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Si tratta di una verità spaventosa: il dolore può renderci più profondi, può conferire un maggiore splendore ai nostri colori e una risonanza più ricca alle nostre parole. Questo avviene se non ci distrugge, se non annienta l'ottimismo e lo spirito, la capacità di avere visioni e il rispetto per le cose semplici e indispensabili. (Lestat)

(da La regina dei dannati; Anne Rice)
 

SALLY

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" Come salvarsi la vita" di Erica Jong

...e allora non mi capiti mai più di dire "doloroso",il dolore non è una cosa da sprecare sulle puttanate. In realtà non ho mai capito la necessità del dolore. Il trucco è cercare di pensare non a quanto dolore,ma a quanta gioia si prova in qualunque momento. Qualunque idiota può provare dolore. La vita è piena di scuse per il dolore,di scuse per non vivere,scuse,sempre scuse. Quando ti troverai in un letto,vecchio,il solo dolore che potrai provare sarà quello per tutti i dolori inutili che hai provato da giovane,per tutte le volte che non hai fatto qualcosa che volevi fare,per paura,per vigliaccheria,per tutte le volte che hai permesso hai bastardi,ai moralisti ed ai piagnoni di fermarti,di impedirti di essere te stesso. Bisogna stare attenti ai morti viventi,la gente che vorrebbe morire e vorrebbe che tutti gli altri morissero con loro. E' gente da evitare. Se imparerai ad evitarli starai benissimo. E anche quando devi fare qualcosa,non ascoltarli mai. Non sanno quello che fanno,sono capaci solo di distruggere,di far tacere quqlunque voce...compresa la propria dopo un pò. Hanno bisogno di te,altrimenti non saprebbero cosa dire...ma tu non hai affatto bisogno di loro.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Una notte il bambino si svegliò da un sogno e non volle raccontarglielo.
Non sei obbligato a dirmelo se non ti va, disse l'uomo. Non ti preoccupare.
Ho paura.
Va tutto bene.
No, invece.
Era solo un sogno.
Ho tanta paura.
Lo so.
Il bambino distolse lo sguardo. L'uomo lo abbracciò. Ascoltami, disse.
Cosa.
Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso. Capisci? E tu non ti puoi arrendere. Io non te lo permetterò.

La strada - Cormac McCarthy
 

Apart

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"Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. E' acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali." miagolò Zorba.

(Luisi Sepulveda, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare)
 

Apart

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Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perchè ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall'uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene che tu sappia che cont e abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. E' molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo. Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana.

