Alcune considerazioni.
L’amore è un sentimento molto particolare, poiché può tradursi nella vita reale in un rapporto di coppia, perciò inteso come “transitivo”, come altrettanto galleggiare nella dimensione filosofica, quella che non prevede un oggetto su cui venire riversato ma è tutt’uno con i propri intimi stati emozionali.
Vi sono molte persone di particolare sensibilità, che nella ricerca dell’amore ne coltivano più questo secondo aspetto, proprio per prescindere dall’esistenza di partner, fonti sì di sinergia positiva, purtroppo sovente transitoria, ma fatalmente anche di aspetti negativi legati a compromessi esistenziali e questioni di affermazione delle rispettive personalità nell’ambito di coppia.
Spesso peraltro i due tipi di amore coincidono, soprattutto nelle fasi di innamoramento in cui sono rafforzati da passione, sentimenti di reciproca stima e talvolta miope ammirazione a-critica; ma è frequente che, coll’affievolirsi -che spesso nel tempo subentra- dell’infatuazione, vi sia una trasformazione nella direzione della seconda forma.
Il partner non è più allora l’oggetto-fonte dell’amore, ma un’entità praticamente anonima e impersonale, strumentale alla forma filosofica autonoma di questo stato idealizzato che si autoalimenta dell’emotività di chi lo adotta.
E’ inevitabile che, di conseguenza, di lui emergano e siano messi in risalto e discussione tutti i difetti che inevitabilmente possiede in quanto a propria volta persona viva e manifesta, correlati agli aspetti della natura umana che li originano: meschinità, povertà d’animo, egocentrismo, etc., cose già presenti ovviamente in chiunque, più o meno latenti, ma che erano sopite nella bambagia dell’infatuazione. E tutto assume gradatamente una dimensione che, se a chi osserva da fuori pare magari invariata nei risultati e aspetti comportamentali, all’interno della coppia viene a basarsi su tutt’altri presupposti.
Presupposti che non ricavano più l’amore dal partner, ma dall’idea personale che si ha nel proprio io dell’amore. In sostanza una forma di egoismo catartico spirituale estremo.
Egoismo che, reputando il sacrificio finalizzato al proprio sentire, fornisce forza motivando ad affrontare con sopportazione le negatività del partner; non più per lui -che in tal caso si procederebbe a scaricare con pochi scrupoli, e anzi spesso si finisce per farlo una volta che non lo si ritiene più all'altezza e “il gioco non vale più la candela”- ma per se stessi: pena che costituisce uno dei pilastri del proprio sentimento e che portare in spalla come una croce -“la propria croce!”- costituisce fonte di autostima rendendo, se pur clandestinamente, orgogliosi di se stessi.
Il godimento che ne consegue è appagante, come sempre quello che scaturisce dal masochismo, come di fatto è.
Molti ménage campano in tal modo a tempo indeterminato, per quella che è l’incapacità (o la non volontà, inconscia o consapevole) di valutare oggettivamente la fine di un rapporto, trasformando più o meno deliberatamente la figura del partner in veicolo inconsapevole del proprio paradiso artificiale amoroso, millantando come amore per lui -bruto e ignobile concentrato di difetti e negatività- il proprio sacrificio inscenato con tenacia, che in realtà è solo per se stessi.
Magari fino a che quello, distrutto da condizionamenti che percepisce ma non realizza, se ne va deluso e distrutto da quella che è ormai una permanente violenza psicologica; ma con il marchio del colpevole, del prepotente e di chi sarebbe responsabile della fine di un amore e dell’abbandono del tetto coniugale.
In questo senso concordo esservi tanta ironia nella considerazione da parte della poetessa del comportamento dell’uomo di questa poesia: pare proprio che la donna lo stia usando, sfruttandone le debolezze, per ricevere quelle attenzioni creazione delle proprie fantasie emotive, affermando in sostanza che non ne è lui in realtà l’attore, ma lei stessa attraverso lui.
Questo non distinguere chi fa cosa, indica proprio che lì non vi sono due partner che si scambiano amore, ma una sola che lo vive sulle proprie pulsioni, dove lui è un accessorio propedeutico, una marionetta.
Ammesso e non concesso, tristemente, che le coppie ideali non ci siano -o lo siano in limitate fasi esistenziali, in cui ciò può realizzarsi per un transitorio cumulo di coincidenze reciprocamente appaganti-, in tal caso quelle reali non sarebbero rette da sentimento etereo e idealizzato, bensì da un mare di compromessi che le rendono in realtà dei sodalizi più o meno affettivi.
E’ qui che si iniziano calcoli e misurazioni, chi dà di più e quanto, chi riceve di più, chi perde chi vince, chi si sacrifica per l’amore…
Ciò è molto penoso, ma se l’amore non esiste allora ne è il più probabile candidato a surrogarlo; ed in effetti molte coppie “di lungo corso” finiscono per vivere in equilibri/squilibri di tale fatta, laddove anche il ruolo di chi afferma essere il perdente che più si sacrifica è in realtà scelta voluta, essendo proprio in tale sconfitta la vera vittoria: il sacrificio si fa per se stessi -giammai lo si farebbe per l’altro!-, per l’amore filosofico che è molto più elevato di quello prosaico di coppia.
E a ben vedere, ad uscirne perdente è quel cavernicolo “gretto e terreno”, che vede l’amore solo in un relazionarsi con la partner, trovandosi incapace per cromosomica mancanza di sensibilità a concepire quello filosofico, infinito ed eterno; da lei ridotto progressivamente ad assumere perfettamente in buona fede comportamenti dolci ed affettivi, che lui per un’istintiva dedizione protettiva-sessual-maschilista identifica come amore e che peraltro nulla sortiscono sulla partner. La quale assiste sorridendo compiaciuta dentro di sé, continuando esternamente a proclamarsi sua vittima.
:MUCCA