Patruno, Lino - Alla riscossa Terroni

Diano al Sud la canna da pesca di Lino patruno

Non si tratti il Sud co*me un Burundi qual*siasi, con tutto il rispetto. Si dice che ai Paesi del Terzo Mondo si dà il pesce e non la canna da pesca con la quale potrebbero imparare a fare da sé. Ma se gli dessero la canna da pesca non li avrebbero più in pugno. Questo avviene ora col credito d’imposta per le aziende che al Sud assumono a tempo indeterminato: 300 euro in meno di tasse mensili a la*voratore. Uno dice: buono. Oc*correrebbe però capire per quan*to tempo uno Stato pieno di de*biti possa rinunciare a quei 300 euro mensili. Quando non potrà consentirselo più, che succede*rà? Il Sud sarà punto e daccapo.

Premessa: 300 euro sono 300 euro. E’ come se in un anno l’azienda pagasse il lavoratore a metà. Ma è dubbio che a una azienda meridionale basti que*sto per assumere.

Ed è ancora più dubbio che un’azienda di fuori scenda al Sud attratta solo da questa. Del resto, il credito d’imposta è un solito noto al Sud, non è mica la prima volta. Quanti passi in avanti ha fatto fare al Sud nella riduzione del divario col Nord? Zero, anzi meno. Il Sud ha continuato a perderci. E a prendersi anche gli insulti di Bossi e compagnia: meridionali parassiti e inetti. 0 topi da derattizzare, come dice il suo compare Calderoli.

Da riconoscere però l’onestà dell’intento: siccome al Sud costa di più produrre, troviamo il modo per ridurre quel costo. Ma serve a poco se poi l’imprenditore-kamikaze continua a metterci due anni per l’allacciamento della luce, poco meno per l’acqua, all’incirca tanto per la fogna. E se poi al Sud c’e il triplo delle interruzioni per la stessa acqua e per la luce. E se occorre il triplo del tempo per ottenere tutte le autoriz*zazioni (trenta per una sola pizzeria). E se le banche non si fidano e non vogliono rischiare un euro, se i treni per le merci non hanno l’alta velocità, anzi al Sud ci sono ora mille chilometri in meno di ferrovie rispetto al 1938 (letto bene: 1938).

Ma col Sud hanno fatto sempre cosi, dice niente la Cassa per il Mezzogiorno? Tanti soldi, anzi non tanto visto che per avviare l’unificazione delle due Germanie hanno speso cinquanta volte di più. Ma soldi per fargli comprare i prodotti del Nord, non per farlo produrre da se. Anzi, quando si è chiesto di favorire le piccole e medie im*prese al Sud, qualcuno da lassù del Nord ha detto stop: non vorremo crearci la -concorrenza in casa. Cosi al Sud hanno dato le Italsider (oggi Ilva di Taranto), i petrol*chimici (Brindisi e Manfredonia), le raf*finerie che non volevano più loro: molti capitali e molto meno lavoro, molto inqui*namento. E’ rimasta solo I’llva, gli altri sono ruderi. E il Sud sta ancora più indietro di prima.

La canna da pesca con la quale il Sud potrebbe finalmente svilupparsi quanto può è il capitale sociale. Infrastrutture (stra*de, porti, aeroporti). Servizi (scuola, uni*versità, formazione). Lotta alla criminalità. Burocrazia che favorisca e non impedisca. Ma se si dice strade non si dice la statale a singhiozzo fra Bari e la Murgia, non si dice quella dei trulli che da decenni attende l’allargamento, non si dice la jonica che divide Puglia, Basilicata e Calabria invece di unirle, gli dovesse venire in testa di fare qualcosa insieme. E se si dice Salerno-Reg*gio Calabria, non si dice lavori infiniti per*che ora i soldi ci sono ora no, tranne dare la colpa a chi? Ai calabresi, soliti meridio*nali.

Se si dice inoltre lotta alla criminalità, non si dice solo pur benvenuti colpi da feste comandate contro i trenta più ricercati, ma Stato presente tutti i giorni dove è invece presente la malavita. E se si dice ospedali non si dice attrezzature arretrate rispetto al Nord altrimenti i meridionali non van-no più a ricoverarsi li con tanto di esbor*so che manda in deficit le loro regioni. E se si dice strade senza monnezza non si dice termovalorizzatori non a regola d’arte affidati a imprese del Nord in Campania e che impediscono la raccolta differenziata. Non si dice camorra impunita nel riempire le discariche di rifiuti pericolosi provenienti clandestinamente dal Nord. Colpe ribaltate che dan*no l’ardire al leghista Borghezio di de*finire Napoli una piaga da eliminare dal mondo civile. Lui invece deve restarci.

Finche il Sud avrà oltre il trenta per cento in meno di capitale sociale, cioè di canne da pesca, i crediti di imposta saranno come itermometri rotti per non vedere la febbre. Lo sviluppo non si crea né per decreto né per conferenze stampa. Non si crea a corrente alternata. Lo devono capire anche quei meridionali che preferiscono l’assistenza più che un cantiere che si apre (e non duri tutta una vita). Lo devono capire quei meridionali più vicini al potere che alla loro gente. Vedano i giovani del Sud senza lavoro e soprattutto senza più fiducia e si vergognino come se fossero loro figli.