(Luisi Sepulveda, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare)
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Ed ecco che nel West subentra il panico, ora che i nomadi vanno moltiplicandosi per le strade. I ricchi sono terrorizzati dalla loro miseria. Individui che non avevano mai provato la fame, ora vedono gli occhi degli affamati. Individui che non avevano mai provato desideri intensi per qualche cosa, vedono ora l'ardente brama che divampa negli occhi dei profughi. Ed ecco gli abitanti della città e della pigra campagna suburbana organizzarsi a difesa, dinanzi all'imperioso bisogno di rassicurare se stessi di essere loro i buoni e i cattivi gli invasori, come è buona regola che l'uomo pensi e faccia prima della lotta.
Dicono: vedi come sono sudici, ignoranti, questi maledetti Okies. Pervertiti, maniaci sessuali. Ladri tutti dal primo all'ultimo. E' gente che ruba per istinto, perchè non ha il senso della proprietà. Ed è giustificata, se vogliamo, quest'ultima accusa; perchè come potrebbe, chi nulla possiede, avere la coscienza angosciosa del possesso?
E dicono: vedi come son lerci, questi maledetti Okies; ci appestano tutto il paese. Nelle nostre scuole non ce li vogliamo, perdio. Sono degli stranieri. Ti piacerebbe veder tua sorella parlare con uno di questi pezzenti?
E così le popolazioni locali si foggiano un carattere improntato a sentimenti di barbarie. Formano squadre e centurie, e le armano di clave, di gas, di fucili. Il paese è nostro. Guai, se lasciamo questi maledetti Okies prenderci la mano. E gli uomini che vengono armati non sono proprietari, ma si persuadono di esserlo; gli impiegatucci che possiedono le armi non possiedono nulla, e i piccoli commercianti che brandiscono le clave possiedono solo debiti. Ma il debito è pur qualche cosa, l'impiego è pur qualche cosa. L'impiegatuccio pensa: io guadagno quindici dollari la settimana; mettiamo che un maledetto Okie si contenti di dodici, cosa succede? E il piccolo commerciante pensa: come faccio a sostenere la concorrenza di chi non ha debiti?
E i nomadi defluiscono lungo le strade, e la loro indigenza e la loro fame sono visibili nei loro occhi. Non hanno sistema, non ragionano. Dove c'è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell'uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque. Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti. No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici. Io ho bambini, ho i bambini che han fame! io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste, i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po' di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po' di carne per fare il brodo ai miei bambini, e io non chiedo altro.
E questo, per taluno, è un bene, perchè fa calar le paghe mantenendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati.
Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù.
E ora i latifondisti e le società inventano un metodo nuovo. Metton su fabbriche di frutta in conserva, e quando le pesche e le pere e le susine sono mature fanno calare il prezzo della frutta fresca al di sotto del costo di produzione. Così comprano la frutta fresca a prezzo irrisorio, ma tengono alto quello della frutta in conserva, e realizzano enormi profitti. E i contadini, i contadini che non possiedono fabbriche di frutta in conserva, perdono i loro frutteti; e i frutteti vengono assorbiti dai latifondisti e dalle banche e dalle società che possiedono le fabbriche di frutta in conserva. I contadini allora s trasferiscono in città, e in poco tempo vi esauriscono il loro credito, e perdono gli amici e s'alienano i parenti e finalmente si riducono anch'essi sulla strada. E le strade sono affollate di gente avida di lavoro, ma avida al punto da esser disposta ad assassinare pur di trovarne. E le banche e le società si scavano la fossa con le proprie mani, ma non lo sanno. I campi sono fecondi, e sulle strade circola l'umanità affamata. I granai sono pieni, e i bimbi dei poveri crescono rachitici e pieni di pustole. Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello. E il denaro che potrebbe andare in salari va in gas, in esplosivi, in fucili, in polizie e in liste nere.
Sulle strade la gente formicola in cerca di pane e lavoro, e in seno ad essa serpeggia il furore, e fermenta.

Furore - John Steinbeck
 

8 - ANCORA SU GLUBBDUBDRIB. ALCUNE CORREZIONI ALLA STORIA ANTICA E MODERNA

Dedicai un giorno intero all'evocazione di quegli antichi che primeggiarono nel sapere e nell'ingegno. Chiesi infatti di fare apparire Omero e Aristotele alla testa dei loro rispettivi commentatori, ma questi erano una tale schiera che invasero l'intera corte e in parte restarono fuori del palco. Riconobbi a prima vista quei due grandi in mezzo alla folla e seppi distinguerli uno dall'altro. Omero era più alto e più prestante del compagno, camminava con un portamento eretto nonostante l'età e aveva gli occhi più mobili e penetranti che mi sia mai capitato di vedere. Aristotele era curvo e camminava appoggiandosi a un bastone, la faccia smunta, i capelli radi e spioventi, la voce cavernosa. Mi accorsi che erano completamente estranei con gli altri, dei quali non avevano mai sentito parlare. Un fantasma, di cui non dirò il nome, mi bisbigliò all'orecchio che i commentatori risiedevano nella zona più lontana degli inferi da quella dove abitavano i due grandi, per un senso di vergogna e di colpa, tipica di chi ha stravolto completamente il messaggio dei due saggi.

Presentai Didimo ed Eustazio a Omero e riuscii a convincerlo a trattarli meglio di quanto meritassero, lui infatti si era subito accorto che mancavano del genio necessario a penetrare lo spirito di un poeta. Ma quando presentai Scoto e Ramo ad Aristotele con un breve cenno alle loro idee, questi perse le staffe e mi chiese se gli altri del gruppo erano altrettanto testoni.

