Del perché dall'una alle tre si cazzeggia...

Nerst

enjoy member
Magari anche la Gelmini avrà saputo della notizia su internet o dai giornali.
Questo spiega la sua totale ignoranza nel progetto.
 
Questa è il Ministro della Pubblica Istruzione. Abbiamo proprio raggiunto il fondo. Una volta i Ministri della Pubblica Istruzione erano Leonardo Bianchi e Giovanni Gentile, poi arrivarono le Falcucci e i D'Onofrio e si pensava avessimo raggiunto il fondo, uno spiraglio di luce arrivò con De Mauro, il tempo di illudersi un po' e la bomba Gelmini subito è esplosa. Nemmeno ci si indigna più.
 
Per ridere un po'

Dal Corriere della Sera:

"I neutrini finalmente fuori dal tunnel, si cerca lo spacciatore che li ha riforniti"

" Lungo la strada due neutrini hanno concepito rapidissimamente un figlio: il NEUTROTA".

"Già istituiti i posti di controllo all'ingresso del Tunnel Gelmini: chi siete? dove andate? un neutrino"

"Lega Nord protesta contro i proventi del Tunnel: devono rimanere solo in Padania!! Neutrini indignati"

"La procura di Napoli ha già aperto un'inchiesta per appalti illeciti nella costruzione del tunnel Ginevra-Gran Sasso"

"ATTENZIONE: blocco causa incidente al Km 485 del tunnel gelmini. Si segnalano tempi di percorrenza allungati di 60 nanosecondi".

"Il vuoto assoluto necessario per il tunnelgelmini è stato cortesemente fornito dal cervello della medesima"

"Il Freccia Rotta è il nuovo treno superveloce, che, sfruttando il tunnelgelmini, ti porta da L'Aquila a Ginevra in 38 nanosecondi"

"Il tunnelgelmini esiste. Un po' come la Padania, Babbo Natale e l'attentatore di Belpietro".

"È un grande risultato: il limite della velocità della luce era una pesante eredità lasciataci dal precedente governo"
 

GermanoDalcielo

Scrittore & Vulca-Mod
Membro dello Staff
Questa invece, sarebbe stata un'ottima protagonista per il racconto "La statua dell'uomo moderno".

Una donna si uccide in un bar Ma il locale rimane aperto - Torino - Repubblica.it

Non ho chiuso il bar perchè non mi è sembrato opportuno - ha detto la titolare Pierina Giani - si è trattato di una fatto certo grave, ma voluto dalla signora. Mi spiace molto, era una donna gentile che da anni la domenica faceva colazione da noi, si sedeva al tavolo, consumava, dava la mancia e usciva. Ma perchè chiudere il bar? Aspettavo per pranzo 100 turisti in arrivo da Milano ed il locale era pieno di gente. Io devo pensare al locale, a pagare i dipendenti, e poi forse la signora avrebbe preferito questa riservatezza.

Vi prego, qualcuno mi dica che la titolare non ha DAVVERO dato questa risposta. Vi scongiuro.
Sì, sta arrivando la fine del mondo, non c'è altra spiegazione.
 
Dopo aver letto questa notizia, mi sarebbe piaciuto avere la facilità di penna degli scrittori del concorso per magnificare le qualità di Sergio Bonelli.
Ieri è morto il decano dei fumettisti italiani. Oltre ad essere figlio di cotanto padre, quel Gianluigi creatore di Tex/Aquila della notte, è stato editore della maggior casa editrice di fumetti italiana, nonché autore sotto lo pseudonimo di Guido Nolitta della creazione di Zagor e di uno dei più bei fumetti di tutti i tempi Mister No.
Grazie Sergio

Prendo in prestito le parole di Andrea Scanzi (dal suo blog):

Giuda ballerino,
è scomparso Bonelli
“Non torneranno più le merendine di quando ero bambino, i pomeriggi di maggio… le merendine con pane e cioccolata”. Lo ripeteva ossessivamente Nanni Moretti in Palombella Rossa, rimpiangendo le (apparenti) piccole cose del tempo che fu. La scomparsa di Sergio Bonelli ha suscitato reazioni analoghe. Nei blog, nei social network, ovunque. Il cordoglio è unanime, partecipe, commosso. Si avverte la sensazione di un’epoca irrimediabilmente conclusa.