Indignados
 
Pazienza signora qui siamo al Sud

Cosa ci vuol fare, signora: qui siamo al Sud. E’ probabile che il vigile urbano non si rendesse conto di aver detto qualcosa molto più grande di lui. Rispondeva allargando le braccia a una signora che lo invitava a redarguire dei ragazzi che sfasciavano la panchina di un giardino. Siccome siamo al Sud, si sfascia la panchina anche se non si dovrebbe. Ed è inutile intervenire, perché comunque tutti fanno ciò che non si dovrebbe. E non vorrà, signora, che cominciamo proprio ora e proprio io a cambiare. Non sono mica un fanatico.

E’ la legge secondo cui le cose vanno come devono andare. Il fatalismo del non cambia mai niente. Come se tutto stesse scritto nel cielo e fosse inutile opporsi. La mitica mancanza di senso civico dei meridionali, su cui si sono esercitati fior di sociologi, a cominciare dall’americano Robert Putnam. I meridionali incapaci di rispettare la panchina pubblica come se fosse la panchina del giardino di casa loro. Ma la panchina pubblica è di tutti, quindi di nessuno: e ciascuno ci fa ciò che vuole.

Ma la panchina pubblica, senza neanch’essa saperlo, è molto di più. E’ l’emblema dello Stato, o di chi per lui, cioè qualcuno per il quale il Sud non ha mai tifato. Perché lo Stato non ha mai tifato per il Sud. Verso il quale ha sempre avuto la faccia bieca dell’esattore delle tasse. O quella arcigna della pubblica amministrazione che complica invece di facilitare. O quella che non dà il posto di lavoro. O quella che tollera i privilegiati, gli spregiudicati, i dritti cui rispondere appunto cercando di essere più dritti degli altri: i ragazzi sfasciatori più dritti della signora che vorrebbe intervenire, con lo Stato (il vigile urbano) che li protegge, o fa finta di niente. Se la signora non è una timorata di Dio, la prossima volta sfascerà pure lei. Perché lo Stato al Sud non è solo quello che lo ha lasciato nel sottosviluppo, anzi lo ha condannato. Ma quello che, forse col complesso di colpa, non interviene mai con la sanzione ogni volta che una panchina è sfasciata, una carta è buttata per terra, un semaforo rosso è ignorato. E senza sanzione, piacerà o no, non c’è comunità civile che tenga, perché nessuno nasce santo. E non c’è comunità civile che tenga senza partecipazione, cioè senza che io e tu cittadini siamo convinti che la panchina non solo è stata pagata con le tasse di tutti, ma che chi la sfascia pagherà due volte.

Una comunità civile non può reggersi sull’esclusione di qualcuno. E gli esclusi sono i senza lavoro, gli emarginati, i deboli. O comunque coloro i quali qualcosa vogliono farla ma non sono aiutati, o perlomeno non sono ostacolati, da condizioni che rendono tutto più difficile: come avviene normalmente al Sud abbandonato dallo Stato. Allora la comunità vive nel risentimento e nel rancore, e sul risentimento e sul rancore si fonda l’inciviltà non la civiltà. E tutte le panchine sono sfasciate. Dice: ma perché non avviene al Nord? Perché lì sono civili? No, nascono trogloditi come tutti. Non avviene perché lì non hanno mai vissuto il senso di abbandono come al Sud. E quindi non crescono con la mentalità: se trascurano me, io trascuro chi mi trascura. Anzi gli imbratto i muri e gli butto i rifiuti fuori dal cassonetto. Tanto che, ora che si sentono abbandonati anche loro e non difesi nella loro ricchezza acquisita, è nata anche al Nord la società del rancore che vorrebbe recintare ogni quartiere con fuochi e filo spinato. E’ certo che un ragazzo del Sud che vive al Nord non pensi affatto a sfasciare una panchina. Primo, perché tutto funziona meglio e ha poco da essere arrabbiato se non per il suo destino di emigrante. Secondo, perché dove funziona tutto, tutti vigilano perché continui a funzionare, compresa la panchina. Una forma di controllo sociale. Se sgarri e la signora protesta come al Sud, non ci sarà un vigile urbano che dica: che ci vuol fare, qui va così.

E’ una conferma della regola secondo cui l’uomo è anche ciò che l’ambiente gli consente di essere. Compreso il conto in banca. Perché tanti meridionali hanno contribuito a far grande il Nord mentre a casa loro non riuscivano a combinare niente? Se erano cretini, avrebbero dovuto restarlo. E non c’entra neanche il clima, visto che ora Milano è più calda di Bari. E si capiscono, ma magari non si giustificano, i meridionali che disprezzano il Sud dal quale sono partiti. Perché li ha costretti a partire. E perché continua a non crescere, anzi continuano a impedirglielo. Malattia per la verità ormai italiana, visto che un Bill Gates nel Belpaese avrebbe fatto al massimo l’elettricista e non il re dei computer.

Ecco perché quel vigile urbano ha detto qualcosa più grande di lui. Ecco perché lo Stato dovrebbe proteggere chi denuncia gli sfasciatori di panchine. Ecco perché il Sud deve ribellarsi alle condizioni che lo tengono sotto. Perché l’altra regola è che nulla resta mai come prima. Peggiora.

di LINO PATRUNO
 

mame

The Fool on the Hill
"...se gli uomini onesti si ritirano, la strada rimarrà libera alla gente senza scrupoli e senza prospettive."

"Il gattopardo", Giuseppe Tomasi di Lampedusa
 
Un marziano al Sud diventato brigante

Spero che qualche onesto resista a Sud.