Pregai il governatore di evocare Cartesio e Gassendi e li convinsi a spiegare i loro sistemi ad Aristotele. Il grande filosofo riconobbe apertamente gli errori che aveva commesso nella filosofia naturale, perché per molti aspetti aveva proceduto basandosi su supposizioni, come sono costretti a fare gli uomini, e osservò che Gassendi, il quale aveva reso tanto gustosa la teoria dl Epicuro, e lo stesso Cartesio dei "vortici" sarebbero stati messi da parte. Predisse lo stesso destino alla teoria della gravitazione, di cui sono così zelanti assertori i saggi di oggi. Disse che in fondo i vari sistemi con i quali si cerca di spiegare la natura non sono che mode, destinate a cambiare anno per anno; e perfino quanti fingono di ricorrere a dimostrazioni matematiche andranno fuori moda dopo un periodo di smagliante fortuna.

Passai cinque giorni a parlare con molti altri antichi saggi, vidi molti fra i primi imperatori romani, infine riuscii a convincere il governatore a farci preparare un pranzo dal cuoco di Eliogabalo; anche se questi non fu in grado di dar prova della sua maestria culinaria a causa di certi ingredienti, ormai introvabili. Un ilota di Agesilao ci preparò una minestra spartana: me ne bastò un cucchiaio!
I due gentiluomini che mi avevano accompagnato mi comunicarono che sarebbero dovuti ritornare entro tre giorni per i loro affari privati, per cui occupai questo breve periodo per vedere alcuni defunti dell'era moderna, che si fossero messi in luce negli ultimi due o trecento anni nella nostra terra o in altri paesi europei, e poiché sono un ammiratore appassionato delle illustri famiglie di antica stirpe, chiesi al governatore di far apparire un paio di dozzine di sovrani con tutti i loro antenati in fila, fino a nove o dieci generazioni. Ricevetti una dolorosa sorpresa: invece di una lunga fila di teste coronate, vidi in una famiglia due suonatori, tre cortigiani azzimati e un prelato italiano. In un'altra un barbiere, un abate e due cardinali. Avevo troppa venerazione per i sovrani, per insistere in un argomento così delicato. Ma non nutrivo certo illusioni circa i duchi, i conti, i marchesi, i baroni e via di seguito, tanto è vero che mi divertii abbastanza a rintracciare negli antenati i segni derivati dalle varie generazioni. Mi fu facile scoprire da dove una famiglia prendeva il mento pronunciato, perché un'altra aveva avuto tanti furfanti per un paio di generazioni, e per altre due dei pazzi; perché in una terza c'erano tanti scervellati e in una quarta tanti furbi; da dove derivava il motto di Polidoro Virgilio riferito ad un grande casato: "Nec vir fortis, nec foemina casta". E quindi scoprire perché certe famiglie si ornano della crudeltà, della falsità, della viltà, come fossero altrettante armi araldiche; chi era stato il primo ad immettere in famiglia la sifilide, chi avesse trasmesso in linea diretta un tumore scrofoloso ai propri discendenti. Né certo mi meravigliai al vedere certi alberi genealogici interrotti da paggi, lacchè, valletti, cocchieri, biscazzieri, suonatori, attori, capitani, borsaioli. La storia moderna mi dette il voltastomaco. Dopo avere passato in rassegna gli uomini più famosi degli ultimi cento anni, mi accorsi di quanto la gente era stata ingannata da scribacchini venduti, capaci di assegnare meriti di gloria militare ai vigliacchi, i più saggi consigli ai pazzi, la sincerità agli adulatori, la virtù romana ai traditori della patria, la pietà agli atei, la castità ai sodomiti, la verità ai delatori; e quante persone innocenti e di grande valore erano state condannate a morte o all'esilio per i raggiri dei ministri, la corruzione dei giudici, la malvagità delle fazioni; quanti ribaldi erano stati elevati agli incarichi del più grande prestigio, dignità, fiducia, profitto; quale grande importanza nelle decisioni e negli eventi di corti, assemblee e senato avevano avuto ruffiani, puttane, mezzani, parassiti e buffoni; e che opinione mi feci della saggezza e della integrità dell'animo umano, quando fui informato dei motivi reali che avevano provocato le più grandi imprese e rivoluzioni e degli accidenti fortuiti che ne avevano decretato il successo!