La morte dell’editore di Tex e del padre di Zagor (con lo pseudonimo di Guido Nolitta), sancisce una sorta di addio alle armi trasversalmente condiviso. L’era – adolescenza, ma non necessariamente - in cui ci si affezionava alle avventure mensili di chi viveva immerso in mondi lontani. Ora il west, ora una Londra da incubo, ora una New York misterica.

Molti, adesso, rilanciano il dibattito vetusto se il fumetto sia o no arte. E’ una domanda capziosa e sterile, come quella (analoga) sul cantautorato. E’ arte, è poesia? Risposte che i lettori di Bonelli hanno sempre conosciuto. Certi albi di Tex erano capolavori. E così Martin Mystère, e Dylan Dog, e Mister No, e Nathan Never (ma sì, al limite anche Nick Raider e perfino Dampyr).

Bonelli, con i suoi autori e disegnatori, ha fabbricato mondi altri. Universi così illogici e distanti da apparire credibilissimi. Eroi e antieroi, accomunati da slancio utopico, lieto fine (non sempre) ed esclamazioni improponibili: Tizzone d’inferno, Per tutti i tamburi di Darkwood, Per mille scalpi, Carramba Y Carambita, Giuda ballerino, Mgggghhm (Java, il neanderthaliano). E poi il ciuffo bianco di Nathan Never, uno che non ha praticamente mai riso in vita sua (e ci credo, considerati la vita che conduce e il passato che si ritrova).

Sergio Bonelli ha generato appartenenza. I migliori fumetti seriali italiani, Lazarus Ledd a parte, erano tutti suoi. Se fate un sondaggio sugli attuali trenta/quarantenni, una percentuale incredibilmente alta vi dirà che ha pianto leggendo Johnny Freak. C’è chi custodisce gelosamente la copia originale de La mano rossa e chi ricorda con affetto il primo disco di Ligabue unicamente per la citazione di Zagor Te-Nay (in Freddo cane in questa palude).

Bonelli, degno figlio di cotanto padre (Gian Luigi), è stato Indagatore dell’Incubo e Aquila della Notte. Poliziotto contrastato e Detective dell’Impossibile. I suoi albi erano parentesi attese, camere di compensazione: approdi fantasticamente reali.

Grazie, Sergio. Per ogni cosa che è stata e non può evaporare.
 
Treno, ho con me Cecità, Elogio dell'imbecille e tre giornali. Ne compro al massimo uno, ma mentre ero in fila per pagare "Repubblica", leggo il titolo di un giornale che non compro mai Il Tempo, in prima pagina, titolo principale: "La secessione del Sud", lo compro. L'articolo cita un rapporto Svimez che informa che nel Meridione un giovane su tre (18 -34 anni) è senza lavoro. Bella forza mi dico, ci voleva "Il Tempo" per dirmelo. L'editoriale di tal Giacalone è già più interessante e parla della barzelletta leghista del secessionismo e del pericolo molto più concreto che il Sud vada per i fatti suoi. Tutti gli economisti sono concordi nel ritenere incocepibile che l'Italia sia stata fatta sviluppare solo a metà, e che quello che appare una palla al piede (il Sud) è l'unica vera salvezza dell'Italia. Investire in grandi opere al Sud, ma seriamente e non con le barzellette del Ponte e della Salerno - Reggio Calabria, ma con un'autostrada seria, una statale Jonica che unisca invece di dividere, Alta capacità da Napoli a Bari, treni in Sicilia e nelle zone interne, debellare la criminalità (si dovrebbe partire dal Parlamento lo so, ma dopo Romano ho perso ogni speranza); se si facesse tutto questo, l'Italia (parola di economisti, non mia) crescerebbe molto al di sopra della media europea. Invece no, la manovra in due tempi del Governo va a massacrare le ultime speranze di un Sud sempre più in agonia. Non l'ho letto su Repubblica, ma con mia somma meraviglia, su un giornale "governativo" Il Tempo.

"L’unica ricetta per fa ripartire
il nostro Mezzogiorno, secondo
lo Svimez, è quello di provare a
realizzare «grandi infrastrutture
di trasporti, per colmare i deficit
infrastrutturali dello sviluppo lo-
gistico, potenziando i nodi di
scambio e intermodali e le inizia-
tive di sviluppo produttivo colle-
gate, per sfruttare le potenzialità
del Mezzogiorno nel Mediterra-
neo». Gli investimenti dovrebbe-
ro ammontare a 60,7 miliardi e
oltre ai 18 miliardi già disponibi-
li sarebbero necessari altri 42,3
miliardi, da dedicare al potenzia-
mento dell'Autostrada Salerno-
Reggio Calabria e della Statale
«Jonica», alla realizzazione di
nuove tratte interne alla Sicilia,
all'estensione dell'Alta Capacità
(se non dell'Alta Velocità) nel
tratto ferroviario Salerno-Reggio
Calabria-Palermo-Catania e il
nuovo asse ferroviario Napoli-
Bari, e il Ponte sullo Stretto. Inol-
tre Svimez invita a puntare sulla
produzione di energia da fonti
rinnovabili (già oggi il 98% dell'
energia eolica viene prodotta
nel Mezzogiorno) e sulla geoter-
mia. " da Il Tempo del 28 settembre