Un marziano al Sud diventato brigante
di LINO PATRUNO
Pagheresti mai un euro per percorrere una strada fatta a pezzi? No: sono loro che devono pagare me. Ma siccome quando bisogna far male al Sud tutto è possibile, ecco il viceministro Castelli confermare che sarà imposto il pedaggio sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Chi la conosce, non se se piangere o ridere. Più che un’autostrada, è una via crucis di cantieri. Più che collegare le due regioni al resto d’Italia, le allontana. Più che velocizzare il tragitto verso Sud, lo paralizza. Più che fare uscire il Sud dall’isolamento, lo condanna a restarci.

Ma quando si parla di Sud non c’è mai limite al peggio: ecco ora il pedaggio. Marca Lega Nord, come Castelli. Il quale, più che far pagare ai meridionali dovrebbe spiegare perché non ci sono mai i soldi per completare un’autostrada che per i meridionali è più un incubo che un vantaggio.

E la cui responsabilità, ovvio, viene fatta cadere su di loro, per la solita serie: incolpare il Sud per i danni che gli si fanno, in modo che il Sud si convinca di colpe che non ha e finisca addirittura per vergognarsene. Dimostrazione: di quella sedicente autostrada si dice che sono i meridionali a non volerla completare, perché finché va così c’è lavoro. Strano che l’impresa costruttrice sia settentrionale.

Ma il Sud va tenuto diviso. In linea con i prefetti sabaudi del tempo, i quali scesero per disegnare confini che lo frammentassero consentendo di controllarlo meglio più che farlo funzionare meglio. Centocinquant’anni dopo, non c’è ancòra una ferrovia veloce fra Bari e Napoli, la statale ionica allontana più che avvicinare tre regioni, la Salerno-Reggio Calabria completa lo sporco lavoro. E ora, anche il pedaggio perché il Sud si faccia perdonare per il torto subìto.

Il problema è che nessuno dei sindaci calabresi s’è mai arrabbiato davvero, nessuno ha mai fatto lo sciopero della fame, nessuno ha mai riconsegnato la fascia tricolore, simbolo di un’Italia dalla quale il Sud è escluso come si fa per la servitù. Per questo dicono che il Sud deve fare autocritica insieme alle sue classi dirigenti. Tranne poi accusarlo (rieccoci) di non essere capace di progetti interregionali, di sprecare, di non mettersi mai insieme.

E quante volte il ministro di turno ha detto nei convegni che il Sud deve essere la “piattaforma logistica” nel Mediterraneo? Significa che, data la sua posizione geografica, il Sud dovrebbe poter essere la grande area di scambio per i prodotti che arrivano attraverso Suez e salgono verso l’Europa del Nord. Ma per ospitare la grandi navi porta-container occorre attrezzare i porti. Nell’attesa che ciò avvenga, avviene altro. Taranto è sempre a rischio di perdere parte del suo traffico perché i lavori non si fanno o si fanno quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Come sono scappati i buoi di Gioia Tauro, dove un colosso mondiale come la Maersk ha detto ciao e se ne è andato in Egitto. Porto Said, che fra poco farà chiudere tutti i porti meridionali italiani.

Il Sud è sempre in attesa che succeda qualcosa e quel qualcosa è l’attesa. Per esempio è sempre in attesa che non continuino a diffamarlo con le bugie. Come questa storia dell’evasione fiscale. Dicendo che il Sud sfrutta le tasse che pagano le classi “operose” del Nord, hanno giustificato il federalismo fiscale. Che significa, più o meno: ciascuno si tiene il suo, basta con questo Sud parassita che vive alle nostre spalle. E giù cifre di istituti e centri di ricerca vari per dimostrare che il grosso dell’evasione fiscale è al Sud. Il quale va quindi punito.

Un marziano che non sapesse nulla di cose italiane, la prima cosa che si chiederebbe è: ma come mai il Sud evade tanto non avendo neanche i redditi adeguati per farlo? Lo scherzetto è usare le percentuali invece dei valori assoluti. Se dici che il Sud evade, mettiamo, il 18 per cento, e il Nord il 10, tutti a dire Sud incivile e da punire. Ma se aggiungi che quel 18 per cento vale 50, e quel 10 per cento vale 150, allora hai detto una cosa più vera. Dimostrando che ad evadere di più sono i signori nordici i quali lamentano che il Sud vive sfruttando il loro lavoro.

I signori nordici, insomma i poteri forti che vogliono conservare il potere, non aggiungono che essi pagano di meno per lo Stato pur guadagnando di più, e che lo Stato per ringraziarli fa da loro il grosso della sua spesa, mica al Sud (diciamo completando la Salerno-Reggio Calabria). Qui già il marziano comincerebbe a dare di matto. Meno male che non sa che le imprese settentrionali che lavorano e fanno profitti al Sud le tasse non le pagano al Sud, ma al Nord dove hanno la sede legale.

Ultime notizie sul Sud. L’assicurazione auto rincara del 6 per cento, ma del triplo al Sud. (A me è aumentata del 73% in tre anni. Non ho fatto incidenti, sono in prima categoria da anni, percorro poco più di 10000km in un anno, non ho una ferrari) La Lega Nord vuole regalare punteggio agli insegnanti settentrionali per evitare che quei posti vadano ai meridionali più bravi. A questo punto il marziano è già diventato un brigante.
 
Se il Sud si sveglia, diciamogli "borbonico".

Proprio non ci vogliono stare. Tutti quelli abituati a un Sud dello “sconfittismo”, del “dolorismo”, del “perditismo”, del “lacrimismo”.

