Kafka, Franz - Il processo

Nikki

New member
Chi mi da una mano a sbrogliar i miei pensieri (pochi e ben confusi)?

Eccomi! Le mie riflessioni:
Kafka (o se preferisci, lo chiamiamo con l'appellativo che si è scelto: K.) inizia parlando di una cosa, umana e confusa, e finisce parlando di un'altra, più ampia, di divina imperscrutabilità. Inizialmente parla di una accusa e di un processo, avanzata e condotto dagli uomini. In finale, K. sta parlando di un giudizio sulla sua anima, sul suo essere uomo, condotto da un essere supremo. La mortalità è la condanna. A suggerire questa lettura sono prima di tutto le ambientazioni: inizialmente, soffitte polverose, poi una grande cattedrale, spazi aperti e sconfinati, dove si può a malapena scorgere una figura femminile che si affaccia da una finestra...

Il processo non è qualcosa di oggettivo e materialmente percepibile: inizia nella mente dell'uomo, si sviluppa in essa, ma ci sono degli elementi nella realtà che sembrano accompagnare la formazione di questa consapevolezza. Elementi eterei, impressioni, parole non dette, sguardi... La prima parte del libro è indecentemente divertente. Il buon senso suggerirebbe la finzione e l'assurdità dei contesti e delle situazioni: la confusione, la totale inaccessibilità ai meccanismi burocratici della giustizia, nonostante la disponibilità e la buona volontà del personale di servizio (ci troviamo proprio di fronte a due realtà diverse e non comunicanti, è inutile!), gli uffici nascosti nei posti più improbabili, l'atmosfera greve.. Ma l'esperienza, invece, evidenzia una serie di somiglianze con la realtà che conduce all'esclamazione: "quest'uomo ha descritto con le parole l'essenza e la natura intima della vicenda processuale della nostra tradizione giuridica". Se lette come riproduzione empirica della realtà, c'è qualcosa di geniale in queste pagine.

[è impressionante il confronto con la realtà: Kafka, per esprimere la alienazione e la estraneità dell'uomo al Giudizio, sceglie il sistema processuale, che è caos. Riflettendo sulla interpretazione data da Kafka stesso, non si può non chiedersi: è davvero casuale che il sistema di giustizia, in ogni paese, soffra di caos congenito? chi più, chi meno, ma la Giustizia, in un paese, è sempre un tasto dolente, non c'è riforma che possa fornire la soluzione definitiva. Sarà davvero un caso? o sarà la materia in sé che non può essere condotta ad alcun tipo di ordine? che è al di là di ogni umana facoltà.. :?? ]

Il sesso: io sono giunta a convincermi che le donne, nel racconto, personificano la Giustizia. Una ******* nelle aule giudiziarie, che chiunque può fo****e, al momento, sul pavimento davanti a tutti, una sguattera nello studio dell'avvocato, promiscua, ma passionale e devota allo stesso modo, con tutti, scostante e irrangiungibile nella società civile. Il sesso simboleggia il desiderio umano di raggiungere e possedere la Giustizia. Che è fin troppo ovvio perché K. abbia accostato il sesso al desiderio maschile di possesso. In questo modo, io mi spiego i giornaletti porno che il Giudice consulta con profonda attenzione durante l'udienza (si noti l'effetto ridicolizzante e sminuente che si crea di riflesso: la rozzezza dei modi con cui il Giudice cerca la Verità e quindi tenta di raggiungere la Giustizia azzerano completamente la sua credibilità e autorità. E' l'umano alle prese con il sistema di giudizio: ingestibile, incomprensibile. Però è lui che ha il potere, in quella fase. Un incompetente al potere e non potrebbe essere altrimenti, l'uomo è limitato ex natura. (l'ho già scritto, K. è geniale). La donna del Tribunale è sposata con il funzionario (cancelliere??), figura che dovrebbe rendere un servizio umile, ma onesto, alla Giustizia: infatti, se la è sposata. Il Giudice è il suo amante, lei lo rincorre ovunque, convinta che (se lui la possederà), forse l'imputato potrà trarre qualche vantaggio. Lo studente di Legge, nella sua volgarità fisica, è il più passionale, forse anche innamorato... è l'entusiasmo di colui che ancora non conosce il reale funzionamento del sistema, la frustrazione che ne deriva, l'insensatezza nello stato più puro. La Giustizia non sa resistere a tanta passione, si fa rapire come fosse una ragazzina senza volontà. E sempre una donna (quindi, la Giustizia) sarà l'ultima cosa che il condannato a morte potrà vedere: una donna alla finestra che tende le braccia. Mi ha molto commosso aver letto in una nota che una prima bozza dell'opera non prevedeva la sua apparizione nel finale. K. avrebbe dovuto morire senza nulla a cui appellarsi, a cui ancorare la propria fede. Invece, poi è stato deciso che il finale doveva suggerire l'esistenza di qualcosa di altro, più alto delle ordinarie vicende umane di vita e di morte.

