Contiene spoiler
Le due volte in cui ho portato a termine un grande (anche nel senso della mole) romanzo di Dostoevskij (questo e Delitto e castigo) ho avuto la sensazione quasi fisica che il mio cervello si espandesse e diventasse più elastico. La sensazione in sottofondo di non poter reggere mentalmente il groviglio di riflessioni, di dialoghi elevati e profondi, di personaggi, a partire dai nomi, l'intreccio intricatissimo, le relazioni tra le varie persone, etc. etc. viene sovrastata dalla sensazione opposta, quella di poter accogliere molto di tutto ciò dentro la testa - seppure indubbiamente sfugga qualcosa, anzi sfugga (a me) parecchio - poiché Dosto ha la capacità di esprimersi in modo, sì, ricercato ed elaborato ma, allo stesso tempo, chiaro e comprensibile e di creare con il lettore un'empatia tale da fargli accogliere in sé con facilità parole e pensieri. Ciò che mi lascia positivamente sbalordita e che mi fa riconoscere il genio è soprattutto ciò che ha già sottolineato MadLuke: la totale e naturale assenza di giudizio. Al di là della critica sociale e politica e delle sue idee in questo senso, che traspaiono - per esempio, i vari discorsi che, per bocca di Myskin, fa sulla pena di morte - l'autore non giudica mai moralmente i suoi personaggi; essi sono talmente umani, talmente veri, che sembra che lo scrittore li lasci vivere di vita propria, che la loro personalità si sviluppi autonomamente e che le varie storie vadano avanti da sole, intrecciandosi tra loro. Hanno pregi e difetti, come tutti gli esseri umani. Non ci sono cattivi e buoni (a parte Myskin :?, la figura di un "buono" che però non ha niente di stucchevole).
Il titolo sembra quasi sarcastico: Myskin, certamente tra i più bei personaggi di cui abbia mai letto, possiede uno spirito superiore, un'intelligenza (non pratica) e una capacità di analisi fuori della norma, un'empatia straordinaria nei confronti degli altri, ma una cieca fiducia nel prossimo e una incredibile capacità di perdonare chiunque, persino chi attenti alla sua vita, unitamente alla sua schiettezza quasi infantile e alla totale incapacità di prendere una decisione autonoma, il tutto rafforzato dall'effetto che la sua malattia produce sugli altri, tutto ciò fa sì che venga deriso e definito "idiota", e che anche le persone che gli vogliono più bene si vergognino, in un certo senso, di lui. Vittima di questo modo di pensare è Aglaja, che si innamora di lui ma non lo ammette forse nemmeno con se stessa, perché sa che non verrebbe accettato come suo compagno ufficiale; quasi sembra rifiutare il suo stesso sentimento, e i suoi conflitti interiori sfumano in capricci esteriori in una personalità ancora inesperta e indecisa, mostrando agli occhi altrui un carattere altezzoso e apparentemente impossibile. Ben diverso è l'altro, meraviglioso, personaggio femminile, quello di Nastasja, affascinante, aggressiva, volubile fino alla follia. Vittima di un'infanzia e di una vita infelice. Anche lei, a suo modo, ama Myskin: vede in lui ciò che non ha mai visto prima, l'innocenza, la bontà, il disinteresse. Ma a lei è più adatto Rogozin, pazzo d'amore e privo di scrupoli: apparentemente pericoloso e crudele, in realtà anch'egli vittima di qualcosa, forse del suo stesso cieco sentimento. Non manca la rappresentazione dell'egoismo più squallido, incarnato dalla figura di Lebedev; la schiettezza femminile di Lizaveta, donna dal carattere difficile ma dal cuore d'oro; la sofferenza che a tratti diventa crudeltà, nella persona di Ippolit; le debolezze del (per me) simpaticissimo
generale Ivolgin, e la "normalità" assoluta delle persone che Dosto stesso indica come poco significative: Ganja (opportunista ed egocentrico, per me un personaggio sgradevole), la sorella, la madre.
Ma questo romanzo è molto di più, e certamente non posso scriverne io.
Un capolavoro che esplora tutte le sfaccettature della società e dell'essere umano, un romanzo valido per tutte le epoche e i luoghi, dal quale traspare un pessimismo cosmico: ciò che conta nella società non è la nobiltà dell'anima e dello spirito, ma la decisione, la forza di carattere non intesa come forza interiore ma più che altro come capacità d'azione, un certo distacco nei sentimenti, la capacità di adeguarsi al mondo. La debolezza, l'incapacità di decidere, la presenza di pietà o di scrupoli diventano facilmente sinonimo di "idiozia" e, a lungo andare, possono sfociare in disgrazia o in follia.