Pessoa, Fernando - Il libro dell'inquietudine

LowleafClod

e invece no
Io ho avuto la stessa sensazione di Rossi. L'ho finito di leggere fino alla fine, ma alcune pagine più che intense erano un po' pesanti. Mi piace le parole che usa e le descrizioni, ma il contenuto mi affligge e non solo per l'inquietudine.
 

MadLuke

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L'autore è certamente dotato di un'intelligenza emotiva, di una capacità d'introspezione e di una sensibilità a dir poco fuori dal comune, inarrivabile se comparata alla mia modestissima conoscenza di qualunque altro autore, contemporaneo e non. Nel corso delle sue riflessioni offre dei fiori di pensiero di una tale delicatezza che mi ci sono sciolto dentro. La sua prosa è estremamente poetica, e si rende eccezionale quando la pone a servizio per trasmettere al lettore un paesaggio, una bottega, un vaso di fiori o la raffinatezza della parola. Pessoa sa far prendere corpo a talune immagini di struggente bellezza in una maniera di cui pochi sono capaci, riesce a far sfiorare quello spirito di bellezza infinita che si nasconde appena sotto la superficie di ogni cosa, parafrasando Vasco Rossi, quel "qualcosa che non sai neanche tu".
E' però evidente che a quella bellezza e allo struggimento che ne deriva, Pessoa non attribuisce alcun senso, neanche ci prova, nessuna ipotesi di lavoro, e preferisce invece abdicare alla realtà in favore del sogno. Nel suo percorso sembra farsi avviluppare progressivamente da una spirale per cui il sogno è migliore della realtà, la realtà è ingannevole, non esiste la realtà, il sogno è la vera realtà. Niente più e niente meno che un autentico Decadentista.
La sua ascesi non è da intendersi nel senso religioso del termine, ossia rinuncia al possesso superficiale nel perseguimento del possesso del loro significato, bensì proprio rinuncia al significato, per sua stessa candida ammissione rinuncia alla vita.
In fondo, a tenerlo su, mi sembra che non vi sia altro che dell'orgoglio intellettuale autoreferenziale, frammisto a un'estremamente terrena paura dell'ignoto.

Personalmente avrei due grosse obiezioni da muovergli contro: come può lui sostenere che "colui che sta in un canto del salone balla con tutti i danzatori" se tale esperienza non puoi viverla col corpo, che costituisce un insostituibile occasione di conoscenza di noi stessi, conoscenza che a lui stesso è cara? E più in generale come può sostenere che il sogno costituisca una dimensione più propriamente dell'uomo se nel sogno non esiste alcun sentimento bensì mere sensazioni?
Ma quest'ultima domanda, prima che a lui, avrei voluto rivolgerla a Shakespeare (da Pessoa stesso definito uno "sbalestrato") che arrivava a sostenere che "siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni".
 

velmez

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Vi sono immagini nelle pieghe nascoste dei libri che vivono più limpidamente di molti uomini e
molte donne. Vi sono frasi letterarie che posseggono un’individualità assolutamente umana. Vi sono
passi di miei paragrafi che mi raggelano di paura, tanto io li sento nitidamente persone, così ben
stagliati sui muri della mia stanza, nella notte, nell’ombra, [...].


questo libro ha una buona idea di partenza, ognuno di noi potrebbe scrivere un diario di pensieri e riflessioni e potrebbero venire fuori delle cose interessanti... a essere sincera ho malsopportato molte affermazioni (quelle sui viaggi in particolare) l'eccentricità dell'autore che lo induce a sparare sentenze sulla vita piuttosto arroganti a mio parere, tutte le riflessioni sul "tedio" (che ha fatto venire a me... oserei dire...), questa insistenza sulla libertà di sognare e la verità del vivere... insomma credo che non saremmo affatto andati d'accordo!! In ogni caso apprezzo molto l'idea e sono contenta di averlo letto!! poi, a tratti, mi faceva anche ridere:

Mi piacerebbe vivere in campagna per poter desiderare di vivere in città. Ciò non toglie che io
ami vivere in città, ma così mi piacerebbe il doppio.
 

estersable88

dreamer member
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Probabilmente il mio libro da isola deserta. Nonostante sia abbastanza corto lo considero una lettura impegnativa perchè ogni frammento è denso di significato. In particolare mi entusiasma la capacità di Pessoa di estremizzare la negatività in modo assoluto e matematico:

Es.

"Sono fallito in tutto. Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente".

"Per ogni cosa ho esitazione, spesso senza sapere perchè. Non ho mai avuto l’arte di vivere in maniera attiva. Ho sempre sbagliato i gesti che nessuno sbaglia. Ho sempre fatto il possibile per tentare di fare quello che tutti sanno fare. Voglio sempre ottenere ciò che gli altri riescono a ottenere anche senza volerlo. Fra me e la vita ci sono sempre stati dei vetri opachi. Non mi sono mai accorto degli altri nè attraverso la vista nè attraverso il tatto, e non ho vissuto la vita o il suo progetto. Sono stato il vaneggiamento di colui che volevo essere, il mio sogno è cominciato nella mia volontà, il mio proposito è stato la finzione di ciò che non ero"

"Ho vissuto tanto senza avere vissuto! Ho pensato tanto senza aver pensato! Mondi di violenze immobili, di avventure trascorse senza movimento, pesano su di me. Sono stanco di ciò che non ho mai avuto e che non avrò, stanco di Dei che non esistono. Porto con me le ferite di tutte le battaglie che ho evitato. Il mio corpo è dolorante per lo sforzo che non ho nemmeno pensato di fare".


Certo è una lettura molto infelice...va benissimo quando si vuole coltivare la tristezza

Lo sto leggendo in questo momento e sono pienamente d'accordo con te. E' un libro da leggere "a piccole dosi"... come dici tu, ogni frammento va analizzato anche più volte a distanza di tempo. Bellissimo comunque, anche se molto triste.
 
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