LXXXVIII GdL - La banalità del male di Hannah Arendt

darida

Well-known member
Scusate, ma io passo :boh:
In questo momento non riesco a trovare la concentrazione necessaria per questa lettura, non solo, prima dovrei anche farmi un bel ripasso di storia.

Continuo con le mie letture easy: filastrocche i racconti della pimpa, e magari qualcosina senza le figure :mrgreen:

Buona lettura a tutti! Continuerò comunque a leggere i vostri commenti, molto articolati e interessanti.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Scusate, ma io passo :boh:
In questo momento non riesco a trovare la concentrazione necessaria per questa lettura, non solo, prima dovrei anche farmi un bel ripasso di storia.

Continuo con le mie letture easy: filastrocche i racconti della pimpa, e magari qualcosina senza le figure :mrgreen:

Buona lettura a tutti! Continuerò comunque a leggere i vostri commenti, molto articolati e interessanti.

sicuramente non è una lettura facile, per argomento prima di tutto e fai bene a privilegiare la tua parte nonnesca :)
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Sono a buon punto, ma confesso che sto facendo davvero fatica a portare avanti questa lettura, peraltro molto interessante. C'è qualcosa, nella scrittura della Arendt, che mi disturba, che mi rende indigesta tutta la sua analisi... probabilmente è la sua ambiguità: intuiamo cosa pensa dei personaggi che descrive, ma le sue denunce sono tra le righe.
Ad ogni modo, penso che l'autrice non ritenga Eichmann uno stupido o un irrazionale: piuttosto ci fa capire che lo crede molto furbo e su questo concordo con lei. In generale, comunque, potremmo sostenere che in questo libro l'analisi del processo ad Eichmann sia un pretesto per narrare l'ascesa del nazionalsocialismo, l'olocausto, le soluzioni, da un punto di vista interno, tecnico, gerarchico e politico.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
anche io faccio fatica ma per un motivo diverso, il dolore e lo sdegno per quello che successe e per come tutti stessero a guardare e ad aspettare gli eventi permettendo a gente come Eichmann di compiere il proprio "dovere". Un obbrobrio!
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
anche io faccio fatica ma per un motivo diverso, il dolore e lo sdegno per quello che successe e per come tutti stessero a guardare e ad aspettare gli eventi permettendo a gente come Eichmann di compiere il proprio "dovere". Un obbrobrio!


Se un libro che, comunque sia, parla di Olocausto, tocca le corde della sensibilità significa che è un libro utilissimo.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
anche perché qualcosa si poteva fare, come dimostra bene la Arendt, parlando della reazione della Danimarca, della Bulgaria, in parte dell'Italia e della Francia.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
commento finale

Ho finito. Beh, l'epilogo è illuminante. Ecco la mia recensione finale.