Appena il Sud alza la testa c’è subito qualcuno, anche al Sud, che gli dà sulle mani. Stai buono lì e non ti far venire cattive idee, non vorrai minare l’unità naziona*le fondata sulla ricchezza del Nord e sulla sottomissione del Sud. Non vorrai svergognare storici, e meridionalisti anche, che si sono sistemati su pol*trone e poltroncine garantendo il silenzio del Sud tranne qual*che indignazione da convegno (con gettone di presenza). Non vorrai, non vorrai.

Appena il meridionale s’indigna, puntuale la scomunica: borbonico. A uno magari non gliene importa proprio niente dei Borbone. Come, tutto sommato, di Garibaldi.

Gli importa capire come mai, dopo 150 anni di Italia unita, l’Italia è disunita da un divario inossida*bile fra CentroNord e Sud, unico fra tutti i Paesi moderni. Come mai i suoi figli devono continuare a emigrare come sempre nella storia del Sud dopo, appunto, l’unità: perché per i meridionali non c’è mai posto, devono andarsene. Coi bastimenti per terre assai lontane, con le valigie di cartone, ora con trolley e computer. E se chiedi chi ha parenti fuori, si alzano decine di mani.

Allora si pensa: forse i meridionali sono esseri inferiori. No, non funziona anche se piacerebbe, ma poi questi maledetti meri*dionali vanno al Nord e sono i più bravi di tutti. Tanto che gli dicono: tu non sembri meridionale. Allora forse al Sud c’è il caldo che addormenta: ma ora a Milano fa ancóra più caldo. Allora è possibile che al Sud ci siano condizioni tali per cui i meridionali non possono esprimersi anche volendolo. Diciamo meno strade, meno banche, meno ser*vizi pubblici, meno tecnologie. E se uno si ribella per questo, possiamo definirlo “bor*bonico”? Che c’azzecca?

Magari questi sudisti prima o poi si ar*rabbiano davvero a sentirsi dire “porci” dal ministro Bossi. “merdacce mediterranee” dal ministro Calderoli, “cancro” dal mini*stro Brunetta, ‘Ali Babà” dal ministro Tremonti. Magari al Sud uno si arrabbia a sen*tirsi ripetere dalla sinistra che quello del Sud non è un problema del Sud ma un problema nazionale e poi si accorge che l’unica na*zionale che conta è quella di Prandelli. Ma*gari al Sud uno s’accorge che la storia che gli hanno raccontato non è poi tutta oro colato e che, come dice lo storico Sergio Romano, ebbene sì ci fu una conquista violenta ma necessaria. E si domanda perché, se neces*saria fu, non si vuole ammettere che anche violenta fu, con tutte le conseguenze.

Tutto questo comincia a capire la “gente”del Sud, mentre si sente sempre parlare dei sacrosanti diritti della “gente” del Nord, preoccupata di difendere non la propria mi*seria come al Sud ma la propria ricchezza: dagli immigrati, dalle tasse, dalla concor*renza (si dovesse mettere in testa anche il Sud di fare da sé). Il Sud che compra ogni anno il 60 per cento dei prodotti del Nord e mai sia smette, con queste minacce di Com*praSud.

Il Sud cui al tempo della Cassa per il Mezzogiorno (anzi per il Settentrione) il Nord impedì di avere lapiccola e media in*dustria e lo sistemò per le feste con l’in*dustria pesante che lo ha mezzo distrutto fra acciaio, chimica, raffinerie. Il Sud cui è stato piazzato il federalismo fiscale del “ciascuno si tiene i suoi soldi” e poi è fregato perché le imprese del Nord che vi operano, le tasse non le pagano al Sud ma al Nord. Il Sud abbagliato con piani da 100 miliardi e poi per l’alta velocità ferroviaria Bari-Napoli, che costa 8 miliardi, gli danno un primo stanziamento di 1,8 miliardi, così finisce come la Salerno-Reg*gio Calabria in costruzione da 40 anni.

Il Sud che comincia a capire, comincia a rompere le scatole. E quegli imbonitori che gli riempiono la testa sono dei “borbonici”, almeno intimidiamoli tutti perché non li si può fucilare di nuovo come briganti. Questo Sud che il solito signor Salvini, quello che cantava “senti che puzza, fuggono anche i cani, sono arrivati i napoletani”, dice che il Nord si è stancato di aiutare, l’ultimo aiuto che gli abbiamo dato è il federalismo fiscale che farà essere sempre più ricco il Nord e sempre meno ricco il Sud. Anzi dalle prime avvisaglie sotterrerà di tasse anche loro che si credevano furbi.

E se il Sud, questo è davvero il colmo, comincia a chiedersi come mai tutti i partiti del Sud che stanno nascendo se ne vanno nella coalizione in cui c’è la Lega Nord, allora subìto ad accusarlo di volere un suo partito fuori dai partiti per spaccare l’Italia. Fine alla madre di tutte le accuse: il Sud vuole nascondere le sue responsabilità. A comin*ciare da quelle di essersi sempre fatto ter*rorizzare da chi gli dice ora “borbonico”. Con molti degli accusatori che si sono ingrassati garantendo un Sud che si stesse buono. E invece di capire perché i “basta” del Sud nascano, si agitano ora per impedire che crescano.



da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 24 giugno 2011
 
Il vecchio contadino può salvare l’Italia
Venerdi 2 Settembre 2011 ’ Gazzetta del Mezzogiorno ’ da Lino Patruno