A questo proposito scoprii quanto siano in mala fede e nell'ignoranza quegli storici che dicono di scrivere aneddoti o storie segrete, che rivelano chi ha spedito al creatore tanti sovrani col veleno, che ti fanno assistere ai colloqui di re e primi ministri svoltisi senza testimoni, che ti aprono sotto gli occhi le casseforti e i cuori degli ambasciatori senza poi indovinarne una! Inoltre scoprii le vere cause di tanti grandiosi eventi che hanno sbalordito il mondo: come una puttana sa manovrare il sottoscala, il sottoscala un'assemblea, un'assemblea un intero senato. Un generale mi confessò candidamente di aver vinto una battaglia campale grazie alla viltà e agli errori madornali; un ammiraglio mi assicurò di aver sbaragliato il nemico al quale, per mancanza di comunicazioni, voleva vendere la flotta; tre Sovrani mi assicurarono di non aver mai scelto una persona per i suoi meriti, se non per sbaglio o per tradimento di alcuni ministri nei quali avevano riposto fiducia, e aggiunsero che, se fossero tornati a vivere, avrebbero fatto lo stesso perché, come mi dimostrarono, un trono reale non si regge se non sulla corruzione, mentre il carattere serio, sobrio e aperto del virtuoso è una palla al piede per gli affari di stato.
A questo punto mi venne la curiosità di sapere in quale modo e con quali metodi tanta gente si era procurata alte onorificenze e grosse fortune. Limitai la mia indagine ai tempi moderni, anche se non ai giorni nostri, perché non avevo intenzione di offendere nessuno, stranieri compresi (spero infatti di non dover ricordare al lettore che in nessun senso alludo alla mia patria con questo esempio). Furono evocate moltissime persone che si trovavano nella condizione sopra accennata e fu sufficiente un esame superficiale per delinearci scene di una tale infamia, che ogni volta che le ricordo mi riempiono di tristezza: spergiuro, prevaricazione, seduzione, frode, ruffianeria e simili erano le arti più pulite alle quali confessarono di essere ricorsi e verso le quali dimostrai una certa comprensione. Ma quando diversi ammisero di dovere poteri e ricchezze alla sodomia e all'incesto, altri alla prostituzione alla quale avevano costretto mogli e figlie, altri al tradimento del loro sovrano e della patria, altri ancora al veleno, e i più alla corruzione della giustizia a danno di innocenti, spero di essere perdonato se tutte queste rivelazioni raffreddarono in me quella profonda venerazione che ho istintivamente per le persone importanti, verso la cui dignità noi inferiori dobbiamo il massimo rispetto.

Avevo sentito parlare spesso di grandi servigi resi a stati e a sovrani e quindi espressi il desiderio di vedere alcune di queste persone, ma mi fu risposto che di costoro si era persa ogni memoria ad esclusione di pochi che la storia ci ha tramandato come ribaldi e traditori. Quanto agli altri, non ne avevo mai sentito parlare: me li vidi davanti con sguardi tristissimi, e poveri in canna; moltissimi anzi mi riferirono di essere morti in disgrazia e in miseria, e quelli che rimanevano di avere sputato l'anima sul patibolo o appesi alla forca.

Tra gli altri c'era una persona che aveva avuto un destino abbastanza singolare; lo accompagnava un giovane di circa diciotto anni. Mi disse di essere stato per vari anni comandante di una nave e di avere avuto la fortuna di infrangere le linee nemiche nella battaglia navale di Azio, dove aveva affondato tre fra le più grosse navi avversarie e catturata una quarta, costringendo Antonio alla fuga e diventando artefice unico della vittoria, nella quale aveva tuttavia perduto suo figlio, che ora aveva al fianco. Aggiunse che, dopo avere saputo che la guerra era praticamente finita, si era recato a Roma chiedendo che gli fosse affidata una nave più importante, il cui comandante era stato ucciso; nave che, con totale disprezzo per i suoi meriti, venne affidata ad un ragazzino che in vita sua non aveva nemmeno visto il mare, ma che era figlio di Libertina, una donna al seguito di una delle amanti dell'imperatore. Mentre si preparava a riprendere il suo posto, fu accusato di negligenza e la nave fu affidata ad un paggio favorito di Publicola, il vice ammiraglio. Non gli rimase che ritirarsi in un suo piccolo poderetto lontano da Roma, dove finì i suoi giorni. Curioso di sapere come fossero andate le cose, feci evocare Publicola, che era ammiraglio al tempo della battaglia, il quale confermò ogni cosa, dimostrando anzi che il comandante, per modestia, aveva taciuto molti dei propri meriti.

