Vi presento la prossima poesia da commentare :YY


Questa sera la luna dentro il mare
cadrà come una perla pesantissima.
E giocherà sopra di me la folle,
la folle luna.

Si frangerà l’onda color rubino
sui miei piedi spargendo mille stelle.
Le mie mani saranno diventate
due colombelle:

e saliranno – due uccelli d’argento –
a riempirsi di luna – come coppe
e di luna le spalle e i capelli
m’irroreranno.

Il mare è un oro fuso. Metterò
in una barca il mio sogno affinché
veleggi. Chiara, diamantina ghiaia
calpesterò.

Quando la luce l’attraverserà
sarà perla pesante il mio cuore.
E riderò. E piangerò... Ma guarda, ecco,
ecco la luna!

Kostas Kariotakis
Complimenti ad Olga, sempre bellissimi i tuoi commenti, mi dispiace che più persone non partecipino alla discussione. Comunque:
bella la carica della poesia, trasmette una "tensione", una frenetica attesa per la luna e l' incombente notte. Interessante poi il panorama naturale e la sua "comunione" con l' io poetico. In conclusione, è una lirica bella, felice e carica di attesa per il divenire, sembra voler narrare la dolce amara attesa immediatamente precedente ad un evento che sappiamo ci piacerà.
 

maclaus

New member
Secondo me, Olga è la più competente e preparata di questo thread... I suoi commenti mi fanno scoprire sempre cose nuove nelle poesie che commentiamo...
Epiteti e metafore...:ad:
Chapeau.
Io, di questa poesia, adoro il senso di attesa che trasmette e l'attesa che viene ripagata da un istante irripetibile...
 

shvets olga

Member
Secondo me, Olga è la più competente e preparata di questo thread... I suoi commenti mi fanno scoprire sempre cose nuove nelle poesie che commentiamo...
Epiteti e metafore...:ad:
Chapeau.
Io, di questa poesia, adoro il senso di attesa che trasmette e l'attesa che viene ripagata da un istante irripetibile...

Si, io sono così :D :mrgreen:, sono cresciuta con la poesia e prosa di Taras Shevchenko ( ucraino) , Puškin, Gogol’ (ucraino), Cechov ( nato il 17 gennaio 1860 a Taganrog nell'Ucraina) …
Come non poso sappere epiteti e metafore se a scuola ho imparato a memoria:
"Conoscete le notti ucraine? Oh, voi non conoscete le notti ucraine. Ammirate questa: la luna occhieggia a metà del cielo; lo sconfinato arco celeste s'è dilatato e spostato sino a divenire ancor più immenso, e arde e respira. La terra è tutta avvolta di luce argentea, e l'aria stupendamente limpida è fresca e pesante al tempo stesso e, piena di dolcezza, agita un oceano di profumi. Notte divina! Notte incantevole!" ("Le veglie alla fattoria di Dikanka" di Gogol’)
Amo le poesie, anche se sono privi di epiteti, che descrivono quello che sta succedendo nella mia anima, ma a volte mi mancano gli epiteti e metafore, così ho subito attirato l'attenzione su questa poesia.:)
Il nostro linguaggio quotidiano è privo di colori, l'intera gamma di emozioni spesso noi sostituiamo con solo una parola - “complimenti”.
Tutto bene, ma seriamente parlando, grazie per i complimenti :) , ma io così preparata :mrgreen: non ho concentrato la mia attenzione sul principale nella poesia è l'attesa di magia, come voi avete notato nei suoi bellissimi commenti, cari Marzati e maclaus :)
 
Ultima modifica:

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Fantastica Olga :mrgreen: Mi associo ai complimenti :):mrgreen:
Anche a me di questa poesia piace il senso di attesa, un'attesa quasi giocosa, espressa in modo fantasioso e delicato, efficace perché quasi provo invidia :)
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Ecco la prossima e forse l'ultima poesia da commentare :)
Io sono, di John Clare.

Io sono, ma cosa nessuno sa o gli importa;
abbandonato dagli amici come un ricordo smarrito:
Io sono la vittima dei miei affanni,
si levano e sprofondano nell’ oblio disperso,
come ombre nei soffocati spasimi dell’amore.
Eppure io sono e vivo, come nebbia scossa

Nel nulla dello scherno e del rumore,
nel brulicante mare di sogni ad occhi aperti,
dove non v’è vita o gioia,
ma solo il grande naufragio dei miei meriti;
perfino i più cari, quelli che più amai
mi sono estranei, o meglio: più estranei degli altri.

