Ho cominciato stamattina, ma non sono andata molto avanti. Intanto...
Incipit:
Sono nato e cresciuto in un minuscolo appartamento al piano terra, forse trenta metri quadri sotto un soffitto basso: i miei genitori dormivano su un divano letto che la sera, quando s'apriva, occupava quasi tutta la stanza, da una parete all'altra. La mattina presto ripiegavano il divano comprimendolo per bene, nascondevano lenzuola e coperte nel buio del cassetto che stava lì sotto, rivoltavano il materasso, chiudevano, sistemavano, stendevano su tutto un rivestimento grigio chiaro e infine disponevano qualche cuscino ricamato in stile orientale, occultando con ciò ogni traccia del loro sonno notturno. E così, la stanza fungeva da camera da letto, studio, biblioteca, tinello e persino salotto. Di fronte a essa si trovava il mio cantuccio dipinto di un verde tenue e per metà occupato dal panciuto guardaroba. Un corridoio buio, basso e stretto procedeva un po' storto dal cucinino al bagno e alle due stanzette: pareva un tunnel per dei carcerati in fuga. Un lume fiacco, imprigionato dentro una gabbia di ferro, spandeva sul corridoio, anche nelle ore del giorno, una luce incerta, torbida. C'erano soltanto una finestra nella camera dei miei genitori e una nella mia, entrambe riparate da imposte di ferro; entrambe provavano a modo loro ad ammiccare verso oriente, ma la vista concedeva solo un cipresso impolverato e una cinta di pietre a secco. Attraverso l'inferriata di un abbaino, invece, dalla cucina e dal bagno si intravedeva il piccolo cortile che sembrava quello di una prigione, circondato com'era da alte mura e con il pavimento di cemento. Lì, senza mai un raggio di sole, languiva sino allo spasimo un pallido geranio piantato dentro una latta di olive arrugginita. Sui davanzali dell'abbaino avevamo sempre dei barattoli chiusi di cetrioli in salamoia e un povero cactus piantato dentro un vaso da fiori che da quando si era rotto fungeva da vivaio. Era una casa interrata: il piano basso dell'edificio era scavato nel dorso della montagna. Era lei il nostro vicino, dall'altra parte del muro: un inquilino pesante, introverso e silenzioso, un vecchio e malinconico monte con le sue inveterate abitudini di scapolo e una fissazione per il silenzio. Quel vicino così torpido e umbratile non spostava mai i mobili né riceveva ospiti, non faceva baccano né arrecava il minimo disturbo, ma tramite le due pareti in comune fra noi e lui filtravano sempre, come un testardo sentore di muffa, il freddo muto del buio e un'umidità malinconica. E così, anche nel pieno dell'estate, un briciolo d'inverno restava serbato in casa nostra. Gli ospiti dicevano: si sta così bene da voi, anche quando c'è afa, è così fresco e tranquillo, che sollievo, ma d'inverno come state? Non passa umidità, dai muri? Non è un po' deprimente, qui, l'inverno?