Morale: nel momento in cui l'uomo si fa adulto e consapevole e inizia a interrogarsi sulla natura del proprio animo, la vita diventa un lungo giudizio, un processo.. che non può concludersi che con la morte. Siamo tutti colpevoli di eccessiva umanità. E perciò, siamo tutti belli nella nostra mortalità. In qualche mito greco, persino gli dei ci invidiavano.

Questa è l'idea che mi sono fatta per dare un senso al racconto. Ho comprato un libro di Citati (in offerta :mrgreen: ) su Kafka, spero di avere presto il tempo di consultarlo e trovare qualche conferma o smentita.
 
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stellonzola

foolish member
Eccomi! Le mie riflessioni:
Kafka (o se preferisci, lo chiamiamo con l'appellativo che si � scelto: K.) inizia parlando di una cosa, umana e confusa, e finisce parlando di un'altra, pi� ampia, di divina imperscrutabilit�. Inizialmente parla di una accusa e di un processo, avanzata e condotto dagli uomini. In finale, K. sta parlando di un giudizio sulla sua anima, sul suo essere uomo, condotto da un essere supremo. La mortalit� � la condanna. A suggerire questa lettura sono prima di tutto le ambientazioni: inizialmente, soffitte polverose, poi una grande cattedrale, spazi aperti e sconfinati, dove si pu� a malapena scorgere una figura femminile che si affaccia ad una finestra...

Morale: nel momento in cui l'uomo si fa adulto e consapevole e inizia a interrogarsi sulla natura del proprio animo, la vita diventa un lungo giudizio, un processo.. che non pu� concludersi che con la morte. Siamo tutti colpevoli di eccessiva umanit�. E perci�, siamo tutti belli nella nostra mortalit�. In qualche mito greco, persino gli dei ci invidiavano.

Sono d'accordo con questo commento.
All'inizio il proceso è descritto come reale. Appena terminato il libro ho cercato di capire perché K. si comportasse in modo tanto stupido durante il processo. Solo ora mi rendo conto che questo processo non è reale, è (come dice Nikki) solo nella testa dell'accusato. E' un processo a se stesso!
Questo forse me lo suggerisce il racconto fatto dal prete nella chiesa: l'uomo attende fino alla morte di poter entrare in contatto con la Giustizia e per tutta la vita vive l'illusione di poterla raggiungere. Ma non potrà mai difendersi dall'accusa di essere un uomo.
La Giustizia è fuori dalla portata dell'uomo. Nemmeno quelli che vivono della giustizia, come i giudici, gli avvocati, e i burocrati, nemmeno loro in realtà sanno cos'è. Infatti partecipano a processi in cui non conoscono nemmeno le accuse e dei quali non sapranno mai gli esiti. Credo sia anche per questo che gli addetti ai lavori dl tribunale consigliano tutti a K. di aggirare la giustizia e di cercarsi un sacco di protettori e di farsi amico di persone, anche umili, che abbiano una qualche influenza in alto.