Rimasi sorpreso nel vedere come il lusso, che pure vi era stato introdotto molto tardi, avesse in così breve tempo devastato quell'impero e ciò mi fece meravigliare molto meno della corruzione di altri paesi dove vizi di tutte le specie hanno regnato più a lungo, e dove lodi e ricchezze sono prerogativa unica di un capo, il quale è probabilmente l'ultimo che le meriti.

Attraverso l'evocazione di varie persone, avevo avuto modo di constatare l'aspetto fisico che avevano al loro tempo, e questa vista mi aveva fatto malinconicamente riflettere su quanto fosse degenerata la razza umana in questi ultimi cento anni, quanto la sifilide con tutti i suoi nomi e le sue conseguenze avesse alterato l'aspetto degli inglesi, rattrappito i corpi, spossato i nervi, rilassato muscoli e tendini, resa esangue la carnagione, flaccida e corrotta la carne.

Allora chiesi umilmente che fosse evocato qualcuno di quei campagnoli inglesi di vecchio stampo, un tempo famosi per la semplicità dei modi, del mangiare e del vestire, per il loro senso della giustizia e della libertà, per il loro coraggio e amor patrio. Non rimasi certo insensibile dinanzi a questo paragone dei vivi coi morti, nel considerare come quelle virtù antiche erano state prostituite per la brama di denaro dai loro nipoti i quali, a furia di vendere i propri voti e manipolare le elezioni, hanno contratto tutti i vizi di cui è piena la corte.

J. Swift - I viaggi di Gulliver (libro 3)
 

SALLY

New member
Quello che aveva sperato per lo Stormo,se lo godeva adesso da se solo.Egli imparò a volare,e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare.Scoprì che erano la noia,la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano.Ma,con l'animo sgombro da esse,lui,per lui,visse contento,e visse molto a lungo. Il gabbiano Jonathan Livingston - Richard Bach
 

