Nikki
New member
Chi mi da una mano a sbrogliar i miei pensieri (pochi e ben confusi)?
Eccomi! Le mie riflessioni:
Kafka (o se preferisci, lo chiamiamo con l'appellativo che si è scelto: K.) inizia parlando di una cosa, umana e confusa, e finisce parlando di un'altra, più ampia, di divina imperscrutabilità. Inizialmente parla di una accusa e di un processo, avanzata e condotto dagli uomini. In finale, K. sta parlando di un giudizio sulla sua anima, sul suo essere uomo, condotto da un essere supremo. La mortalità è la condanna. A suggerire questa lettura sono prima di tutto le ambientazioni: inizialmente, soffitte polverose, poi una grande cattedrale, spazi aperti e sconfinati, dove si può a malapena scorgere una figura femminile che si affaccia da una finestra...
Il processo non è qualcosa di oggettivo e materialmente percepibile: inizia nella mente dell'uomo, si sviluppa in essa, ma ci sono degli elementi nella realtà che sembrano accompagnare la formazione di questa consapevolezza. Elementi eterei, impressioni, parole non dette, sguardi... La prima parte del libro è indecentemente divertente. Il buon senso suggerirebbe la finzione e l'assurdità dei contesti e delle situazioni: la confusione, la totale inaccessibilità ai meccanismi burocratici della giustizia, nonostante la disponibilità e la buona volontà del personale di servizio (ci troviamo proprio di fronte a due realtà diverse e non comunicanti, è inutile!), gli uffici nascosti nei posti più improbabili, l'atmosfera greve.. Ma l'esperienza, invece, evidenzia una serie di somiglianze con la realtà che conduce all'esclamazione: "quest'uomo ha descritto con le parole l'essenza e la natura intima della vicenda processuale della nostra tradizione giuridica". Se lette come riproduzione empirica della realtà, c'è qualcosa di geniale in queste pagine.
[è impressionante il confronto con la realtà: Kafka, per esprimere la alienazione e la estraneità dell'uomo al Giudizio, sceglie il sistema processuale, che è caos. Riflettendo sulla interpretazione data da Kafka stesso, non si può non chiedersi: è davvero casuale che il sistema di giustizia, in ogni paese, soffra di caos congenito? chi più, chi meno, ma la Giustizia, in un paese, è sempre un tasto dolente, non c'è riforma che possa fornire la soluzione definitiva. Sarà davvero un caso? o sarà la materia in sé che non può essere condotta ad alcun tipo di ordine? che è al di là di ogni umana facoltà.. :?? ]
Il sesso: io sono giunta a convincermi che le donne, nel racconto, personificano la Giustizia. Una ******* nelle aule giudiziarie, che chiunque può fo****e, al momento, sul pavimento davanti a tutti, una sguattera nello studio dell'avvocato, promiscua, ma passionale e devota allo stesso modo, con tutti, scostante e irrangiungibile nella società civile. Il sesso simboleggia il desiderio umano di raggiungere e possedere la Giustizia. Che è fin troppo ovvio perché K. abbia accostato il sesso al desiderio maschile di possesso. In questo modo, io mi spiego i giornaletti porno che il Giudice consulta con profonda attenzione durante l'udienza (si noti l'effetto ridicolizzante e sminuente che si crea di riflesso: la rozzezza dei modi con cui il Giudice cerca la Verità e quindi tenta di raggiungere la Giustizia azzerano completamente la sua credibilità e autorità. E' l'umano alle prese con il sistema di giudizio: ingestibile, incomprensibile. Però è lui che ha il potere, in quella fase. Un incompetente al potere e non potrebbe essere altrimenti, l'uomo è limitato ex natura. (l'ho già scritto, K. è geniale). La donna del Tribunale è sposata con il funzionario (cancelliere??), figura che dovrebbe rendere un servizio umile, ma onesto, alla Giustizia: infatti, se la è sposata. Il Giudice è il suo amante, lei lo rincorre ovunque, convinta che (se lui la possederà), forse l'imputato potrà trarre qualche vantaggio. Lo studente di Legge, nella sua volgarità fisica, è il più passionale, forse anche innamorato... è l'entusiasmo di colui che ancora non conosce il reale funzionamento del sistema, la frustrazione che ne deriva, l'insensatezza nello stato più puro. La Giustizia non sa resistere a tanta passione, si fa rapire come fosse una ragazzina senza volontà. E sempre una donna (quindi, la Giustizia) sarà l'ultima cosa che il condannato a morte potrà vedere: una donna alla finestra che tende le braccia. Mi ha molto commosso aver letto in una nota che una prima bozza dell'opera non prevedeva la sua apparizione nel finale. K. avrebbe dovuto morire senza nulla a cui appellarsi, a cui ancorare la propria fede. Invece, poi è stato deciso che il finale doveva suggerire l'esistenza di qualcosa di altro, più alto delle ordinarie vicende umane di vita e di morte.
Morale: nel momento in cui l'uomo si fa adulto e consapevole e inizia a interrogarsi sulla natura del proprio animo, la vita diventa un lungo giudizio, un processo.. che non può concludersi che con la morte. Siamo tutti colpevoli di eccessiva umanità. E perciò, siamo tutti belli nella nostra mortalità. In qualche mito greco, persino gli dei ci invidiavano.
Questa è l'idea che mi sono fatta per dare un senso al racconto. Ho comprato un libro di Citati (in offerta ) su Kafka, spero di avere presto il tempo di consultarlo e trovare qualche conferma o smentita.
Ultima modifica: