Attenzione: spoiler sparsi.
Ho letto questo libro perché tutti ne parlavano un gran bene e pensavo fosse un peccato mortale non conoscere questo grande classico. La lettura è stata una delusione completa.
Inizialmente devo ammettere vibravo di indignazione e frustrazione, per me che sono un fanatico della giustizia, leggere capitolo dopo capitolo della rovina del protagonista; era a dir poco frustrante. Volevo abbandonare la lettura tanto mi innervosiva, ma questo chiaramente è mio malgrado un elogio dell'abilità narrativa di Dumas.
Il problema è che dopo i primi capitoli tutto diventa davvero banale, e per questo lo considero al più un libro d'avventura per ragazzi. Ci ho messo poco a capire che per quanto il protagonista fosse scrupoloso nell'architettare ogni volta i suoi piani, poi 1) sarebbe sorto un imprevisto che li avrebbe stravolti e 2) l'imprevisto comunque gli avrebbe semplificato il lavoro (es. non viene seppellito vivo bensì gettato in acqua).
Inoltre è di una lentezza esasperante, in cui lo stile sussiegoso dell'autore, pur comprensibilissimo in virtù della patria e dell'epoca dell'autore, non offrono niente più che "gorgheggi nozionistici", aforismi e citazioni a profusione.
La digressione sul soggiorno a Roma è smodatamente eccessiva, scritta solo al fine di tirarla per la lunga in attesa che l'azione si sposti una volta per tutte a Parigi dove si sviluppa la parte più importante della trama.
In questa ultima parte l'ennesima banalità: il protagonista, questo modesto uomo di mare, pure cordiale e sveglio, ma senza particolari talenti se non quello per la navigazione, si scopre improvvisamente che nel lasso di dieci anni è diventato un chimico, biologo, poliglotta, storico, esperto d'arte, di letteratura, psicologo, economista, politologo, schermidore, tiratore, trasformista e sa il cielo cos'altro. Tutte cose che neanche a chiudersi in casa a studiare notte e giorno ci si riuscirebbe, ma lui va oltre: tutte queste conoscenze le ha accumulate mentre viaggiava attraverso l'Europa, Grecia, Turchia e Oriente!!
In poche parole posso dire che se pensate che Tom Cruise in "Mission: Impossible" sia un'americanata, vi assicuro non avete visto nulla. Peccato per Dumas, fosse vissuto negli anni '90 avrebbe fatto una fortuna immensa come sceneggiatore di film d'azione.
In cosa si rivela consistere poi la fantomatica vendetta, dopo che il protagonista ha trascorso ben 14 anni 14 in una segreta dimenticata da Dio?
1) l'accidioso che semplicemente non si era opposto alla rovina del protagonista, dopo una vita di alti e bassi finisce casualmente ucciso nel corso di una rapina... E vabe'.
2) il rivale in amore dopo aver vissuto una vita nell'agio, rispettato dalla moglie e amato dal figlio, affronta qualche giorno di pubblica vergogna e poi si suicida (pochi giorni di vergogna vs. 14 anni in prigione, dove devo firmare?);
3) il magistrato arrivista dopo una vita di successi professionali e una famiglia che lo rispetta, diventa pazzo per la perdita dei familiari (quindi non avrà mai modo di riflettere realmente sui torti commessi);
4) l'ex compagno di marina, il peggiore di tutti, dopo una vita nella ricchezza e potere più completo, dopo l'estorsione della dichiarazione di pentimento, da vecchio si trova povero... Tutto qua?
Cioè, dopo 10 anni di preparativi, tutto qua? Per quanto mi riguarda è la vendetta più mal riuscita nella storia dell'umanità. Con tutti i mezzi che aveva a disposizione il conte, non faceva prima e meglio a sequestrarli tutti e chiuderli a sua volta qualche anno in una segreta?
I personaggi sono di inconsistente spessore psicologico, infantilmente divisi e "buoni e cattivi". Sarà pure che io dopo aver letto Dostoevskij e Tolstoj difficilmente riesco a considerare seriamente un altro autore, ma Dumas rivela ampiamente di intendersene molto più di oppiacei che di animo umano.
Infine le riflessioni del protagonista che solo negli ultimi capitoli abbandona in parte la dimensione avventurosa per addentrarsi in quella delle riflessioni e speculazioni filosofiche e teologiche. In questo ricorda non poco il nostrano Manzoni co "I promessi sposi" (altra storia di giovani la cui vita viene stravolta proprio quando sulla soglia della felicità), con la differenza che se non altro in Manzoni la "lente del Cristianesimo" viene adoperata per leggere la vita e le gesta di ogni personaggio, dall'inizio alla fine. Ne "Il conte di Montecristo" sa molto più di riflessione postuma appiccicata in coda.
E poi la considerazione finale, quello che Manzoni chiama "il sugo di tutta la storia", quale sarebbe? Tenetevi forte: "attendere e sperare", che la Divina Provvidenza vede e provvede!
Che sciocchezza immane, come se davvero ci fosse un conte di Montecristo a riparare a tutte le ingiustizie del mondo. Come se non sapessimo tutti di tante persone che muoiono corrotte e ricche, e tante altre che muoio sotto il peso delle loro sventure, nella miseria nonostante non avessero fatto del male a nessuno.
D'altronde questa è anche la dottrina cristiana, quella parte della dottrina almeno, per cui il Cristianesimo è stato da sempre considerato "la religione dei vinti", l'antitesi dello stoicismo greco. Non possiamo quindi fare una colpa a Dumas che questo insegnamento si limita a riproporlo.
Ciao, MadLuke.