Poi leggo Repubblica e mi arriva un altro pugno nello stomaco. Anche in questo caso non era necessario il giornale per farmi scoprire qualcosa che già sapevo e vivo quotidianamente sul tessuto sociale del mio borgo:
"Svimez: tsunami demografico al Sud
Entro 40 anni 2 milioni di giovani in meno”.



Nel Sud la natalità è più bassa
rispetto al resto del Paese e le opportunità
offerte sono poca cosa,
non attirano gli stranieri e
non trattengono i giovani che
dunque decidono di andarsene.
Il risultato è che nei prossimi
venti anni il Meridione perderà
quasi un giovane su quattro, nel
2050 gli under trenta passeranno
dagli attuali 7 milioni a meno di 5
e la quota di ultra 75enni arriverà
al 18,4 per cento (ora è all’8,3).


Eran trecento, eran giovani e forti e sono invecchiati​
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
E' sempre molto interessante leggere le notizie che riporti e i tuoi ottimi commenti.Grazie!
Non sapevo della morte di Bonelli,io leggevo Dylan Dog e qualche volta anche Martin Mystere (lo leggeva il mio compagno).
 
Può piacere o non piacere Travaglio,ma provate a leggere questo articolo.

Ma l’ovetto no
di Marco Travaglio
Sicilia. Bartolo è un giovane di 23 anni e fa il pescatore a Sant’Agata di Militello, provincia di Messina. L’altro giorno è stato arrestato dai carabinieri perché “colto in flagrante” mentre prelevava sette pietre dal lungomare e le caricava su un furgone per fissare le sue reti da pesca sul fondale marino. Tradotto in caserma, vi ha trascorso la notte, in attesa del processo per direttissima. Il giorno prima la Camera negava l’autorizzazione all’arresto dell’on. Marco Milanese per rivelazione di segreti, corruzione e associazione per delinquere. Qualche giorno dopo, a Taranto, si apriva il processo a Donato, un ragazzo di 20 anni, imputato per il furto di un ovetto Kinder in un chiosco di dolciumi e per le ingiurie rivolte al venditore. Prelevato dai carabinieri e interrogato alle 2 di notte, Donato è finito sotto processo perché il venditore pretendeva 1.600 euro per chiudere la faccenda. Il giorno prima, la Camera respingeva la mozione di sfiducia contro l’on. Saverio Romano, imputato per mafia, che dunque rimane ministro. Domenica abbiamo raccontato la storia del giovane etiope rinviato a giudizio per aver colto qualche fiore di oleandro in un parco di Roma. Ieri, sul Corriere, Luigi Ferrarella ricordava altri tragicomici precedenti. Il processo a Milano contro un tizio imputato di truffa per aver scroccato una telefonata da 0,28 euro. E quello contro due malviventi sorpresi a fare da palo a una terribile banda dedita al furto di alcuni sacchi della spazzatura in una bocciofila. Ma anche i 169 ricorsi presentati in Cassazione da altrettanti utenti Enel (avanguardie di un esercito di 60 mila persone) che chiedono un risarcimento di 1 euro a testa. Basta raffrontare l’entità dei reati con i costi del processo (indagini della polizia giudiziaria e del pm, un giudice per la convalida del fermo, un gup per l’udienza preliminare, uno o tre giudici più un pm per il primo grado, tre giudici più un pg per l’appello, cinque giudici più un pg più un cancelliere per la Cassazione, con l’aggiunta di cancellieri ed eventuali periti) per rabbrividire. O per sbertucciare la magistratura, che obbedisce semplicemente a leggi sempre più folli o infami. Gli unici colpevoli sono i politici che hanno governato l’Italia in questi 17 anni: cioè tutti. Questa giustizia impazzita l’han costruita loro con le loro manine sporche e/o incapaci. Anziché dare risposte serie alla domanda di giustizia in continuo aumento, che non trova sbocco se non in tribunale, depenalizzando i reati minori e creando un sistema serio di sanzioni amministrative, hanno seguitato a inventarsi una caterva di reati inesistenti (come l’immigrazione clandestina) per solleticare la pancia degli elettori più beceri e decerebrati e per allattare un termitaio di avvocati (230 mila contro i 20 mila del Giappone che ha il doppio della popolazione italiana: ha più avvocati la città di Roma dell’intera Francia). E intanto depenalizzavano, di diritto o di fatto, i reati dei potenti, cancellandoli o rendendoli impossibili da scoprire e processare. Eppure, sui giornali e in tv, si continua a dipingere una giustizia che trascura “i veri criminali” per colpire i reati dei politici (ovviamente inventati). Ora Napolitano ricorda che “in passato un leader separatista fu arrestato”. Non sappiamo se si riferisca anche ai leghisti a suo tempo imputati a Verona per le camicie verdi (e armate) della “Guardia nazionale padana”. Il processo s’è estinto perché l’anno scorso – come denunciò il Fatto nel silenzio generale, anche del Quirinale – il ministro Calderoli depenalizzò il reato di “associazione militare a scopo politico” con un codicillo nascosto in un decreto omnibus. Da allora, per mandare in fumo un processo che all’inizio vedeva imputati anche i ministri Bossi, Maroni e naturalmente Calderoli, chi fonda bande paramilitari fuorilegge non commette reato. Chi invece ruba un fiore, o una pietra, o un ovetto per te, è un delinquente. Ma solo perché nessun ministro ha ancora rubato fiori, pietre e ovetti. Non resta che aspettare, fiduciosi.
 