E' questo che intendete? ho capito bene?

Il ruolo della donna non mi è chiaro invece. Il ragionamento di Nikki fila a pennello....:? ... ma non mi è chiarissimo....
Tutte le donne del libro si propongono di aiutare K., di intercedere per lui ai piani alti, di fargli avere un protettore... e sembrano tutte desiderarlo proprio perchè accusato... (lo spiega anche l'avvocato: la sua cameriera vede belli solo gli accusati). In questo tu cosa vedi? che la Giustizia vorrebbe farsi raggiungere e quindi liberare gli innocenti? O che vorrebbe far svelare gli arcani della legge? O si prende gioco dell'uomo facendogli credere di poterla raggiungere?
:boh:
 
Perplesso...

Salve a tutti,

nuovo del forum ma su Il processo non potevo esimermi dal dire la mia :)

Sono davvero perplesso di fronte ad alcuni commenti letti nei quali l'autore dichiara di non aver compreso cosa ci sia in questo romanzo oltre "all'accusa nei confronti del sistema giudiziario", o altri, nei quali mi pare di ravvisare un approccio a Kafka simile a quello che potrebbe aversi nei confronti di un Ken Follet (tanto per citare un autore di narrativa parecchio conosciuto).

Kafka ha scritto letteratura, non narrativa. Prova ne sono i suoi meravigliosi racconti (a parer mio veri esempi di tecnica e chiare esemplificazioni dell'amore per la scrittura, profondo, struggente, dell'autore ceco) oltre ai suoi romanzi e al celebre la metamorfosi.
Kafka era uno scrittore puro, un uomo che viveva in modo angoscioso e drammatico il suo rapporto con il padre e con la sua carriera lavorativa. Ne Il processo è manifesta la convinzione dell'impotenza del genere umano, dell'impotenza dell'autore, che come uomo non può emanciparsi dalla sua condizione esistenziale.
Leggere la biografia dell'autore, che credo sia sopra ogni altro l'uomo che ho "sentito" maggiormente, è illuminante.

Per quanto attiene alla lettura strettamente correlata all'aspetto giuridico presente nel romanzo, direi che ogni considerazione è superflua rispetto all'interpretazione che ha fornito Nikki.
 

Nikki

New member
chiedo venia per il ritardo! :wink:
La Giustizia è fuori dalla portata dell'uomo. Nemmeno quelli che vivono della giustizia, come i giudici, gli avvocati, e i burocrati, nemmeno loro in realtà sanno cos'è. Infatti partecipano a processi in cui non conoscono nemmeno le accuse e dei quali non sapranno mai gli esiti. Credo sia anche per questo che gli addetti ai lavori dl tribunale consigliano tutti a K. di aggirare la giustizia e di cercarsi un sacco di protettori e di farsi amico di persone, anche umili, che abbiano una qualche influenza in alto.

E' questo che intendete? ho capito bene?
intendevo precisamente questo. Nessuno, ma proprio nessuno, ha idea di che cosa si stia parlando. Cosa sia il procedimento, quale sia l'oggetto, chi lo conduce... ne si conosce solo l'esito, conoscenza temperata da una speranza di salvezza fondata su un qualcosa non troppo chiaro...come tutte le speranze, dopotutto

Il ruolo della donna non mi è chiaro invece. Il ragionamento di Nikki fila a pennello....:? ... ma non mi è chiarissimo....
Tutte le donne del libro si propongono di aiutare K., di intercedere per lui ai piani alti, di fargli avere un protettore... e sembrano tutte desiderarlo proprio perchè accusato... (lo spiega anche l'avvocato: la sua cameriera vede belli solo gli accusati). In questo tu cosa vedi? che la Giustizia vorrebbe farsi raggiungere e quindi liberare gli innocenti? O che vorrebbe far svelare gli arcani della legge? O si prende gioco dell'uomo facendogli credere di poterla raggiungere?
:boh:

Io credo che la (personificazione della) Giustizia, in Kafka, sia il "soggetto" più impotente di tutti. Vorrebbe aiutare, l'uomo, ama l'uomo, come una divinità lo guarda dall'esterno, ne è innamorata, lo vede bello...ma non può fare niente per lui. Totale incomunicabilità... l'uomo e la Giustizia hanno un viscerale bisogno l'uno dell'altra..si vogliono, si desiderano, ma non possono raggiungersi. Come nelle più travolgenti delle storie d'amore (sì sì ok, ho finito con questa lettura di kafka in chiave Harmony :mrgreen:)
Non si sa se la Giustizia soffre della sua impotenza, non si capisce... il suo comportamento ha tratti leggeri e spensierati come solo le divinità possono essere. Può un Dio soffrire o struggersi per l'uomo? Sarebbe davvero commovente... e il finale del libro, a ben vedere, è un bel po' commovente.
 

Mizar

Alfaheimr
chiedo venia per il ritardo! :wink:

intendevo precisamente questo. Nessuno, ma proprio nessuno, ha idea di che cosa si stia parlando. Cosa sia il procedimento, quale sia l'oggetto, chi lo conduce... ne si conosce solo l'esito, conoscenza temperata da una speranza di salvezza fondata su un qualcosa non troppo chiaro...come tutte le speranze, dopotutto



Io credo che la (personificazione della) Giustizia, in Kafka, sia il "soggetto" più impotente di tutti. Vorrebbe aiutare, l'uomo, ama l'uomo, come una divinità lo guarda dall'esterno, ne è innamorata, lo vede bello...ma non può fare niente per lui. Totale incomunicabilità... l'uomo e la Giustizia hanno un viscerale bisogno l'uno dell'altra..si vogliono, si desiderano, ma non possono raggiungersi. Come nelle più travolgenti delle storie d'amore (sì sì ok, ho finito con questa lettura di kafka in chiave Harmony :mrgreen:)
Non si sa se la Giustizia soffre della sua impotenza, non si capisce... il suo comportamento ha tratti leggeri e spensierati come solo le divinità possono essere. Può un Dio soffrire o struggersi per l'uomo? Sarebbe davvero commovente... e il finale del libro, a ben vedere, è un bel po' commovente.
Mi viene alla mente la creazione di Barnabas: l'angelo decaduto o tarpato messaggero dei cieli del Castello. Colui che non può, non sa, far nulla per K.
 

Nikki

New member
Mi viene alla mente la creazione di Barnabas: l'angelo decaduto o tarpato messaggero dei cieli del Castello. Colui che non può, non sa, far nulla per K.

arriverà anche il tempo del Castello... so che lo dico ogni volta che ne parliamo... :D mi impegno ad applicarmi di più!
 

Mizar

Alfaheimr
arriverà anche il tempo del Castello... so che lo dico ogni volta che ne parliamo... :D mi impegno ad applicarmi di più!
Attenta che mi trasformo in porno-istitutore tutto penna blu e bacchetta :mrgreen:


Per non vagolare deliberatamente off topic, consiglierò a tutti un simpatico racconto kafkoso. Il titolo è: La Tana.
 

EgidioN

New member
Libro molto bello, scorrevole, surreale ed evocativo. Originale come pochi. L'autore crea una situazione irreale ed induce il lettore, pagina dopo pagina, ad assumerla come concreta. Superbo, merita un 5/5.
 

