Kundera, Milan - L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere

ayuthaya

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Ho adorato questo libro dalla prima all’ultima pagina. E la cosa più sorprendente è che l’ho più o meno consapevolmente ignorato, quasi snobbato, per anni... Perchè, mi chiedo adesso? Cosa mi aveva spinto a credere che il capolavoro di Kundera non dovesse fare breccia nel mio cuore? È passato ormai troppo tempo perchè io possa ricordarmelo... quando, nel corso della lettura, ho iniziato a curiosare fra le recensioni, non ho trovato altro che commenti positivi. E una definizione ricorrente: “cult giovanile degli anni 80”.
“Cult”: oggetto o prodotto culturale che ha acquisito valore simbolico grazie al suo grande successo e al suo carattere di esemplarità... Che sia stato questo a farmelo snobbare? Il rifiuto a leggere un libro che mi sarebbe dovuto piacere “per forza”? il solito “best seller” dal successo facile e limitato nel tempo?
Quale che sia la ragione della mia indifferenza, ho finalmente deciso di leggere questo libro perchè era un audiolibro , fra i quali purtroppo ho una scelta molto più limitata – anche se, per assurdo, questa circostanza si sta rivelando una fortuna, dandomi l’occasione di conoscere romanzi e autori che altrimenti avrei continuato a ignorare –, e ne sono rimasta letteralmente estasiata. Dopo aver ascoltato i primi due capitoli ho pensato “mio Dio, ma qui c’è da sottolineare tutto!!!” (ecco una grossa pecca degli audiolibri per una che, come me, è abituata a sottolineare qualsiasi cosa...) e poi mi sono consolata pensando che, se non altro, era facile ricordare che ad avermi colpito erano proprio i primi due capitoli: il concetto nietschiano dell’Eterno Ritorno, l’assurdità della vita umana che, al contrario, non consente alcuna ripetizione; e poi il contrasto fra leggerezza e pesantezza, l’interpretazione anti-parmenidea che ne dà Kundera... In effetti i primi due capitoli forniscono la chiave di lettura di tutto il romanzo, ma quanto mi sbagliavo nel credere che sarebbero state le uniche cose che avrei voluto sottolineare!
La verità è che L’insostenibile leggerezza dell’essere offre una quantità straordinaria di spunti, di riflessioni e brani di pura e semplice poesia. Non amo particolarmente le storie d’amore, eppure ho trovato la storia fra Sabina e Franz e soprattutto quella fra Tomáš e Teresa assolutamente sublimi. Se aggiungiamo il fatto che il romanzo è ambientato immediatamente prima e dopo la Primavera di Praga e offre quindi la bellissima occasione di approfondire questo importante momento storico, ecco spiegato il mio entusiasmo.
Se proprio devo trovare un difetto è questo: che tutto quello che si poteva dire su questo romanzo... l’ha già detto il suo autore. É il limite di un’opera il cui valore consiste nella profondità quasi filosofica dei suoi contenuti. Kundera non vuole “insegnare” nulla... allo stesso tempo, però, la “teoria” e la "narrazione” sono talmente intrecciati che è difficile capire quali siano le “digressioni”: se i pensieri o i fatti. Gli uni spiegano gli altri. I lunghi passaggi in cui l’autore si interroga sul senso della vita, sulla pesantezza a cui è condannato chi prova “com-passione” (o, per meglio dire, “co-sentimento”), sull’insostenibile leggerezza dell’essere – quando pensiamo di essere finalmente liberi e invece abbiamo perso ogni legame – sarebbero aridi, fini a se stessi, se non trovassero continuo riscontro nella “realtà” dei fatti narrati. D’altra parte, i rapporti fra Tomáš e Teresa, fra Sabina e Tomáš, fra Franz e Sabina si ridurrebbero a poco più di un banale quadrilatero amoroso se non avessero un “contrappeso metafisico” che li valorizza. Si potrebbe quasi dire che la parte narrativa e la parte speculativa di questo libro costituiscono un’ulteriore coppia di opposti il cui valore positivo e quello negativo non possiedono la chiarezza attribuita loro dal filosofo greco.
Ripeto che, se un limite c’è in questo romanzo, è quello di lasciare poco spazio alla fantasia: il mio stesso commento, in grado solo di riportare il mio livello di apprezzamento e poco altro, è la dimostrazione che Kundera “constringe” a riflettere su ciò che lui stesso ha “elaborato”. Forse sarebbe stato bello spingere il lettore a intervenire in modo più attivo, a costruire lui stesso delle relazioni, delle intuizioni, delle riflessioni. Ciò non toglie che sia un bellissimo romanzo non necessariamente dipendente dal gradimento di un pubblico giovanile o dal successo di un decennio.
Sono proprio curiosa di scoprire se Milan Kundera ha saputo ripetersi senza... ripetersi.
 