In questo saggio, scritto nel 1963, Hannah Arendt analizza il processo, tenutosi a Gerusalemme nel 1961, ad Eichmann. Chi fu Eichmann? Non il peggiore, ma uno dei tanti funzionari nazisti che parteciparono alla “Soluzione finale” ed allo sterminio degli ebrei. Uno dei tanti, appunto, non il peggiore: un particolare importante perché lo scopo del libro non è, in realtà, raccontare la storia di Eichmann perché diversa dalle altre, ma dimostrare che il male non è qualcosa di grande, impressionante, mostruosamente alieno, ma che esso è nella vita quotidiana, nella politica, nel mondo del lavoro, nella giustizia, nelle piccole cose. Il male è mediocre e banale, perciò è così terribile, specie quando è istituzionalizzato e si insinua nelle decisioni sulla vita altrui.
All’irrimediabile farsa nella quale si trasforma il processo, Eichmann appare come uno stupido, un uomo che non sa bene cosa gli accade intorno, uno che non ricorda, non è in grado di decidere né ha mai deciso nulla consapevolmente perché non è capace di pensare con la propria testa. E’ questa l’immagine che passa di un criminale nazista corresponsabile della morte di milioni di persone, immagine se possibile migliorata dal fatto che egli tentò, a suo dire, di trovare una soluzione che favorisse gli ebrei facendoli uscire dal Paese lasciando loro un po’ di terra sotto i piedi. Questo è giusto un accenno per farvi capire che persona fosse Eichmann. Più in generale, il racconto della vicenda Eichmann si rivela ben presto un pretesto che l’autrice usa per parlare diffusamente dell’avvento del nazionalsocialismo, delle leggi raziali, dell’olocausto, delle soluzioni, dei mille fraintendimenti e falsi equivoci che portarono allo sterminio. Tutto questo viene descritto con puntuale minuzia, ma le denunce della Arendt non sono dirette, bisogna leggere fra le righe per capire bene qual è la sua posizione. Di certo l’autrice non risparmia nessuno, neanche gli ebrei e il neonato Stato israeliano.
Personalmente ho trovato disturbante la perenne ambiguità delle pagine, che si dissipa finalmente nell’ultimo capitolo conclusivo. Ho fatto molta fatica a concludere la lettura, ma credo che oltre ad essere complesso questo libro sia utile: è complesso per i tanti sottointesi e per la precisione del racconto con nomi, episodi e fatti; è utile perché incita ad approfondire l’argomento per comprendere meglio ciò che viene narrato… e, vista l’importanza del tema, approfondire non può essere altro che un bene.
 

velvet

Well-known member
Citazione dal 3° capitolo.
Un esempio a mio avviso di ironia ben riuscita nonostante l'argomento non sia, per ovvie ragioni, di quelli che si prestino maggiormente.

Il giudice Benjamin Halevi, uno dei tre che processavano Eichmann, aveva processato in Israele anche Kastner, per collaborazionismo; secondo Halevi Kastner aveva "venduto l'anima al diavolo". Ora che il diavolo in persona sedeva al banco degli imputati, si scopriva che era invece un "idealista" e si doveva credere che idealista fosse stato anche colui che gli aveva venduto l'anima.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ho finito quella che per me è stata una rilettura, resa più interessante grazie ai vostri commenti.

Grazie a tutti!

Posterò in PB le mie considerazioni.
 
Ultima modifica:

elisa

Motherator
Membro dello Staff
anche io sono all'epilogo e devo dire che la complessità della situazione e del rigore del giudizio verso questi crimini mi stanno facendo riflettere molto rispetto a ciò che può essere considerato "crimine", giustamente questo è il processo verso i vinti ma come ben dice la Arendt, altri crimini sono stati perpretati anche dai vincitori
 

velvet

Well-known member
Scusate, ma io passo :boh:
In questo momento non riesco a trovare la concentrazione necessaria per questa lettura, non solo, prima dovrei anche farmi un bel ripasso di storia.

Continuo con le mie letture easy: filastrocche i racconti della pimpa, e magari qualcosina senza le figure :mrgreen:

Buona lettura a tutti! Continuerò comunque a leggere i vostri commenti, molto articolati e interessanti.

Ti capisco benissimo. Anche io lo sto accompagnando ad un altro più leggero da leggere la sera, non posso certo addormentarmi con Eichmann :paura:
 

velvet

Well-known member
Capitolo 3

Ho terminato il capitolo 3 ed al momento mi sto chiedendo quanto di questa incoerenza, di questo essere fuori dalla realtà, di non rendersi conto della gravità dei fatti, dipenda da Eichmann, dal suo carattere e quanto invece dal contesto, dall'aver vissuto nelle menzogne del regime.
Non poco visto che a quanto pare oltre a lui molti dei nazisti proponevano di riconciliarsi con gli ebrei... addirittura di istituire un "comitato di riconciliazione"... :OO
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
ognuno di noi messo nelle stesse condizioni potrebbe essere un novello Eichmann? questo mi frulla or ora...da brividi...
 

