Eccoli
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Dare ad ogni emozione una personalità, ad ogni stato d’animo un’anima. Avevano fatto la curva del tragitto ed erano molte ragazze. Lungo la strada cantavano e il suono delle loro voci era felice. Non so se loro lo fossero. Le ho ascoltate per un po’ in lontananza, senza un sentimento specifico. Mi sono sentito stringere il cuore per loro. Per il loro futuro? Per la loro incoscienza? Non direttamente per loro – o, chissà? Forse solo per me.
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La letteratura, che è arte coniugata al pensiero e realizzazione senza macchia della realtà, mi sembra che sia il fine cui dovrebbe tendere ogni sforzo umano, se fosse veramente umano, e non il superfluo della parte animale. Credo che nominare una cosa è conservarle il pieno valore e spogliarla del suo aspetto terrifico. I campi sono più verdi quando si descrivono che nel loro reale colore verde. I fiori, se saranno descritti con frasi che li definiscano sull’aria dell’immaginazione, avrebbero colori talmente persistenti, da essere introvabili nella vita naturale delle cellule. Muoversi è vivere, dirsi è sopravvivere. Non c’è niente di reale nella vita se non ciò che si è descritto bene. I critici della casa dalle ristrette vedute sono soliti sottolineare che la tal poesia, lungamente ritmata, in fondo, non vuol dire altro che il giorno è bello. Ma dire che il giorno è bello è difficile, e il giorno bello, perfino esso, passa. Dobbiamo, quindi, conservare il giorno bello in una memoria fiorita e prolissa, come anche costellare di nuovi fiori o di nuovi astri i campi o i cieli dell’esteriorità vuota e passeggera.
Tutto è ciò che siamo, e tutto sarà, per coloro che ci seguiranno nella diversità del tempo, a seconda di come noi lo avremo immaginato, ossia, a seconda di come saremo veramente stati, con l’immaginazione inserita nel corpo. Non credo che la storia, nel suo grande panorama sbiadito, sia niente di più di un decorso di interpretazioni, un consenso confuso di testimonianze distratte. Il romanziere è noi tutti, e narriamo quando vediamo, perché vedere è complesso come tutto. Ho in questo momento tanti pensieri fondamentali, tante cose veramente metafisiche da dire, che mi stanco repentinamente e decido di non scrivere più, di non pensare più, ma di lasciare che la febbre di dire mi faccia venire sonno, e faccia festa con gli occhi chiusi, come si fa festa a un gatto, a tutto quanto avrei potuto dire.
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Riconosco, non so se con tristezza, l’aridità umana del mio cuore. Vale di più per me un aggettivo di un reale pianto dell’anima. Il mio maestro Vieira2 […]
Ma a volte sono diverso, e ho lacrime, quelle calde lacrime di coloro che non hanno, né hanno mai avuto, una madre; e i miei occhi che ardono di tali lacrime morte ardono dentro al mio cuore.
Non mi ricordo di mia madre. È morta che avevo un anno. Tutto ciò che c’è di disperso e duro nella mia sensibilità viene dall’assenza di questo calore e dalla nostalgia inutile dei baci che non ricordo. Sono posticcio. Mi sono sempre svegliato al seno altrui, coccolato per errore.
Ah! È la nostalgia dell’altro che io avrei potuto essere che mi smarrisce e spaventa! Chi altri sarei io, se mi avessero dato quella tenerezza che, partendo dal grembo, giunge a ricoprire di baci il viso del bambino?
Forse la nostalgia di non essere figlio ha un grande rilievo nella mia indifferenza sentimentale! Chi, nell’infanzia, mi ha cinto al proprio viso non mi poteva cingere al cuore. Lei era lontana, in una bara – lei che mi sarebbe appartenuta, se il Destino avesse voluto che mi appartenesse.
Mi hanno detto, più tardi, che mia madre era bella, e dicono che, quando me lo hanno detto, non ho detto niente. Ero già maturo di corpo e di anima, ignorante di emozioni, e il loro parlare ancora non era una notizia di altre pagine difficili da immaginare.
Mio padre, che viveva lontano, si è ucciso quando avevo tre anni e non l’ho mai conosciuto. Non so ancora perché vivesse lontano. Non mi è mai importato saperlo. Ricordo la notizia della sua morte come momenti di grande serietà a tavola (mentre mangiavo) le prime volte dopo che si era saputo. Guardavano, ricordo, di tanto in tanto verso di me. E io contraccambiavo lo sguardo, comprendendo stupidamente. Poi mangiavo più correttamente, pensando, senza vederli, che continuassero a guardarmi.
Io sono tutte queste cose, sebbene non lo voglia, nel fondo confuso della mia sensibilità fatale.