shvets olga

Member
Daniil Charms, da Disastri, Einaudi, 2003, traduzione di Paolo Nori

Caro Nikandr Andreevic, ho ricevuto la tua lettera e ho capito subito che era tua. All'inizio avevo pensato che magari non fosse tua, ma quando l'ho aperta ho capito subito che era tua, mentre prima avevo pensato che magari non fosse tua. Sono contento che и giа un po' che ti sei sposato, perchй quando uno si sposa con quella con cui si voleva sposare, vuol dire che ha ottenuto quello che voleva. Per questo sono molto contento che ti sei sposato, perchй quando uno si sposa con quella che voleva, vuol dire che ha ottenuto quello che voleva. Ieri ho ricevuto la tua lettera e ho pensato subito che era tua, poi ho pensato che sembrava che non fosse tua, l'ho aperta, ho guardato, era proprio tua. Hai fatto proprio bene a scrivermi. Prima non mi scrivevi, poi tutto d'un tratto mi hai scritto, anche se anche prima, prima di non scrivermi per un po', tu m'avevi scritto. Subito, appena ho ricevuto la tua lettera, ho deciso subito che era tua, e poi sono molto contento che ti sei giа sposato. Perchй se uno ha voglia di sposarsi, bisogna che si sposi senza meno. Per questo sono molto contento che tu, alla fine, ti sei sposato proprio con quella con cui ti volevi sposare. E hai fatto proprio bene a scrivermi. Sono stato molto contento quando ho visto la tua lettera, e ho perfino pensato subito che era tua. A dir la veritа, mentre l'aprivo, ho pensato che magari non fosse tua, ma poi ho deciso che era tua in ogni caso. Te ne ringrazio molto e sono molto contento per te. Tu, forse, non sai spiegarti perchй sono cosi contento per te, te lo dico subito, sono contento per te perchй ti sei sposato, e proprio con quella con cui ti volevi sposare. E и proprio bene, sai, sposarsi proprio con quella con cui ci si vuole sposare, perchй cosм si ottiene quello che si vuole. Ecco perchй sono cosi contento per te. E sono contento anche che mi hai scritto una lettera. Fin da subito avevo deciso che la lettera doveva essere tua, l'ho presa in mano e ho pensato: e se per caso non и tua? Poi ho pensato: ma no, certo che и tua. Apro la lettera e intanto penso: и tua o non и tua? E tua o non и tua ? Be', come l'ho aperta, l'ho visto subito, che era tua. Sono stato molto contento e ho deciso di scriverti anch'io una lettera. Ho molte cose da raccontarti, ma non ho proprio tempo. Quello che ho potuto, te l'ho scritto in questa lettera, il resto te lo scriverт un'altra volta, adesso non ho piщ tempo. Intanto, и un bene che mi hai scritto una lettera. Adesso so che и giа un po' che ti sei sposato. Anche dalle lettere precedenti, sapevo che ti eri sposato, e adesso lo vedo ancora: и proprio vero, ti sei sposato. E sono molto contento che ti sei sposato e che mi hai scritto una lettera. Subito, appena ho visto la tua lettera, ho deciso che ti eri sposato un'altra volta. Be', ho pensato, и un bene, che ti sei sposato un'altra volta e che me l'hai scritto in una lettera. Scrivimi adesso com'и la tua nuova moglie e come sono andate le cose. Salutami la tua nuova moglie.
 
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EgidioN

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Apart, ho trovato pure questo thread molto ma molto interessante. Ma come non c'erano prima??! Il tempo di organizzarmi e partecipo...
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Ecco quindi il mio pensiero del giorno: per la prima volta ho incontrato qualcuno che cerca le persone e che vede oltre. Può sembrare banale, eppure credo che sia profondo. Non vediamo mai al di là delle nostre certezze e, cosa ancora più grave, abbiamo rinunciato all'incontro, non facciamo che incontrare noi stessi in questi specchi perenni senza nemmeno riconoscerci. Se ci accorgessimo, se prendessimo coscienza del fatto che nell'altro guardiamo solo noi stessi, che siamo soli nel deserto, potremmo impazzire. Quando mia madre offre degli amaretti di Ladurée a madame de Broglie, non fa che raccontare a sè stessa la storia della sua vita, sgranocchiando il proprio sapore; quando papà beve il caffè leggendo il giornale, si contempla in uno specchio tipo autosuggestione cosciente del metodo Couè; quando Colombe parla delle conferenze di Marian, blatera davanti al riflesso di sè stessa, e quando le persone passano davanti alla portinaia, non vedono nulla perchè lì non si sentono riflesse.
Io invece supplico il destino di darmi la possibilità di vedere al di là di me stessa e di incontrare qualcuno.

L'eleganza del riccio - Muriel Barbery
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Sapete che cos'è una pioggia d'estate?
All'inizio la bellezza pura che irrompe nel cielo, quel timore rispettoso che si impadronisce del cuore, sentirsi così irrisori al centro stesso del sublime, così fragili e così ricolmi della maestà delle cose, sbalorditi, ghermiti, rapiti dalla magnificenza del mondo.
Dopo, percorrere un corridoio e d'improvviso penetrare in una stanza piena di luce. Un'altra dimensione, certezze appena nate. Il corpo non è più un involucro, la mente abita le nuvole, sua è la potenza dell'acqua, si annunciano giorni felici, in una nuova nascita.
Poi, come le lacrime, che sono talvolta tonde, abbondanti e compassionevoli, si lasciano dietro una lunga spiaggia lavata dalla discordia, così la pioggia estiva, spazzando via la polvere immobile, è per l'anima degli esseri come un respiro infinito.

Quindi certe piogge d'estate si radicano in noi come un nuovo cuore che batte all'unisono con l'altro.

L'eleganza del riccio - Muriel Barbery
 

Apart

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Ecco ciò che mi commuove di più in questo piccolo principe addormentato: è la sua fedeltà a un fiore, è l'immagine di una rosa che risplende in lui come la fiamma di una lampada, anche quando dorme...

(Antoine De Saint Exupèry, Il Piccolo Principe)
 

Apart

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Sole di novembre

Questo è il sole pallido di un giorno pesante,
sembra girare lontano apposta, schifato.
Illumina piano la povera scena,
qui è buio intorno a me, non avere paura.
Posso essere almeno felice un po' nel tempo in cui aggiungo un foglio al libro?
Si, ho diritto a farlo; ho già sentito tante volte questa parola e
nel suo nome sono morti tanti testardi, balordi, pazzi come me.
Voglio vino dolce, oro, vestiti, libri e candele accese, per Dio!
Che ci crediate o no, sono ancora vivo e se occorre stringo il mio St. Cloud.
Del sole di novembre mi importa ben poco,
lo vedrò ancora più che mi pare, alto e bello, forte.
Aspetto le sere per ubriacarmi come si deve
in ricordo delle mie bugie e alla faccia di chi mi vuole male.
Non piangete sulla mia sorte, vi prego.
Siate allegri e accettate la compagnia di un bugiardo come me.
Non voglio segreti, almeno nel giorno che mi si dedica.
Un gran desiderio di morte mi assalirà e ogni tanto devo pensarci.
Più cammino e meno tempo me ne separa.

A. A.


Ciao Alessandro! Sarai sempre con noi!

(Luigi)
 

Calliope

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Nel 1950 una delegazione di monaci e funzionari che non erano mai usciti dal Tibet venne invitata a Londra per discutere cosa l'Inghilterra poteva fare per il loro Paese. Venivano da un mondo povero, primitivo, ma bellissimo. Erano abituati a grandi spazi vuoti, a una natura coloratissima, e loro stessi erano colorati nelle loro tuniche, nei loro cappotti e berretti. A Londra furono ricevuti con grande cortesia e portati a giro a vedere la città. Un giorno, coi loro accompagnatori, i tibetani si ritrovarono nella metropolitana. Erano esterrefatti: tutta quella gente sotto terra! Uomini vestiti di nero, con la bombetta in testa, leggevano il giornale sulle scale mobili, la folla si accalcava nei corridoi correndo per salire sui treni in partenza; nessuno parlava a nessuno, nessuno sorrideva! il capo dei tibetani si rivolse, pieno di compassione, all'accompagnatore inglese e gli chiese "Cosa possiamo fare per voi?"



Un altro giro di giostra - Tiziano Terzani
 

Clo

Like a fish out of water.
Poichè, sebbene egli fosse vissuto tutta la vita seconda la Regola e fosse anche considerato con rispetto dai monaci più giovani per la sua età e per la sua devozione, pure non era spenta nel suo cuore l'irrequietezza e l'ansia della ricerca. Venne dunque al fiume, pregò il vecchio che lo traghettasse , e quando furono sulla barca gli disse: << Tu hai dimostrato molta bontà verso noi monaci e pellegrini, molti di noi hai già traghettato. Non sei anche tu, o barcaiolo, uno che cerca la retta via?>>
Parlò Siddharta, e i suoi vecchi occhi eran tutto un sorriso: <<Come, tu dici uno che cerca, o venerabile, eppure sei già avanti negli anni, e porti l'abito dei monaci di Gotama?>>.
<<Son vecchio sì >> disse Govinda <<ma di cercare non ho mai tralasciato. E mai cesserò di cercare, questo mi sembra il mio destino. Ma tu pure hai cercato, così mi pare. Vuoi dirmi una parola, o degnissimo?>>
Disse Siddharta: <<Che dovrei mai dirti, io, o venerabile? Forse questo, che tu cerchi troppo? Che tu non pervieni a trovare per il troppo cercare?>>
<<Come dunque?>> chiese Govinda.
<<Quando qualcuno cerca>> rispose Siddharta <<allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla, in sè, perchè pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perchè ha uno scopo, perchè è posseduto dal suo scopo. Ma trovare significa: esser libero, restare aperto, non aver scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che cerca, poichè perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno davanti gli occhi>>.
 
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