francesca

Well-known member
Finito.
Ho trovato gli ultimi due capitoli abbastanza pesanti, la Arendt analizza il processo da un punto di vista filosofico e giuridico che mi risulta molto ostico.
Come ha già detto estarsable, il suo dire e non dire, dire ma anche lasciare aperta la possibilità a voler dire altro, il suo non prendere mai veramente posizione, alla fine è un po' irritante.
E anche presuntuoso, come voler dimostrare la sua capacità di un'assoluta obiettività, o almeno, ammettendo la sua buona fede, il suo sforzo.
Ma si può rimanere obiettivi davanti a un orrore come quello dell'olocausto?
Si può riuscire ad applicare le categorie della difesa, del diritto giudiziario, a perdersi in mille disquisizioni se il processo era legittimo o no, se le vittime possono o no ergersi a giudici, sulla differenza fra crimine contro l'umanità e crimine contro specifiche etnie ecc...?
Ho finito questi due capitoli con un senso di spossatezza, perché se in primo piano c'erano tutte queste argomentazioni, interessanti, piene di spunti di riflessione, pulite, linde, sullo sfondo c'erano i corpi di quegli uomini e donne assassinati nei campi, i cadaveri nudi e ammassati, gli occhi delle persone deportate nelle file interminabili che li conducevano al massacro.
E questa schizofrenia è insopportabile.
Forse però è l'unico modo per rimanere uomini davanti a tutto ciò, il continuare a pensare razionalmente?
Forse no, perché alla fine sembra che tutta la vicenda di Eichmann sia spiegabile così: un uomo che razionalmente portava avanti il suo lavoro, con dedizione e applicazione, raggiungendo un'efficienza ammirevole.
Senza più cuore, senza più coscienza, senza più niente di umano.

Elisa chiede se ognuno di noi potrebbe trasformarsi in un Eichmann... ed è proprio quello che secondo me ci domandiamo tutti e si sono domandati tutti, nei mille libri scritti sullo argomento, nelle mille discussioni fatte in mille ambiti diversi.
Tutto volto a cercare di rispondere alla domanda: "come è potuto accadere?"
"se è accaduto, riaccadrà di nuovo?" (e la risposta a questa domanda la sappiamo, perché è già riaccaduto, non in tali dimensioni, non con una tale organizzazione, ma ormai "pulizia etnica", "genocidio" sono argomenti ormai quotidiani)

Questa domanda: ma potrei farlo anch'io?
può però anche ribaltarsi completamente nel significato.
Mi spiego meglio: quest'estate ho letto "La ragazza dai fiori di vetro" la storia di Irena Slender, una ragazza polacca che durante l'occupazione nazista salvò dal ghetto di Varsavia migliaia di bambini ebrei, affidandoli a famiglie cattoliche e registrando i loro dati in elenchi che nascondeva correndo un pericolo immenso, non solo salvando la loro vita, ma anche la loro identità, nella speranza di potergliela ridare a fine guerra.
La Slender fu imprigionata, torturata, condannata a morte, salvata dai partigiani, costretta al silenzio e all'oblio, quasi a nascondersi, dopo la guerra durante il periodo dell'influenza sovietica sulla Polonia.
Di nuovo, leggendo questo libro, ho risentito risuonare in me questa domanda: "ma potrei farlo anch'io?"
Questa era una ragazza che studiava per diventare assistente sociale, una ragazza come tante, che fu aiutata nella sua impresa da tante persone come lei, famiglie che prendevano questi bambini e li trattavano come loro, correndo rischi inimmaginabili, non solo personalmente, ma anche per i loro figli.
E io, io sarei un Eichmann o una Slender?
Si può saggiare il proprio cuore, la propria coscienza nel tempo prospero della pace e della libertà?
Ho letto tanto, ma non ho risposta.