Del perché il Nobel è diventato una grossa boiata.

Kissinger gola profonda: “Felice del golpe in Cile”
di Barbara Schiavulli
Rappresenta un pezzo di storia del XX Secolo. Sicuramente buona parte di quella americana. Nato in Germania, figlio di ebrei sfuggiti al nazismo, è riuscito a influenzare la politica degli Stati Uniti tra gli anni Sessanta e i Settanta. Ancora se ne sente e parlare, nel male e nel bene. Henry Kissinger prima consigliere per la Sicurezza Nazionale, poi Segretario di Stato durante le presidenze di Nixon e Ford, è un uomo che ha preso decisioni. Ma non ha mai chiesto scusa per le conseguenze. E non lo fa neanche ora nella sua ultima intervista a Niall Ferguson, uno storico dell’Università di Harvard che lo incalza su quello che resta di un passato per molti ancora sconosciuto. Andata in onda sul canale del National Geography, nell’intervista il quasi novantenne Kissinger farà pensare a quanto era piccolo il mondo nelle mani di pochi uomini che facevano quello che volevano. Lui era uno di loro. Ora però può parlare senza troppi problemi di quello che è stato, il pianeta in fondo è cambiato, la Guerra Fredda non è più nelle agende degli Stati e la Russia non è più il nemico. Con la Cina si fanno affari e al Sud America è permesso di scegliere il governo che vuole. Certo non grazie a lui che sostenne l’operazione Condor, un piano della Cia per far cadere gli Stati filo russi e instaurare dittature militari. Il contributo dei servizi era di far sparire o uccidere dissidenti, politici, intellettuali che potessero essere di ostacolo. “Non ci dispiacque, a me e Nixon quando ci fu il golpe in Cile”, ammette Kissinger che sostenne il generale Pinochet, che strappò il potere ad Allende nell’11 settembre della Storia, quello del 1973, anno in cui Kissinger ottenne il premio Nobel per la Pace insieme al membro del parlamento nord vietnamita Le Duc Tho (che però non lo accetterà) per aver avviato i negoziati con il “peggior nemico” e che si concluse con la sconfitta americana e la fine di un sanguinoso conflitto. “Ero giunto alla conclusione che era impossibile vincere militarmente e quindi favorii i negoziati”. Ma aggiunge: “Sono pienamente convinto che il Vietnam del Sud non doveva cadere. La colpa è nostra”. Non era un uomo di pace, era uno capace di adattarsi alle situazione e sicuramente aveva una visione eccezionale di quello che era il mondo. “L’America non ha amici o nemici permanenti. Ha solo interessi”. La pace contava se portava stabilità all’America. Poco dopo sostenne il bombardamento segreto della Cambogia, 40 mila vittime tra nemici e civili, e neanche un senso di colpa.

“I NORD-VIETNAMITI avevano lanciato una serie di attacchi contro le nostre truppe, uccidendo in una sola settimana quattrocento soldati. Molte di queste aggressioni provenivano da basi che avevano costruito in territorio cambogiano. Tormentato dai dubbi, Nixon autorizzò l’attacco. Fu la decisione giusta da prendere e non me ne pento affatto, perché penso che Nixon avesse ragione”. Lui e Nixon con i loro rapporti amichevoli e intimi, tanto che fece imbufalire il presidente quando confidò che lui aveva chiamato Indira Gandhi “strega e mignotta” (si scusò poi per la rivelazione). Il Watergate, che portò alle dimissioni di Nixon: “Era riuscito a distruggersi da solo, con le proprie azioni. E lo sapeva bene. Prima di andare, mi chiese di inginocchiarmi e di pregare insieme. Data la solennità dell’occasione e il destino spietato, non ci trovai niente di strano. Che altro c’era da fare? È stato uno dei momenti più commoventi della mia vita”. Kissinger, Mao e i viaggi segreti in Cina, lui e Castro con la crisi cubana, lui e una politica che si sgretola sotto i suoi occhi, e dove cambiano le priorità e gli interessi. Ma Kissinger non ha mai lasciato la politica, la Casa Bianca, la sua voglia di influenzare o di essere parte degli eventi non si è assopita con il passare degli anni. “Il potere è il più potente degli afrodisiaci”. Potere che ha tremato quando ha incontrato Oriana Fallaci (1972), “Il peggior incontro con la stampa della mia vita”, ha detto Kissinger. Lui si definì “condottiero”, lei scrisse “cowboy” e la stampa americana che riprese l’intervista lo massacrò. Ogni controversia sembrava lo riguardasse, che avesse a che fare con l’Africa o con Israele. Ma infondo poi niente è cambiato, lui ha continuato a lavorare nelle retrovie della politica continuando a influenzare con la visione del suo mondo, anche ora appoggiando la ancora non annunciata candidatura alla presidenza del governatore del New Jersey, Chris Christie : “Non ci può essere una crisi la prossima settimana, la mia agenda è già piena”, disse il primo giugno del 1969. Ed era solo l’inizio.
 
qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno sempre insieme

Se Steve fosse nato in provincia di Napoli
8 ottobre 2011 antonio menna

Steve Jobs è cresciuto a Mountain View, nella contea di Santa Clara, in California. Qui, con il suo amico Steve Wozniak, fonda la Apple Computer, il primo aprile del 1976. Per finanziarsi, Jobs vende il suo pulmino Volkswagen, e Wozniak la propria calcolatrice. La prima sede della nuova società fu il garage dei genitori: qui lavorarono al loro primo computer, l’Apple I. Ne vendono qualcuno, sulla carta, solo sulla base dell’idea, ai membri dell’Homebrew Computer Club. Con l’impegno d’acquisto, ottengono credito dai fornitori e assemblano i computer, che consegnano in tempo. Successivamente portano l’idea ad un industriale, Mike Markkula, che versa, senza garanzie, nelle casse della società la somma di 250.000 dollari, ottenendo in cambio un terzo di Apple. Con quei soldi Jobs e Wozniak lanciano il prodotto. Le vendite toccano il milione di dollari. Quattro anni dopo, la Apple si quota in Borsa.

Mettiamo che Steve Jobs sia nato in provincia di Napoli. Si chiama Stefano Lavori. Non va all’università, è uno smanettone. Ha un amico che si chiama Stefano Vozzini. Sono due appassionati di tecnologia, qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno sempre insieme. I due hanno una idea. Un computer innovativo. Ma non hanno i soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. Si mettono nel garage e pensano a come fare. Stefano Lavori dice: proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con quegli ordini compriamo i pezzi.

Mettono un annuncio, attaccano i volantini, cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “volete sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a novanta giorni”. “Veramente non ce l’abbiamo ancora, avremmo bisogno di un vostro ordine scritto”. Gli fanno un ordine su carta non intestata. Non si può mai sapere. Con quell’ordine, i due vanno a comprare i pezzi, voglio darli come garanzia per avere credito. I negozianti li buttano fuori. “Senza soldi non si cantano messe”. Che fare? Vendiamoci il motorino. Con quei soldi riescono ad assemblare il primo computer, fanno una sola consegna, guadagnano qualcosa. Ne fanno un altro. La cosa sembra andare.

Ma per decollare ci vuole un capitale maggiore. “Chiediamo un prestito”. Vanno in banca. “Mandatemi i vostri genitori, non facciamo credito a chi non ha niente”, gli dice il direttore della filiale. I due tornano nel garage. Come fare? Mentre ci pensano bussano alla porta. Sono i vigili urbani. “Ci hanno detto che qui state facendo un’attività commerciale. Possiamo vedere i documenti?”. “Che documenti? Stiamo solo sperimentando”. “Ci risulta che avete venduto dei computer”.

I vigili sono stati chiamati da un negozio che sta di fronte. I ragazzi non hanno documenti, il garage non è a norma, non c’è impianto elettrico salvavita, non ci sono bagni, l’attività non ha partita Iva. Il verbale è salato. Ma se tirano fuori qualche soldo di mazzetta, si appara tutto. Gli danno il primo guadagno e apparano.

Ma il giorno dopo arriva la Finanza. Devono apparare pure la Finanza. E poi l’ispettorato del Lavoro. E l’ufficio Igiene. Il gruzzolo iniziale è volato via. Se ne sono andati i primi guadagni. Intanto l’idea sta lì. I primi acquirenti chiamano entusiasti, il computer va alla grande. Bisogna farne altri, a qualunque costo. Ma dove prendere i soldi?

Ci sono i fondi europei, gli incentivi all’autoimpresa. C’è un commercialista a Napoli che sa fare benissimo queste pratiche. “State a posto, avete una idea bellissima. Sicuro possiamo avere un finanziamento a fondo perduto almeno di 100mila euro”. I due ragazzi pensano che è fatta. “Ma i soldi vi arrivano a rendicontazione, dovete prima sostenere le spese. Attrezzate il laboratorio, partire con le attività, e poi avrete i rimborsi. E comunque solo per fare la domanda dobbiamo aprire la partita Iva, registrare lo statuto dal notaio, aprire le posizioni previdenziali, aprire una pratica dal fiscalista, i libri contabili da vidimare, un conto corrente bancario, che a voi non aprono, lo dovete intestare a un vostro genitore. Mettetelo in società con voi. Poi qualcosa per la pratica, il mio onorario. E poi ci vuole qualcosa di soldi per oliare il meccanismo alla regione. C’è un amico a cui dobbiamo fare un regalo sennò il finanziamento ve lo scordate”. “Ma noi questi soldi non ce li abbiamo”. “Nemmeno qualcosa per la pratica? E dove vi avviate?”.

I due ragazzi decidono di chiedere aiuto ai genitori. Vendono l’altro motorino, una collezione di fumetti. Mettono insieme qualcosa. Fanno i documenti, hanno partita iva, posizione Inps, libri contabili, conto corrente bancario. Sono una società. Hanno costi fissi. Il commercialista da pagare. La sede sociale è nel garage, non è a norma, se arrivano di nuovo i vigili, o la finanza, o l’Inps, o l’ispettorato del lavoro, o l’ufficio tecnico del Comune, o i vigili sanitari, sono altri soldi. Evitano di mettere l’insegna fuori della porta per non dare nell’occhio. All’interno del garage lavorano duro: assemblano i computer con pezzi di fortuna, un po’ comprati usati un po’ a credito. Fanno dieci computer nuovi, riescono a venderli. La cosa sembra poter andare.

Ma un giorno bussano al garage. E’ la camorra. Sappiamo che state guadagnando, dovete fare un regalo ai ragazzi che stanno in galera. “Come sarebbe?”. “Pagate, è meglio per voi”.

Se pagano, finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare in aria il garage. Se vanno alla polizia e li denunciano, se ne devono solo andare perchè hanno finito di campare. Se non li denunciano e scoprono la cosa, vanno in galera pure loro.

Pagano. Ma non hanno più i soldi per continuare le attività. Il finanziamento dalla Regione non arriva, i libri contabili costano, bisogna versare l’Iva, pagare le tasse su quello che hanno venduto, il commercialista preme, i pezzi sono finiti, assemblare computer in questo modo diventa impossibile, il padre di Stefano Lavori lo prende da parte e gli dice “guagliò, libera questo garage, ci fittiamo i posti auto, che è meglio”.

I due ragazzi si guardano e decidono di chiudere il loro sogno nel cassetto. Diventano garagisti.