Uno dice: ma con tutto ciò che sta succedendo, ci mettiamo a parlare di Sud? Ma per favore. Del Sud non si deve parlare mai. Anche perché, siccome l’Italia è abbonata ai guai, il Sud è finito sempre nelle varie ed eventuali, se ne parla alla fine se c’è tempo. E del resto, la filosofia è sempre stata quella della locomotiva del Nord: quando la locomotiva parte i vagoni acclusi del Sud partono anche loro. Ciò che contava e conta è che cresca il Nord.
Poi magari si scopre che da dieci anni l’Italia non cresce e a nessuno viene in mente di chiedersi se la locomotiva sia sufficiente. Anzi si incolpano i vagoni, troppo pesanti e dannosi, sganciamoli al loro destino. E a nessuno che salti invece in mente, come i nostri ferrovieri sanno, che a volte conviene mettere la locomotiva in coda per fare meno sforzo. Cioè far crescere l’Italia dove c’è ancòra tutta la crescita inespressa, come si farebbe in qualsiasi azienda dove c’è una sacca di produzione da attivare. Il saggio contadino non si mette mica a stremare la solita terra se ne ha un pezzo incolto da far fiorire.
E’ fallito il principio della locomotiva. O quello, come si dice anche, della marea: se sale, sale per tutti. Perché nessuno vuole ammettere che quella locomotiva non andrebbe da nessuna parte senza i suoi vagoni. Il Sud acquista ancòra il 60 per cento dei prodotti del Nord. Senza il Sud non ci sarebbe il Nord, senza questo Sud non ci sarebbe quel Nord. Ma allora bisogna chiamarlo col suo vero nome, che è colonialismo: non mi fai crescere per non compromettere il tuo benessere, non mi fai crescere per non avere concorrenza in casa. Tranne dire, come in questi giorni ha detto il solito leghista, che tre quattro regioni mantengono tutta l’Italia. E bisognerebbe tenerne conto, altrimenti salutano (se pure) e se ne vanno per conto loro.
Il leghista non dovrebbe vantarsene, ma fare l’esame di coscienza. Crescere non è peccato, per carità. Ma è peccato crescere ai danni degli altri. Soprattutto quando, com’è inevitabile, non si cresce più e si dà la colpa agli altri. E se non cresci e devi ridurre il debito, sei costretto a tagliare sempre di più, non potendo compensare con le entrate. In questi giorni l’Italia sta insomma pagando a lacrime e sangue anche un suo modello che ha mantenuto intatto il divario fra Nord e Sud. E ora che sono crollati i consumi al Sud, i signori del Nord a chi vendono?
Qualsiasi studente di economia sa che, in questa situazione, bisogna allargare la base produttiva: attivare il reparto che produce poco o coltivare la terra incolta. Cioè mettere il Sud nella condizione di dare un apporto che ora gli è impedito di dare. Perché per essere concorrenziale ne devi avere i mezzi a disposizione. A cominciare dalle infrastrutture: quelle materiali (investiresti mai nella Calabria in cui c’è l’autostrada Salerno-Reggio Calabria?), quelle immateriali (investiresti mai dove per farti recuperare un credito la giustizia civile ci mette dieci anni?), quelle sociali (investiresti mai dove non c’è l’asilo per tuo figlio o dove la criminalità ti taglieggia indisturbata?).
Tutto questo non dipende dai meridionali, ma dal mitico Stato. Come definiremmo un Paese con un divario simile del 40 per cento fra Nord e Sud? E in cui, nonostante questo, il suddetto Stato, con governi di sinistra e di destra, non ha mai mantenuto l’impegno di destinare al Sud almeno il 45 per cento della sua spesa in investimenti? E in cui i ricorrenti Piani per il Sud svaniscono inesorabilmente di fronte alle urgenze di badare ad altro, magari destinando i soldi per il Sud alle multe dei lattai padani o ai traghettatori del lago di Garda?
Ansima la locomotiva del Nord: non hanno più neanche gli spazi per i capannoni, poi li alzano vicino ai fiumi e ai laghi e si prendono purtroppo le alluvioni come in Veneto. E se questa locomotiva da dieci anni ansima, ci si vuol mettere una volta per tutte in testa che soltanto il Sud potrà salvare il Nord e l’Italia anche? Sì, il Sud, anche se sembra una bestemmia, visto il pregiudizio.
La Germania ha speso ciò che ha speso per l’ex Germania Est (per la cronaca: 50 volte più della Cassa per il Mezzogiorno) ma non l’ha abbandonata al destino di vagone appresso. E a chi obietta indignato che il Sud non dovrebbe parlare visti “tutti i soldi che vi abbiamo dato”, bisogna ricordare che quella spesa non si è mai aggiunta a quella normale (ordinaria) dello Stato, quindi in gran parte è stata una presa in giro. E a chi incalza ancòra più indignato che il Sud ha sprecato, bisogna ricordare che a spendere è stato quasi sempre lo Stato. E che nessuno può scagliare la prima pietra in un Paese che, benché sia pieno di debiti, continua ad aumentare la spesa pubblica ogni anno.
Invece di continuare a dare al Paese immigrati, il Sud può dare ricchezza per far crescere tutti. Ed è tanto bravo, il Sud, se lo mettano in testa.

Da la " Gazzetta del Mezzogiorno " Venerdì 2 Settembre 2011
 

Brigante Duosiciliano

Steve Workers
Il Sud acquista ancòra il 60 per cento dei prodotti del Nord. Senza il Sud non ci sarebbe il Nord, senza questo Sud non ci sarebbe quel Nord.