Francesca
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Finito.
Ho trovato gli ultimi due capitoli abbastanza pesanti, la Arendt analizza il processo da un punto di vista filosofico e giuridico che mi risulta molto ostico.
Come ha già detto estarsable, il suo dire e non dire, dire ma anche lasciare aperta la possibilità a voler dire altro, il suo non prendere mai veramente posizione, alla fine è un po' irritante.
E anche presuntuoso, come voler dimostrare la sua capacità di un'assoluta obiettività, o almeno, ammettendo la sua buona fede, il suo sforzo.
Ma si può rimanere obiettivi davanti a un orrore come quello dell'olocausto?
Si può riuscire ad applicare le categorie della difesa, del diritto giudiziario, a perdersi in mille disquisizioni se il processo era legittimo o no, se le vittime possono o no ergersi a giudici, sulla differenza fra crimine contro l'umanità e crimine contro specifiche etnie ecc...?
Ho finito questi due capitoli con un senso di spossatezza, perché se in primo piano c'erano tutte queste argomentazioni, interessanti, piene di spunti di riflessione, pulite, linde, sullo sfondo c'erano i corpi di quegli uomini e donne assassinati nei campi, i cadaveri nudi e ammassati, gli occhi delle persone deportate nelle file interminabili che li conducevano al massacro.
E questa schizofrenia è insopportabile.
Forse però è l'unico modo per rimanere uomini davanti a tutto ciò, il continuare a pensare razionalmente?
Forse no, perché alla fine sembra che tutta la vicenda di Eichmann sia spiegabile così: un uomo che razionalmente portava avanti il suo lavoro, con dedizione e applicazione, raggiungendo un'efficienza ammirevole.
Senza più cuore, senza più coscienza, senza più niente di umano.

Elisa chiede se ognuno di noi potrebbe trasformarsi in un Eichmann... ed è proprio quello che secondo me ci domandiamo tutti e si sono domandati tutti, nei mille libri scritti sullo argomento, nelle mille discussioni fatte in mille ambiti diversi.
Tutto volto a cercare di rispondere alla domanda: "come è potuto accadere?"
"se è accaduto, riaccadrà di nuovo?" (e la risposta a questa domanda la sappiamo, perché è già riaccaduto, non in tali dimensioni, non con una tale organizzazione, ma ormai "pulizia etnica", "genocidio" sono argomenti ormai quotidiani)

Questa domanda: ma potrei farlo anch'io?
può però anche ribaltarsi completamente nel significato.
Mi spiego meglio: quest'estate ho letto "La ragazza dai fiori di vetro" la storia di Irena Slender, una ragazza polacca che durante l'occupazione nazista salvò dal ghetto di Varsavia migliaia di bambini ebrei, affidandoli a famiglie cattoliche e registrando i loro dati in elenchi che nascondeva correndo un pericolo immenso, non solo salvando la loro vita, ma anche la loro identità, nella speranza di potergliela ridare a fine guerra.
La Slender fu imprigionata, torturata, condannata a morte, salvata dai partigiani, costretta al silenzio e all'oblio, quasi a nascondersi, dopo la guerra durante il periodo dell'influenza sovietica sulla Polonia.
Di nuovo, leggendo questo libro, ho risentito risuonare in me questa domanda: "ma potrei farlo anch'io?"
Questa era una ragazza che studiava per diventare assistente sociale, una ragazza come tante, che fu aiutata nella sua impresa da tante persone come lei, famiglie che prendevano questi bambini e li trattavano come loro, correndo rischi inimmaginabili, non solo personalmente, ma anche per i loro figli.
E io, io sarei un Eichmann o una Slender?
Si può saggiare il proprio cuore, la propria coscienza nel tempo prospero della pace e della libertà?
Ho letto tanto, ma non ho risposta.

Francesca

Prendo la tua considerazione sul libro della Slender come consiglio. Non mancherò di leggerlo.