La Apple in provincia di Napoli non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più.
 

mame

The Fool on the Hill
Se Steve fosse nato in provincia di Napoli
8 ottobre 2011 antonio menna

Steve Jobs è cresciuto a Mountain View, nella contea di Santa Clara, in California. Qui, con il suo amico Steve Wozniak, fonda la Apple Computer, il primo aprile del 1976. Per finanziarsi, Jobs vende il suo pulmino Volkswagen, e Wozniak la propria calcolatrice. La prima sede della nuova società fu il garage dei genitori: qui lavorarono al loro primo computer, l’Apple I. Ne vendono qualcuno, sulla carta, solo sulla base dell’idea, ai membri dell’Homebrew Computer Club. Con l’impegno d’acquisto, ottengono credito dai fornitori e assemblano i computer, che consegnano in tempo. Successivamente portano l’idea ad un industriale, Mike Markkula, che versa, senza garanzie, nelle casse della società la somma di 250.000 dollari, ottenendo in cambio un terzo di Apple. Con quei soldi Jobs e Wozniak lanciano il prodotto. Le vendite toccano il milione di dollari. Quattro anni dopo, la Apple si quota in Borsa.

Mettiamo che Steve Jobs sia nato in provincia di Napoli. Si chiama Stefano Lavori. Non va all’università, è uno smanettone. Ha un amico che si chiama Stefano Vozzini. Sono due appassionati di tecnologia, qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno sempre insieme. I due hanno una idea. Un computer innovativo. Ma non hanno i soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. Si mettono nel garage e pensano a come fare. Stefano Lavori dice: proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con quegli ordini compriamo i pezzi.

Mettono un annuncio, attaccano i volantini, cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “volete sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a novanta giorni”. “Veramente non ce l’abbiamo ancora, avremmo bisogno di un vostro ordine scritto”. Gli fanno un ordine su carta non intestata. Non si può mai sapere. Con quell’ordine, i due vanno a comprare i pezzi, voglio darli come garanzia per avere credito. I negozianti li buttano fuori. “Senza soldi non si cantano messe”. Che fare? Vendiamoci il motorino. Con quei soldi riescono ad assemblare il primo computer, fanno una sola consegna, guadagnano qualcosa. Ne fanno un altro. La cosa sembra andare.

Ma per decollare ci vuole un capitale maggiore. “Chiediamo un prestito”. Vanno in banca. “Mandatemi i vostri genitori, non facciamo credito a chi non ha niente”, gli dice il direttore della filiale. I due tornano nel garage. Come fare? Mentre ci pensano bussano alla porta. Sono i vigili urbani. “Ci hanno detto che qui state facendo un’attività commerciale. Possiamo vedere i documenti?”. “Che documenti? Stiamo solo sperimentando”. “Ci risulta che avete venduto dei computer”.

I vigili sono stati chiamati da un negozio che sta di fronte. I ragazzi non hanno documenti, il garage non è a norma, non c’è impianto elettrico salvavita, non ci sono bagni, l’attività non ha partita Iva. Il verbale è salato. Ma se tirano fuori qualche soldo di mazzetta, si appara tutto. Gli danno il primo guadagno e apparano.

Ma il giorno dopo arriva la Finanza. Devono apparare pure la Finanza. E poi l’ispettorato del Lavoro. E l’ufficio Igiene. Il gruzzolo iniziale è volato via. Se ne sono andati i primi guadagni. Intanto l’idea sta lì. I primi acquirenti chiamano entusiasti, il computer va alla grande. Bisogna farne altri, a qualunque costo. Ma dove prendere i soldi?

Ci sono i fondi europei, gli incentivi all’autoimpresa. C’è un commercialista a Napoli che sa fare benissimo queste pratiche. “State a posto, avete una idea bellissima. Sicuro possiamo avere un finanziamento a fondo perduto almeno di 100mila euro”. I due ragazzi pensano che è fatta. “Ma i soldi vi arrivano a rendicontazione, dovete prima sostenere le spese. Attrezzate il laboratorio, partire con le attività, e poi avrete i rimborsi. E comunque solo per fare la domanda dobbiamo aprire la partita Iva, registrare lo statuto dal notaio, aprire le posizioni previdenziali, aprire una pratica dal fiscalista, i libri contabili da vidimare, un conto corrente bancario, che a voi non aprono, lo dovete intestare a un vostro genitore. Mettetelo in società con voi. Poi qualcosa per la pratica, il mio onorario. E poi ci vuole qualcosa di soldi per oliare il meccanismo alla regione. C’è un amico a cui dobbiamo fare un regalo sennò il finanziamento ve lo scordate”. “Ma noi questi soldi non ce li abbiamo”. “Nemmeno qualcosa per la pratica? E dove vi avviate?”.