Adoro la capacità di sintesi. In questa frase è ben spiegato il vero motivo che sta alla base dell'esistenza della "Questione meridionale".
Il guaio è che ben pochi sanno la verità. E l'ignoranza che regna su tale evento storico è il pilastro su qui si basano i deliri della Lega. Basterebbe anche Youtube a dimostrare la falsità dei "libri" di storia delle scuole.
Prima o poi leggerò anche questo libro. Mi sembra ben scritto
Saluti
 
La legge è più uguale al Nord che al Sud

La legge è più uguale al Nord che al Sud
di LINO PATRUNO
Poi dice che il Sud sta sempre a lamentarsi. Per esempio l’Alenia in Campania. Il nuovo piano industriale di Finmeccanica (ma guarda) prevede lo spostamento della sede legale della società aeronautica da Pomigliano a Venegono in provincia di Varese. Motivo dichiarato: l’incorporazione di Alenia Aermacchi in Alenia Aeronautica, con la creazione di una nuova società.

In genere la sede legale rimane a chi incorpora non a chi viene incorporato. Ma questa volta no. Sospetto: non sarà che la società incorporata è a Varese, città non solo nordista ma discretamente cara al capo della Lega, Bossi? E’ quello che voleva spostare anche tre ministeri a Monza, anzi a modo suo l’ha fatto con tanto di fanfare benché non ci siano neanche tavoli e sedie.

Ed è quello che, mentre l’Italia rischia il fallimento, invece di stringersi “a coorte” per difenderla, parla di referendum per fare la Padania, illudendosi di contare più di una Slovenia o una Croazia, con tutto il rispetto.

E tuttavia il problema non è solo avere una sede, dove magari si può dare un posto di impiegato o usciere a chi già ce l’ha, togliendolo a chi non ce l’ha come il Sud. Il problema è che dove una azienda ha la sede legale, lì paga le tasse. E quel territorio arricchisce benché produca altrove. Tranne poi dire, come il medesimo Bossi fa di continuo, che i soldi devono restare dove sono prodotti. La legge non è uguale per tutti, ma è più uguale per il Nord.

E’ una aberrazione di marca feudale, come il signorotto che razzolava galline, frumento e soldi fra i contadini, consumandoli poi nel suo possedimento. Per fare un esempio, i soldi delle tasse dei lombardi dovrebbero essere spesi solo in Lombardia, e non redistribuiti dallo Stato in base a una solidarietà nazionale comune a qualsiasi democrazia e civiltà moderna. Senza tener conto che quei soldi i lombardi (o chi per loro, per carità) li fanno anche grazie a beni pubblici (diciamo infrastrutture) pagati dallo Stato, cioè anche dai meridionali. E senza tener vieppiù conto che, nonostante tutte le chiacchiere leghiste, la spesa pubblica dello Stato è ancòra maggiore al Nord che al Sud.

Ma non c’è solo Alenia a dimostrare che il Sud deve essere condannato a restare Sud. Vedi la Puglia, col porto di Taranto. Mille discorsi della domenica: il Mezzogiorno sarà la piattaforma logistica in Mediterraneo. In altre parole, una felice posizione in grado di farlo diventare il punto di approdo e di ripartenza delle merci che arrivano via mare dall’Asia. Ma mai qualche grande opera per attrezzare quei porti, per dirne una, di fondali più profondi. Mai qualche grande opera per creare il retroporto: se un container arriva a Taranto ma poi vi rimane bloccato perché non c’è collegamento ferroviario veloce per l’Europa del Nord , si perde tutto il vantaggio.

Ora Evergreen, la potente multinazionale di Taiwan, ha trasferito quattro sue linee da Taranto al Pireo, denunciando inefficienze e di fatto svuotando Taranto non solo di lavoro ma anche di prospettive. Un’altra multinazionale del trasporto marittimo, la Maersk, ha abbandonato Gioia Tauro denunciando un assenteismo del 40 per cento. Se così è, la magistratura faccia il suo lavoro senza sconti per meridionali che danneggiano non solo se stessi.

Ma mentre nel Mediterraneo sta per raddoppiare il traffico, non uno straccio di investimento serio, non una miseria di facilitazione fiscale per non perdere il ricco flusso. L’opposto del Nordafrica, ma anche di Spagna e Francia, i quali offrono incentivi e attrezzano porti che fra poco metteranno fuorigioco i nostri. Ma tanto, chi se ne importa, sono Sud. Basterà ripetere i discorsi della domenica sulla piattaforma logistica. E accusare un giorno sì un giorno no i meridionali di non rimboccarsi le maniche. Anzi accusarli di essere solo spreco, criminalità e munnezza.

A proposito della quale, non può che suscitare rabbia la sentenza che, dopo tredici anni, ha assolto tutti i 95 imputati del colossale traffico di rifiuti tossici, un milione di tonnellate, seppelliti nel Casertano e nel Napoletano in terreni di frutta, verdura e allevamento. Prescrizioni, errori di procedura, ritardi nonostante le confessioni. Vicenda raccontata nel libro “Gomorra” di Saviano e nel relativo film. E rifiuti provenienti tutti dal Nord, quaranta camion di veleni ogni settimana. Quello stesso Nord che ha rifiutato sdegnato di prendersi (a pagamento) i rifiuti non tossici napoletani rimasti in strada anche perché le discariche erano ricolme dei suoi rifiuti tossici.

Se questo significa Sud che piange sempre, allora è meglio gridare. Ultime notizie: sulla Lecce-Roma, da ottobre stop ai treni a basso costo con aumento del biglietto fino al 70 per cento. Le Ferrovie vogliono soldi dallo Stato per conservarli. E poi si continua a dire che i soldi dello Stato li vogliono sempre i soliti insopportabili meridionali.
 