SALLY

New member
Letto per il MGL...un'allegoria della vita,frammenti di tutti i giorni in una cornice simbolica,sembra il racconto di un'angoscia esistenziale,che colpa aveva K? forse quella di esistere,di essere vivo.Forse l'abbiamo tutti questo processo aperto? Mah!
Non posso dire che mi sia dispiaciuto,è un pò lento ma incuriosisce...il finale m'ha colto di sorpresa,è assurdo,K è un uomo piegato ed ha un'accettazione incredibile confronto al K iniziale...anche questo può essere il risultato di come il tempo e i fatti cambino gli uomini.
 

velmez

Active member
K. è sostanzialmente una vittima come tante: vive in una società e cerca di seguire le regole ma, evidentemente non le capisce, perchè in qualcosa sbaglia e viene processato. Su questo si incentra il romanzo: sul processo che la "la legge" (intesa come Stato o Organizzazione che noi immaginiamo onnisciente su di noi) conduce secondo regole assurde, apparentemente illogiche (l'innocenza è considerata un difetto, una sfortuna per il proseguimento del processo... l'importante è come si conduce il processo: più a lungo lo si conduce meglio è! ...anche perchè nessuno ne è mai uscito vincitore:??)
Il fatto che nel capitolo del Duomo sia proprio un prete a dare la spiegazione ultima della Legge a K. mette anche la Religione sullo stesso piano della Giustizia: incomprensibili e inarrivabili allo stesso modo?

poi ci sono alcune caratteristiche ricorrenti e particolari: i tribunali e le cancellerie nei solai delle vecchie case o cascine (la giustizia deve nascondersi?), le donne che trovano gli imputati attraenti (la donna è attirata dalla colpa?), il posto di lavoro come luogo insicuro, dove ci si sente sorvegliati (K. deve chiudersi nell'ufficio e ha paura della sorveglianza dei capi, non che dei colleghi che, non si capisce perchè, sono a casa sua al momento dell'arresto... per non parlare del picchiatore!!)

io comunque l'ho letto con piacere, anzi mi riprometto di passare a Il castello prima o poi!
 

ila78

Well-known member
Letto anch'io per il MGdL. Se non fosse stato per la lettura comunitaria e il confronto con gli altri non l'avrei mai scelto. Non è male anche se a tratti è veramente pesante e la lettura risulta difficile da proseguire, ci sono dei punti in cui ho pensato "Ma non ha senso..." Nonostante questo la storia di K. "ti prende", vuoi vedere come va avanti e come se la caverà. Il finale è triste e lascia molte domande senza risposta, ma sembra quasi di condividere il destino del protagonista senza comprendere il perchè di quello che sta accadendo.
Non lo definirei un capolavoro, ma una lettura piacevole e stimolante sicuramente
Voto 3/5
 

GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
Membro dello Staff
Attenzione Spoiler!!

Un Kafka più involuto e macchinoso rispetto a "La metamorfosi". Lo stile a tratti è pesante, farraginoso, i periodi sono lunghissimi e ghirigorati.
Per quanto riguarda la storyline, mi ha sicuramente affascinato l'amo che Kafka getta al lettore sin dalle prime pagine: non si sa e basta per quale motivo K. venga arrestato. Il surrealismo delle situazioni a seguire - le guardie che dovrebbero controllarlo pensano piuttosto a fargli fuori la colazione e gli vogliono rubare i vestiti, l'ispettore che lo invita nonostante la sua "condizione" ad andare in banca tranquillamente, per non parlare della ubicazione del tribunale nel solaio di una cascina(sic!) e dei dialoghi che rasentano atmosfere oniriche - non appesantisce la trama, forse ne è addirittura il punto di forza. Personaggi-macchiette come il pittore in pigiama, lo zio campagnolo "convinto" e l'avvocato "azzeccagarbugli" a letto malato, sono caratterizzati in maniera mirabile.
Lo spartiacque del romanzo è sicuramente la parabola del cappellano sulla Legge e il Custode: non c'è niente che K. possa fare, è inutile lottare, difendersi, reagire. L'uomo comune non potrà mai "entrare" nella Legge. Il capitolo finale mi ha scioccato, non mi aspettavo davvero che si passasse da un processo-limbo a una condanna a morte nel giro di un annetto, mentre altri imputati sono dietro al loro processo da 5 anni e passa.
Una lettura che mi sento di consigliare perchè l'autore è uno che va letto una volta nella vita, ma non siamo ai livelli de "La metamorfosi" ecco.
 

