Sottoscrivo questa recensione dal Web:
<< Bisogna ammettere che i topi in narrativa non costituiscono una novità: basti pensare a Il topo di campagna e il topo di città di La Fontaine o a Il pifferaio magico dei fratelli Grimm. Senza dimenticare poi l’iconografia cinematografica che ha fatto del fumetto Mickey Mouse un mito, creando successivamente tutta una serie di epigoni targati Disney e non: da Bianca e Bernie a Stuart Little sino a Ratatouille, passando per Topo Gigio e altri.
Al lungo elenco oggi aggiungiamo anche il ratto bibliofilo a firma Savage, benchè il piccolo roditore ci tenga a far distinzioni, lanciando sprezzanti giudizi verso i suoi colleghi di successo: “L’unico genere di letteratura che non riesco a tollerare è quella che riguarda i ratti, e anche i topi. Provo disprezzo nei confronti del buon vecchio Ratto del Vento nei salici. Su Topolino e Stuart Little, ci piscio sopra. Affabili, bonari, carini e astuti, mi rimangono conficcati in gola come lische.”
Eccolo Firmino: un personaggio per molti versi fastidiosamente borghese che riscuoterà certo simpatia tra i lettori, specie tra quelli più giovani, senza tuttavia andare a scomodare aggettivazioni superlative.
Firmino è un topo che si nutre di libri, nel senso più ampio del termine. Le pagine sono la sua casa e il suo cibo, per il corpo e per l’anima. È un emarginato che supplisce alla cattiva sorte di tredicesimo figlio malnutrito, con la carta. E la sua, diventa fame capace di superare il mero soddisfacimento del bisogno fisico, per diventare condotta di vita. Sceglie la letteratura come vocazione e le si dedica completamente, impersonificando lo stereotipo del lettore bulimico che elude l’avvilimento generato dalla realtà, mediante la lettura: straordinaria via di fuga verso il sogno, ubriacatura d’inchiostro.
Ne conseguono deliziosi passaggi sul rapporto tra libro e lettore, su quel legame inscindibile con la parola scritta, che si insinua nei pensieri fino a confondersi con la vita vissuta, mescolandosi ai ricordi.
Il plot è semplice e accattivante: un vecchio negozio di libri sito in una Boston fatisciente; un ratto dallo stupefacente quoziente intellettivo che si vorrebbe uomo e che si identifica a tal punto con Fred Astaire, da arrivare a costruirsi un’identità a sua immagine e somiglianza faticando, dunque, ad accettare la propria natura animale riflessa nello specchio; nonché una pioggia di citazioni reali e fittizie con cui l’autore si balocca nel tentativo di far sfoggio della propria conoscenza. Questi i principali ingredienti di un romanzo che sembra ammiccare al lettore, facendo leva su un argomento che non può non stargli a cuore: il culto del libro. L’importanza di quell’isolamento dorato tra le righe che scorrono veloci davanti agli occhi, creando interi mondi nello spazio di pochi capitoli. Quel rapporto simbiotico che si instaura col testo. Quella dipendenza che è veleno e antidoto alla vita.
Anche qui, niente di nuovo. Libri di libri se ne contano parecchi e non di rado gli scrittori hanno puntato il loro interesse sull’atto del leggere e sul suo inestimabile valore.
L’ex professore della Carolina segue, quindi, una scia ben delineata. Nessuno sperimentalismo, solo una variazione in chiave fantastica.
Ma se è vero che è già stato scritto tutto, è vero anche che alla mancata originalità, non risponde uno stile superbo che possa far prediligere il come al cosa. La forma alla sostanza.
E allora perché parlare di romanzo straordinario, come ha fatto Piero Citati?
Firmino è e resta lettura d’intrattenimento, una buona favola. Niente di più.
C’è da interrogarsi su cosa legga Citati, su quali siano i suoi termini di paragone e sul perché di certi entusiasmi facili.
Mistero. >>
Insomma non è un libro che entrerà nella storia. Comunque Savage non scrive affatto male; parecchie pagine (Norman nella libreria, Firmino che immagina di essere Fred Astaire o che vorrebbe usare la macchina da scrivere...) sono davvero belle. Cura molto i dettagli e sa essere spiritoso. Val la pena leggerlo secondo me.