Lettera prima di fuggire dal Sud
di LINO PTRUNO
Se io fossi un giovane del Sud, scriverei quanto segue. Cari meridionali, questo è anche il mio addio. Abbiamo letto cosa sarà la nostra terra nei prossimi anni: spopolata, con due milioni di ragazzi in meno, con tanti più vecchi, soprattutto quasi senza lavoro. La terra che continuava a dare figli alla patria non fa più neanche figli, ne fa addirittura meno del Nord. E quelli che fa, sono destinati ad andar via, a volare come rondini tristi verso le nebbie. Perché, nonostante tutte le chiacchiere, anzi nonostante tutte le menzogne dei nostri politici, non solo il divario col resto del Paese aumenta invece di diminuire, ma ora addirittura il Sud non cresce più neanche quel poco di prima. Si avvera la triste sentenza: un Sud in cui i giovani partono, i bambini non nascono, i vecchi muoiono.

Io non sono un esperto. Ma mi chiedo come si faccia a essere ottimisti se anche la manovra contro la crisi è stata una manovra contro il Sud. L’aumento dell’Iva invece della tassa sui patrimoni sarà sofferto di più al Sud i cui consumatori sono meno facoltosi. E quanto ai tagli agli enti locali, ovvio che ne soffriranno più i sindaci del Sud. Loro hanno dietro la porta i disoccupati, gli sfattati, gli anziani in cerca di assistenza. I sindaci del Nord devono magari occuparsi del tipo di erbetta per i loro prati all’inglese.

“Tsunami” demografico, è stato definito ciò che avverrà. Uno spreco di giovani come me: uno su tre non lavora. Senza contare quelli che ormai né studiano, né lavorano, né un lavoro lo cercano più. Carne morta. In nove anni ce ne siamo andati dal Sud in 583 mila, quasi 70 mila l’anno. Ma sono di più perché alcuni continuano a conservare il loro domicilio qui prima di arrendersi. E siamo una emigrazione in buona parte intellettuale, diplomati o laureati. Siamo l’emigrazione col trolley e il computer, dopo i bastimenti per terre assai lontane, dopo le terre al sole, dopo le valigie di cartone.

Noi meridionali abbiamo sempre dovuto andarcene perché non c’era mai posto per noi, abbiamo dovuto toglierci dalle scatole per far stare meglio gli altri. Non siamo esseri umani, siamo ammortizzatori sociali. I nostri genitori spendono per noi, dalle elementari in poi, una media di 100 mila euro. Quando siamo belli e pronti per far crescere il nostro Sud, ci dobbiamo regalare chiavi in mano al Nord. Che beneficia della spesa del Sud. Immettendoci in quel sistema che produce ciò che è in gran parte acquistato dal Sud: il quale così paga due volte.

Si è giustamente scritto che dal “brain drain”, dalla fuga dei cervelli, siamo passati al “brain waste”, lo spreco dei cervelli. Enorme. Poi dicono che noi giovani del Sud cominciamo anche a non iscriverci più all’università: dobbiamo ancòra essere presi in giro? Io mi sono ammazzato per laurearmi, i miei non vivono nell’oro, ho dovuto fare lavoretti e studiare quando gli occhi si chiudevano. Ma vedevo ancòra il mio futuro come una carta bianca sulla quale disegnare di tutto, pensavo a fare della mia vita un’opera d’arte. Ora invece di impostare questo mio domani, imposto curriculum da mandare in giro senza mai una risposta.

Vedo miei amici ingegneri umiliati nei call center, laureati in economia alla cassa dei supermercati, laureati in fisica riparare i computer. Ma vedo anche tanti altri che si trascinano, è come se un giorno dopo l’altro la nostra vita se ne andasse. E sento tanti figuri continuare a dire che ci dobbiamo dare da fare, ci dobbiamo rimboccare le maniche, non dobbiamo stare sempre a lamentarci. Gente che magari continua a vivere di politica per generazioni, che si permette di fare la lezione. Soprattutto politici meridionali che non reagiscono mai, fanno un po’ di teatrino nei convegni, dicono dobbiamo fare questo e quest’altro e non si capisce a chi lo dicono visto che a farlo dovrebbero essere loro.

Non sono qualunquista, ma capisco l’antipolitica. Nei prossimi vent’anni un giovane meridionale su quattro se ne andrà. Io sto per farlo. Vorrei restare qui non tanto perché di questi tempi sia scandaloso partire, ma perché mi ribello all’idea che debba essere un destino, che noi del Sud dobbiamo andare sempre a cercar altrove la nostra terraferma. E come faccio a metter casa, come faccio a non vergognarmi con la mia ragazza, come faccio a reinventami ogni sei mesi quand’anche mi diano almeno un contratto così? Non voglio fare la lagna, ma essere precari ti prende al cervello, si è come malati che non possono pensare alla prossima estate: ce la faranno?

Mi dispiace lasciare i miei vecchi qui, magari potrebbero avere bisogno di me. E so che forse resterò per sempre lì, anche perché leggo che, più ce ne andiamo, più sarà difficile tornare perché sarà sempre peggio. Spero che non mi prenda la rabbia e non mi ritrovi a odiare la mia terra. Li vedo quelli che scendono a casa una volta al mese, li vedo i treni la domenica sera: senza malinconia e senza allegria. Solo un filo spezzato finché il capotreno non fischia.
 