kikko

free member
Ero curioso di capre cosa si intende con il termine kafkhiano o situazione cafkhiana, in parte lo avevo intuito leggendo metamorfosi, ma il processo mi ha chiarito bene il concetto :mrgreen:
Per tutto il libro si parla di un processo senza sapere mai quale sia l'accusa, stato d'arresto surreale e cancellerie in soffitte di una casa popolare :boh: insomma vicende e situazioni kafkiane :wink:
Non penso si debba cercare a tutti i costi di capire il perchè o il per come di quello che succede, mi sono goduto la lettura come se fossi sotto l'effetto di una bella sbronza apprezzando i paradossi e le assurdità di questo racconto :D
 

maurizio mos

New member
Un Kafka ricco di simbolismi, quasi onirico in molti tratti, per narrare l'impotenza dell'uomo comune di fronte a ciò che lui stesso, in un certo senso, ha creato: la macchina della legge, inizialmente nata a protezione della società e via via trasformatasi in una forza nebulosa eppure terribilmente tangibile contro la quale nulla si può e nemmeno si può dire "è colpa di quello, di questo". Siamo tutti schiacciati sotto il peso di un'istituzione, di un'organizzazione (e la Legge è solo un aspetto: tutto attorno a noi ci sono decine di esempi simili...) di cui nessuno in fondo è responsabile se non la società. Ma la società siamo noi...
 

~ Briseide

Victorian Lady
Per sono tre stelle, ma non per i contenuti, che trovo veramente di una efficacia assoluta, ma più che altro per lo stile troppo onirico, che fa peccare in fluidità la lettura. Impossibile comunque non restare impressionati dallo spirito di Kafka, che riesce a tradurre in metafore di grande effetto lo spirito di ineluttabilità con cui un destino incomprensibile si abbatte sulla vita del protagonista. E' il suo secondo libro che leggo, dopo la Metamorfosi, e devo dire che come autore mi sta davvero impressionando.
Credo che sia utile tra l'altro anche ricordare che la volontà dell'autore era che non fosse pubblicato alcuno dei suoi scritti, che rendono magari giustizia a delle imperfezioni stilistiche di un romanzo che aveva forse una natura più personale che divulgativa.

Trovo tra l'altro molto interessante l'introduzione al libro che ne fa la mia edizione del libro allegata a Repubblica:

Pubblicato postumo nel 1925, Il processo è un capolavoro assoluto nell'approfondimento dei meandri psichici in cui si aggira chi è posto nella condizione di vittima innocente. E Kafka non risparmia nulla, quanto a lucidità e spietatezza: quella di cui Josef K. è emblema, è una condizione non storica, ma esistenziale. Le istituzioni che lo condannano restano indeterminate nello spazio e nel tempo, come a rendere universale ed eterna la trappola che attanaglia senza scampo l'individuo, eppure è difficile non cedere alla tentazione di leggere in questo romanzo di autore ebreo una straordinaria premonizione dell'Olocausto: come Josef, milioni di persone dovettero morire senza che né loro né i loro uccisori sapessero perché. Il buio senza spiragli in cui precipita senza colpe il personaggio diventa così un'impressionante anticipazione del buio in cui una ventina d'anni dopo sarebbe precipitata la storia d'Europa: ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno delle capacità profetiche della grande letteratura.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Capolavoro. Senza se e senza ma. Dopo diversi libri più o meno belli, ma non eccezionali, uno di quei romanzi che mi ha fatto dire "questo sì! non c'è dubbio!" Tornerò più avanti per il commento "lungo" (lunghissimo, temo! :mrgreen:)...
 
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