Il dibattito sul nazifascismo, sulle responsabilità e sui crimini commessi va avanti da 70 anni ed è bene che sia così.

Anch'io mi sono posto tante volte la domanda. Chissà se anch'io, messo in un determinato contesto, avrei fatto le stesse cose . Chissà chi sarei stato e cos'avrei fatto. Ciò che ieri era prassi comune oggi non lo è e ciò che lo è oggi non lo sarà domani.

Io mi sono fatto un'idea: credo che i tedeschi in realtà non sapessero più di tanto. Hitler non ha inventato niente, nel senso che il razzismo aveva già basi solidissime, nei pochi paesi democratici, così come nella maggioranza di quelli dittatoriali. In fondo chi sono stati i colonizzatori di quello che verrà poi definito "terzo mondo"? Inghilterra e Francia, per lo più. Paesi democratici che andavano in Africa con la supponenza di portare la loro civiltà, ritenendo quella degli indigeni inferiore a tal punto da dover essere eliminata dalla faccia della terra .Razzismo allo stato puro. Dal punto di vista filosofico peggiore di quello nazista, che, in fondo, aveva solo bisogno del famoso capro espiatorio. Che fossero stati ebrei o cinesi o brasiliani credo che sarebbe stata la stessa cosa. Se la sono presa con gli ebrei perché li avevano in casa ed era un odio viscerale e assurdo condiviso dal mondo intero. Personalmente non ci vedo molta differenza rispetto al comportamento che molti occidentali hanno nei confronti dei musulmani, i nuovi nemici della vera civiltà.

Quello che voglio dire è che, secondo me, non dobbiamo "disumanizzare" i nazisti, rendendoli sciocchi o mostruosi. Non erano né sciocchi, né mostruosi, né diversi da noi. Erano uomini che covavano lo stesso odio che, puntualmente, la storia ripresenta davanti ai popoli del mondo. Cambiano le etichette da appiccicare ai nemici (deicidi, terroristi, incivili ecc.), gli stessi nemici e le modalità di affrontare la paura e la repulsione di società diverse. Oggi nessuno si sognerebbe di costruire campi di sterminio per musulmani, ma sono convinto che se il mondo non fosse stato così recentemente scioccato dalla Shoah, qualche partito che proponesse una cosa del genere (magari girandoci un po' attorno, almeno agli inizi, proprio come fece il partito nazista) raccoglierebbe ampi consensi.

I nazisti erano umanissimi e non fecero niente di diverso rispetto a ciò che l'umanità aveva sempre fatto in passato. Sterminare, uccidere, umiliare e vessare. Il più grande genocidio fu quello americano e fu di matrice cristiana. Un intero continente, fatto di decine di milioni di persone e di civiltà in molti casi ben più progredita rispetto a quelle europee, spazzato via in nome di una presunta superiorità di razza. Gli indiani d'America non erano uomini, è con questa stupidissima tesi che i bianchi si lavarono la coscienza. Poi non erano più uomini i neri. Che si potevano schiavizzare, violentare e uccidere a piacimento. E gli ebrei in tutto questo lasso di tempo sono stati i deicidi, perché i rabbini di Gerusalemme ebbero responsabilità nel crocefiggere il figlio di Dio. Un peso che un'intera popolazione porterà sempre con sé.

La storia, purtroppo, si ripete, e, in fondo in fondo, Hitler non è stato quella gran novità.
 