Caro Nord ma dove vai se il Sud non ce l’hai?

Caro Nord ma dove vai se il Sud non ce l’hai?



di LINO PATRUNO
Ricomincio da Sud. Ci sono almeno tre ragioni per cui se l’Italia vuol crescere può farlo solo a Sud. Prima lo si capisce meglio è. Come meglio è se la si smette quanto prima di considerare il Sud un danno e non una salvezza per tutti.

Prima ragione. Non ci vogliono trattati di economia per capire una banalità. Resteremo nell’incubo di questa crisi se si continua ad andare avanti con un sistema (gli intellettuali dicono “modello di sviluppo”) per cui il Nord deve fare da locomotiva e il Sud, se va bene, seguirlo come bagaglio appresso. Il risultato è una crescita dello zero virgola qualcosa, anzi ora andiamo indietro. E’ come se avessi una Porsche e la facessi andare come una Panda. Non solo è uno spreco, ma prima o poi imballi il motore.

Il Nord dovrebbe crescere al 10 per cento come una Cina per far crescere in media l’Italia almeno al 3 per cento, quota minima per riprendere a creare lavoro.

Ma oggi solo la Cina è Cina. E poi il Nord è al limite, saturo, sfiatato, non può crescere più di tanto: devi avere anche lo spazio per altri capannoni. Se dai a un riccone altri cento euro, non ti ringrazierà neanche, se li dai a un poveraccio gli hai cambiato la giornata. Riesce a lavorare al Sud un venti per cento in meno rispetto al Nord: se potessero spaccherebbero le pietre. Si dovrebbero cambiare le condizioni, investire al Sud quei soldi destinati al Sud ma invece utilizzati per tante altre cose, dalle multe dei vaccari bergamaschi ai traghetti del lago Maggiore. E i treni, al Sud, si dovrebbe darglieli non toglierglieli.

Seconda ragione (per cui bisognerebbe ricominciare da Sud). La conferma viene proprio in questi giorni dalla Banca d’Italia, non da qualche irriducibile terrone mezzo piagnone mezzo cialtrone. Nel Paese che i signorini dalle mani sporche della Lega Nord vogliono tagliare in due, se non ci fosse il Sud che acquista non ci sarebbe il Nord che vende. Altro che secessione, altro che ce ne andiamo per conto nostro: dove vanno?

L’integrazione fra le due Italie è tale che dovrebbe far ricredere anche il Luca Ricolfi del “Sacco” (saccheggio) del Nord. Insomma la bibbia che il Salvini sbandiera sempre come dimostrazione del Sud parassita. La Banca d’Italia dice che è vero che ogni anno 50 mila miliardi di tasse del Nord vengono spesi anche nel resto del Paese. Ma è vero pure che ritornano con gli interessi (oltre 60 miliardi) in acquisto di prodotti del Nord da parte del Sud. E aumentano ancòra se ci aggiungiamo, mettiamo, i ricoveri di meridionali al Nord (pagati dalle Regioni del Sud). E se ci aggiungiamo i giovani meridionali che vanno a lavorare al Nord ma la cui istruzione l’hanno pagata i loro genitori al Sud (a parte le tasse che versano lì).
Questi conticini li aveva già fatti da tempo Paolo Savona, economista, ex ministro, banchiere. Ma chi volete che gli desse retta visto che smentiva un pregiudizio sul Sud? Piagnone anche lui. Così si scopre anche (Luca Bianchi direttore della Svimez) che un quarto della ricchezza annuale della Lombardia proviene dalle vendite al Sud. Ma invece che di Sud creditore si continua a parlare di Sud debitore. E invece che, magari, di “Sacco” del Sud, si continua a parlare di “Sacco” del Nord. Si è meridionali anche nei sacchi. Senza dimenticare la ciliegina che, nonostante tutto, la spesa dello Stato è maggiore al Nord che sta meglio rispetto al Sud che sta peggio.
Ma c’è la terza ragione (per cui bisognerebbe ricominciare da Sud). Buona parte dell’attuale crisi del Nord è dovuta al fatto che è in crisi anche il Sud che compra meno. E che se dalla crisi si esce solo col rilancio dei consumi (e quindi della produzione, del lavoro ecc. ecc.), o il Sud si muove o la barca affonda. Il Nord dipende dal Sud, una bestemmia. E’ sbagliato allora non solo il sopraddetto “modello di sviluppo” della locomotiva, ma anche quello conseguente del Nord che vende e del Sud che acquista. Pensiamo a cosa avverrebbe se tutti i Nicola Cassano e le Carmela Palumbo del Sud decidessero un giorno il CompraSud, acquistare solo prodotti meridionali (e ce ne sono): il panico.
Conclusione: nessun Paese può reggersi su un Nord e su un Sud come in Italia. Nessun Paese almeno che voglia restare fra i primi dieci al mondo. Né si può tenere inutilizzato mezzo motore senza perdere velocità, anzi bruciando la testata. E con l’aggiunta che un altro “modello di sviluppo” (rieccolo) converrebbe anche al Nord perché la crescita del Sud lo farebbe sfiatare meno. Tranne che non si voglia lasciare tutto così perché fa comodo: la chiamiamo sottomissione?
Ma se occorre ricominciare da Sud, anche il Sud deve ricominciare da se stesso. C’è al Sud una prateria di cose da fare (oltre che di cose fatte). Il Sud s’arrabbi di brutto per i treni tolti, ma poi metta in campo al più presto la propria locomotiva. Il futuro è a Sud.
 
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