Bramo paesaggi mai d’uomo percorsi
un luogo dove mai donna sorrise o pianse
per dimorare col mio Creatore Dio,
e dormir come in fanciullezza dolcemente dormii,
imperturbabile e imperturbato dove giaccio
l’erba sotto, sopra, la volta del cielo.​
 

Marzati

Utente stonato
Questa è una poesia che ho proposto per la sua forza, inutile dire che mi ha scosso profondamente. La cosa, per me, più bella è il grandissimo peso che vien dato all’ emozione. Clare, uomo ferito, qui cerca di fare un viaggio nella sua interiorità, per scrutare il suo profondo dolore, e cercare di vincerlo. Si tratta di un dolore profondissimo, dalle mille sfaccettature: è dovuto soprattutto alla solitudine, ma anche al senso d’ abbandono, allo scherno e al timore del destino della propria esistenza. In questa poesia viene urlata e sussurrata la propria misera condizione, ed esternato (nell’ ultima strofa) il proprio intimo desiderio: una solitudine ancora più forte, ancora più totale, ma che conceda finalmente il riposo e la tanto inutilmente anelata pace, una pace che sa di trascendente (basti pensare il riferimento a Dio e, ma questo è per me oggetto di dubbio, alla morte) ma anche di terreno, infatti egli cerca un luogo quasi onirico, molto rurale in accordo col suo spirito, dove finalmente dolcemente riposare. Sublime è l’ultimo parte, che tende eccezionalmente a tutto ciò:

l’erba sotto, sopra, la volta del cielo.​

Speriamo che John, questa pace, l’abbia trovata.
 

shvets olga

Member
E' difficile aggiungere qualcosa dopo un commento così accorato di Marzati. :)
Dopo aver letto la biografia del poeta, a mia vergogna non sapevo nulla di lui, mi ha colpito molto una frase nella poesia

perfino i più cari, quelli che più amai
mi sono estranei, o meglio: più estranei degli altri.


Perché John Clare aveva otto figli e questa frase non è solo la sua paura, è la constatazione di un fatto amaro: lui è stato abbandonato. John Clare amava molto i suoi figli, si prendeva cura della loro formazione spirituale, prendeva per loro i libri più migliori e utili, e lui, povero e malato, temeva di essere un peso per loro, un paio di volte nelle lettere ha citato l'amara sapienza di Salomone "Figlio mio, è meglio morire che essere poveri". Ha scritto lettere ai figli ed in risposta ha ricevuto brevi note insignificanti con i saluti di parenti e amici.

Così è stato con gli amici. Charles Lamb (è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo inglese) scherzosamente lo ha chiamato PrincelyClare, e Clarissimus (dal latino clarus - luminoso, chiaro e bello, il famoso. Successo e poi fallimento, povertà e malattie, amara delusione sugli amici:

abbandonato dagli amici come un ricordo smarrito:
Io sono la vittima dei miei affanni…


Come in

The Old Man's Lament

Life smiled upon me once, as the sun upon the rose;
My heart, so free and open, guessed in every face a friend:
Though the sweetest flower must fade, and the sweetest season close,
Yet I never gave it thought that my happiness would end,
Till the warmest-seeming friends grew the coldest at the close,
As the sun from lonely night hides its haughty shining face,
Yet I could not think them gone, for they turned not open foes,
While memory fondly mused, former favours to retrace,
So I turned, but only found that my shadow kept its place.

(è un estratto, scusate non l'ho trovato in italiano)

La paura della solitudine non era così forte come paura dell abbandono. “Solitudine e Dio sono lo stesso per me”, la fede in Dio lo aveva sostenuto in quella lotta terribile fino alla sua morte

Bramo paesaggi mai d’uomo percorsi
un luogo dove mai donna sorrise o pianse
per dimorare col mio Creatore Dio


"Peasant Poet" ( "Ho trovato le mie poesie nei campi e ho scritto solo quello che ho visto") è stato in manicomio circa 25 anni
Quando è stato portato in manicomio e gli ha chiesto:"La follia è stata preceduta da qualsiasi emozione mentale grave o di lunga continuata o uno sforzo?" intervenuto il medico:"Dopo anni di passione per lo scrivere poesie", il medico non ha menzionato la povertà, la solitudine, le delusioni... naturale e incontenibile desiderio di scrivere poesie.
 
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