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elisa

Motherator
Membro dello Staff
Il libro è finito ed adesso inizia la riflessione su un periodo storico ancora così vicino a noi da renderlo comprensibile nelle sue dinamiche storiche e politiche ed incomprensibile dal punto di vista umano perché ci siamo dentro ancora tutti. Questo è il gran pregio di questa lettura, muovere non solo il pensiero e le emozioni ma anche la coscienza, ossia quella parte di noi che mette insieme la razionalità e i sentimenti. Nel libro della Arendt ce n'è per tutti, dai Consigli degli ebrei ai funzionari più minuti, oltre che a chi ha diretto l'immane tragedia. Ce n'è per tutti ma alcuni sono riusciti a rimanerne fuori, sia singolarmente che come nazione e questo è il faro, la luce che ci guida e che nella ripetizione dei fatti successi in passato che potremmo rivedere oggi, ci permette di considerare profondamente il dissenso, l'indignazione, la difesa dei deboli contro tutti. E' un libro forte, un libro fonte di angoscia ma anche di lucida speranza.
 

francesca

Well-known member
Altre riflessioni sparse.
nonostante abbia visto davvero decine di documentari e abbia anche letto molte cose sul nazismo e sull'olocausto, (basta pensare a come ogni anno all'approssimarsi della Giornata della memoria veniamo bombardati, giustamente, da decine di immagini, parole, frasi sull'argomento alla televisione, sui giornali, sui social)...
nonostante siano note storie di alcuni "giusti" che con il loro eroismo mettendo a repentaglio la loro vita hanno salvato innocenti da morte sicura...
ho scoperto solo quest'anno e quasi casualmente la storia della Danimarca, e solo nel libro dell'Arendt ho scoperto che altre nazioni si erano opposte alla soluzione finale ottenendo di salvare la maggior parte dei loro cittadini ebrei.
Questo silenzio su queste vicende mi ha colpito moltissimo.
Quasi come se collettivamente fosse più facile ammettere che non ci si poteva opporre, che solo pochi eroi isolati hanno fatto qualcosa. Quasi che così la colpa non solo di chi ha partecipato attivamente ma anche di chi ha concorso con il proprio silenzio e il proprio "distogliere lo sguardo" fosse in qualche modo diluita: non si può chiedere a qualcuno di essere eroe quando intorno a lui nessuno lo è.
Invece no, ci sono stati governi, popolazioni che si sono opposte, non in nome di ideali supremi, ma con la naturalezza di chi sente l'assurdità di sterminare i propri vicini di casa solo perché sono ebrei, con il senso politico e sociale del significato di essere parte di uno stato che difende i propri cittadini.
C'è una risposta all'orrore che rende umanità all'Europa che ne fu travolta, che rompe la schematizzazione di dividere questa umanità in carnefici e vittime, su cui fanno luce pochi splendidi eroi. Non so perché questa altra verità venga così poco pubblicizzata.

Francesca
 

velvet

Well-known member
Scusate, ho tralasciato il libro per un po'. Ritorno con qualche osservazione.

Sottoscrivo quanto scritto da Francesca sulla Danimarca e gli altri paesi che si sono opposti a deportazioni e sterminio.

Aggiungo anche che ho apprezzato le note positive relative al comportamento dell' Italia sul tema, argomenti che non avevo mai approfondito prima d'ora.
Quello che in Danimarca fu il risultato di una profonda sensibilità politica, di un'innata comprensione dei doveri e delle responsabilità di una nazione che vuole essere veramente indipendente, in Italia fu il prodotto della generale, spontanea umanità di un popolo di antica civiltà.
 

velvet

Well-known member
ci sono stati governi, popolazioni che si sono opposte, non in nome di ideali supremi, ma con la naturalezza di chi sente l'assurdità di sterminare i propri vicini di casa solo perché sono ebrei, con il senso politico e sociale del significato di essere parte di uno stato che difende i propri cittadini.

Sottoscrivo quanto scritto da Francesca sulla Danimarca e gli altri paesi che si sono opposti a deportazioni e sterminio.

Volevo anche aggiungere che è molto interessante l'osservazione che fa la Arendt secondo cui in questi paesi che si opposero apertamente alla persecuzione degli ebrei come Danimarca e Bulgaria, anche i nazisti fidati tedeschi piano piano cambiarono atteggiamento, i funzionari tedeschi divennero titubanti e incerti e non furono più elementi fidati.
 
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