C'è un discorso antropologico/evoluzionistico che vale la pena di essere accennato; in natura non c'è nulla di casuale, e l'uomo, pure se talvolta lo nega, non può non farne parte.
Solo il 3% dei mammiferi è monogamo, il restante 97% è poligamo o promiscuo. Diffusissima è la poliginia, ridotta a pochissimi casi la poliandria.
Ponendo di descrivere l'uomo da un punto di vista esterno, probabilmente rientrerebbe vagamente tra i promiscui. La femmina necessita di un periodo di gestazione piuttosto lungo durante il quale il maschio può diffondere ulteriormente la sua progenie; inoltre il maschio non ha particolari ruoli nell'allevamento dei piccoli. La poliginia pura non credo sia rilevante, la struttura "harem" sorge solo in particolari contesti - stesso dicasi per la poliandria, che sussiste tutt'ora, ad esempio in Tibet, dove le femmine scarseggiano.
Sarebbe interessante avere testimonianze sul comportamento sessuale dell'uomo nei suoi primi stadi evolutivi; forse ce ne sono, anche se dubito possano disporre di dati chiari e utili, in ogni caso non sono abbastanza addentro nell'argomento. Il punto di svolta è quello dell'organizzazione sociale: nel momento in cui la difesa del "branco" è assunta da una particolare casta e non da ogni maschio per suo conto, il legame diretto del singolo con la sua progenie si allenta ma al tempo stesso si rinforza in una struttura nuova e diversa. Le prime leggi di controllo della tribù suggeriscono che il ribelle, l'adultero (quantomeno quello ostentato) e l'incestuoso venissero allontanati dal clan, la cui priorità era mantenersi numeroso, unito e sano; un prezzo che non valeva la pena di pagare. Da qui nasce, probabilmente, una sorta di "monogamia di convenienza".
Da qui all'uomo odierno il passo è brevissimo, tutto ad opera dell'evoluzione culturale. Ci siamo sempre più sganciati dalla legge evoluzionistica più stretta, per la quale l'individuo più forte è quello che ha la progenie più numerosa. Il successo dei nostri geni passa spesso in secondo piano, è comunque mediato da molti altri fattori, la riproduzione stessa acquisisce un senso diverso. E' un passo brevissimo, dicevo; nelle prime leggi tribali di cui sopra compare già il controllo delle nascite (sacrificio dei gemelli, allattamento prolungato).
Ad oggi, quello che interesserebbe all'ipotetico osservatore esterno sarebbe la struttura, non i comportamenti del singolo. Quella della nostra civiltà è complessa, ma vi è un nucleo monogamo (salvo particolari casi culturali); che poi i singoli individui, di entrambi i sessi, tengano un comportamento promiscuo è irrilevante.
A maggior ragione questo è valido tenendo presente la storia dell'uomo. Come accennato in precedenza, abbiamo da tempo perso quel contatto diretto con la prosecuzione dei nostri geni, tipico della lentissima e infallibile evoluzione biologica. L'evoluzione culturale, infinitamente più rapida, ci ha portati addirittura a dubitare del nostro ruolo nella natura. Ritornando a quel patto iniziale, quella "monogamia di convenienza", si capisce come essa si sia dimostrata col tempo una scelta sempre più sensata. Il maschio non ha più bisogno di fecondare più femmine per accrescere la sua progenie prima di morire, non ha più quell'istinto; viceversa si è creato un ruolo, in origine insospettabile, nell'allevamento dei figli, la struttura monogoma gli dà una collocazione nella civiltà e, tratto che presumibilmente avrà più spazio ora che questa struttura si sta allentando, una compagna fissa gli è d'ausilio per il raggiungimento della - termine evoluzionisticamente folle - "felicità".
Alla luce di tutto questo, definirei senza patemi l'uomo come "monogamo", nè vedo per esso destino diverso.