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estersable88

dreamer member
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Ho adorato questo libro dalla prima all’ultima pagina. E la cosa più sorprendente è che l’ho più o meno consapevolmente ignorato, quasi snobbato, per anni... Perchè, mi chiedo adesso? Cosa mi aveva spinto a creder eche il capolavoro di Kundera non dovesse fare breccia nel mio cuore? È passato ormai troppo tempo perchè io possa ricordarmelo... quando, nel corso della lettura, ho iniziato a curiosare fra le recensioni, non ho trovato altro che commenti positivi. E una definizione ricorrente: “cult giovanile degli anni 80”.
“Cult”: oggetto o prodotto culturale che ha acquisito valore simbolico grazie al suo grande successo e al suo carattere di esemplarità... Che sia stato questo a farmelo snobbare? Il rifiuto a leggere un libro che mi sarebbe dovuto piacere “per forza”? il solito “best seller” dal successo facile e limitato ne tempo?
Quale che sia la ragione della mia indifferenza, ho finalmente deciso di leggere questo libro perchè era un audiolibro , fra i quali purtroppo ho una scelta molto più limitata – anche se, per assurdo, questa circostanza si sta rivelando una fortuna, dandomi l’occasione di conoscere romanzi e autori che altrimenti avrei continuato a ignorare –, e ne sono rimasta letteralmente estasiata. Dopo aver ascoltato i primi due capitoli ho pensato “mio Dio, ma qui c’è da sottolineare tutto!!!” (ecco una grossa pecca degli audiolibri per una che, come me, è abituata a sottolineare qualsiasi cosa...) e poi mi sono consolata pensando che, se non altro, era facile ricordare che ad avermi colpito erano proprio i primi due capitoli: il concetto nietschiano dell’Eterno Ritorno, l’assurdità della vita umana che, al contrario, non consente alcuna ripetizione; e poi il contrasto fra leggerezza e pesantezza, l’interpretazione anti-parmenidea che ne dà Kundera... In effetti i primi due capitoli forniscono la chiave di lettura di tutto il romanzo, ma quanto mi sbagliavo nel credere che sarebbero state le uniche cose che avrei voluto sottolineare!
La verità è che L’insostenibile leggerezza dell’essere offre una quantità straordinaria di spunti, di riflessioni e brani di pura e semplice poesia. Non amo particolarmente le storie d’amore, eppure ho trovato la storia fra Sabina e Franz e soprattutto quella fra Tomáš e Teresa assolutamente sublimi. Se aggiungiamo il fatto che il romanzo è ambientato immediatamente prima e dopo la Primavera di Praga e offre quindi la bellissima occasione di approfondire questo importante momento storico, ecco spiegato il mio entusiasmo.
Se proprio devo trovare un difetto è questo: che tutto quello che si poteva dire su questo romanzo... l’ha già detto il suo autore. É il limite di un’opera il cui valore consiste nella profondità quasi filosofica dei suoi contenuti. Kundera non vuole “insegnare” nulla... allo stesso tempo, però, la “teoria” e la”narrazione” sono talmente intrecciati che è difficile capire quali siano le “digressioni”: se i pensieri o i fatti. Gli uni spiegano gli altri. I lunghi passaggi in cui l’autore si interroga sul senso della vita, sulla pesantezza a cui è condannato chi prova “com-passione” (o, per meglio dire, “co-sentimento”), sull’insostenibile leggerezza dell’essere – quando pensiamo di essere finalmente liberi e invece abbiamo perso ogni legame – sarebbero aridi, fini a se stessi, se non trovassero continuo riscontro nella “realtà” dei fatti narrati. D’altra parte, i rapporti fra Tomáš e Teresa, fra Sabina e Tomáš, fra Franz e Sabina si ridurrebbero a poco più di un banale quadrilatero amoroso se non avessero un “contrappeso metafisico” che li valorizza. Si potrebbe quasi dire che la parte narrativa e la parte speculativa di questo libro costituiscono un’ulteriore coppia di opposti, il cui valore positivo e quello negativo non possiedono la chiarezza attribuita loro dal filosofo greco.
Ripeto che, se un limite c’è in questo romanzo, è quello di lasciare poco spazio alla fantasia: il mio stesso commento, in grado solo di riportare il mio livello di apprezzamento e poco altro, è la dimostrazione che Kundera “constringe” a riflettere su ciò che lui stesso ha “elaborato”. Forse sarebbe stato bello spingere il lettore a intervenire in modo più attivo, a costruire lui stesso delle relazioni, delle intuizioni, delle riflessioni. Ciò non toglie che sia un bellissimo romanzo non necessariamente dipendente dal gradimento di un pubblico giovanile o dal successo di un decennio.
Sono proprio curiosa di scoprire se Milan Kundera ha saputo ripetersi senza... ripetersi.
Bene, su questo siamo sostanzialmente d'accordo. Sai, leggendo sopratutto l'ultima parte del tuo commento, pensavo che durante la lettura del libro ho avuto la sensazione che Kundera proprio non volesse che il lettore "filosofasse" sul suo scritto. Ho pensato proprio che Kundera questo libro ha voluto scriverlo e darcelo così, come un'opera fatta e finita, come a dire:"Le cose stanno così, ho detto tutto, non ho altro da aggiungere". E nonostante questo noi siamo qui con tanti interrogativi aperti, con tanti spunti di riflessione, come se le sue parole non ci bastassero. Non so se sono riuscita a spiegarti la mia sensazione, ma è qualcosa che ho provato leggendo il libro ed ho ritrovato forte leggendo le tue riflessioni.
Comunque questo sarebbe proprpio un ottimo "Libro del mese"!
 
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