I due ragazzi decidono di chiedere aiuto ai genitori. Vendono l’altro motorino, una collezione di fumetti. Mettono insieme qualcosa. Fanno i documenti, hanno partita iva, posizione Inps, libri contabili, conto corrente bancario. Sono una società. Hanno costi fissi. Il commercialista da pagare. La sede sociale è nel garage, non è a norma, se arrivano di nuovo i vigili, o la finanza, o l’Inps, o l’ispettorato del lavoro, o l’ufficio tecnico del Comune, o i vigili sanitari, sono altri soldi. Evitano di mettere l’insegna fuori della porta per non dare nell’occhio. All’interno del garage lavorano duro: assemblano i computer con pezzi di fortuna, un po’ comprati usati un po’ a credito. Fanno dieci computer nuovi, riescono a venderli. La cosa sembra poter andare.

Ma un giorno bussano al garage. E’ la camorra. Sappiamo che state guadagnando, dovete fare un regalo ai ragazzi che stanno in galera. “Come sarebbe?”. “Pagate, è meglio per voi”.

Se pagano, finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare in aria il garage. Se vanno alla polizia e li denunciano, se ne devono solo andare perchè hanno finito di campare. Se non li denunciano e scoprono la cosa, vanno in galera pure loro.

Pagano. Ma non hanno più i soldi per continuare le attività. Il finanziamento dalla Regione non arriva, i libri contabili costano, bisogna versare l’Iva, pagare le tasse su quello che hanno venduto, il commercialista preme, i pezzi sono finiti, assemblare computer in questo modo diventa impossibile, il padre di Stefano Lavori lo prende da parte e gli dice “guagliò, libera questo garage, ci fittiamo i posti auto, che è meglio”.

I due ragazzi si guardano e decidono di chiudere il loro sogno nel cassetto. Diventano garagisti.

La Apple in provincia di Napoli non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più.

O molto semplicemente sarebbero emigrati........ :D
 

EgidioN

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(ANSA) - BRUXELLES, 22 OTT - Un programma straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno, che si chiamera' Eurosud e che prevede una revisione strategica dell'uso dei fondi strutturali europei: e' quanto ha presentato il ministro dell'economia Giulio Tremonti al presidente della Commissione Ue Jose' Barroso, nel colloquio telefonico di oggi.


Potrebbe tranquillamente essere una pagina nuova per P.Aprile questa notizia dell'ultim'ora. Nulla che smentisca quanto già detto e scritto, solo conferme.
 
C'è qualcosa nella fine di Gheddafi che non riesco a spiegarmi. Gheddafi era un folle incontrollabile, convinto fino alla fine di riuscire a riprendere il potere. Un macellaio che ha distrutto un paese ricchissimo impiegandoci 40 anni. Un folle che ha fatto una bruttissima fine, vederlo in lacrime e schiaffeggiato, pieno di sangue e seviziato con un bastone, mi ha disturbato. Posso solo pensare che il rais ne ha fatte di peggio ed allora mi autoconvinco, non riuscendoci, che quella era la fine che meritava.
Quello che non sono riuscito a spiegarmi è stata l'abnegazione di alcuni suoi figli. Ho visto le immagini di Moutassim che fumava prigioniero l'ultima sigaretta. Quel Moutassim che fino a qualche mese prima veleggiava sui suoi yacht insieme alla Chillemi ed a donne bellissime. Quel Moutassim che insieme ai fratelli ed al padre hanno saccheggiato la Libia di una cifra che si aggira per difetto, intorno ai 100 mlr di euro, se pensate che Bill Gates non arriva a 50 mlr avrete un'idea della fortuna colossale che costoro potevano andare a spendere nel mondo.
Mi ha colpito la dignità prima di morire di questo ragazzo. Poteva piangere, imprecare, pregare. Ha atteso la morte fumando, come da romanzo, un'ultima sigaretta. Saif al Islam e Saif al Arab, Mohammed e Khamis, potevano scegliere un esilio dorato, invece hanno combattuto fino alla fine insieme al padre. Un po' come il nostro re Vittorio Emanuele (coniglio) III, al primo minicicciolo su Roma, via, è scappato a Brindisi.

Non mi dispiace per Gheddafi, era diventato una macchietta, mi ha lasciato perplesso l'abnegazione dei figli.
 
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