L'autore è certamente dotato di un'intelligenza emotiva, di una capacità d'introspezione e di una sensibilità a dir poco fuori dal comune, inarrivabile se comparata alla mia modestissima conoscenza di qualunque altro autore, contemporaneo e non. Nel corso delle sue riflessioni offre dei fiori di pensiero di una tale delicatezza che mi ci sono sciolto dentro. La sua prosa è estremamente poetica, e si rende eccezionale quando la pone a servizio per trasmettere al lettore un paesaggio, una bottega, un vaso di fiori o la raffinatezza della parola. Pessoa sa far prendere corpo a talune immagini di struggente bellezza in una maniera di cui pochi sono capaci, riesce a far sfiorare quello spirito di bellezza infinita che si nasconde appena sotto la superficie di ogni cosa, parafrasando Vasco Rossi, quel "qualcosa che non sai neanche tu".
E' però evidente che a quella bellezza e allo struggimento che ne deriva, Pessoa non attribuisce alcun senso, neanche ci prova, nessuna ipotesi di lavoro, e preferisce invece abdicare alla realtà in favore del sogno. Nel suo percorso sembra farsi avviluppare progressivamente da una spirale per cui il sogno è migliore della realtà, la realtà è ingannevole, non esiste la realtà, il sogno è la vera realtà. Niente più e niente meno che un autentico Decadentista.
La sua ascesi non è da intendersi nel senso religioso del termine, ossia rinuncia al possesso superficiale nel perseguimento del possesso del loro significato, bensì proprio rinuncia al significato, per sua stessa candida ammissione rinuncia alla vita.
In fondo, a tenerlo su, mi sembra che non vi sia altro che dell'orgoglio intellettuale autoreferenziale, frammisto a un'estremamente terrena paura dell'ignoto.
Personalmente avrei due grosse obiezioni da muovergli contro: come può lui sostenere che "colui che sta in un canto del salone balla con tutti i danzatori" se tale esperienza non puoi viverla col corpo, che costituisce un insostituibile occasione di conoscenza di noi stessi, conoscenza che a lui stesso è cara? E più in generale come può sostenere che il sogno costituisca una dimensione più propriamente dell'uomo se nel sogno non esiste alcun sentimento bensì mere sensazioni?
Ma quest'ultima domanda, prima che a lui, avrei voluto rivolgerla a Shakespeare (da Pessoa stesso definito uno "sbalestrato") che arrivava a sostenere che "siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni".