Intanto, cosa potrebbero dirci d'interessante?
Grazie per avermelo chiesto. Se, come credo, a parlare debbono essere gli spiriti, in altre parole il trascendente e ciò che i nostri sensi non riescono a raggiungere, Ti rispondo con le parole di un personaggio del mio romanzo: la veggente interpellata da Carlotta Campo.
DA "Tracce invisibili di universi paralleli".
Alle 17:00 lasciò l’ufficio. Lesse l’ora sul campanile dell’Annunziata e raggiunse il palazzo signorile Vecchia Torino, che ricordava, in meno di dieci minuti. Entrò nell’ascensore alla sua sinistra e nonostante l’ansia sorrise: era molto simile a una gabbia per uccelli preziosi. Pigiò il tasto del secondo piano e subito fissò lo sguardo su un particolare ornamento in ferro battuto nel tentativo di fermare la sua anima, che sentiva fra¬gile come la chiglia di una barca percossa furiosamente dallo sciabordare dell’acqua.
Ad accoglierla venne la sorella di Francesca: una donna differente da lei, zitella solo all’anagrafe. Ancor prima del saluto di prammatica sorrise: “Ma certo, la nuora di madama Rota”.
Un paio d’anni prima, le sorelle Goggi erano state ospiti dei Rota a Borgio Verezzi. Carlotta non ricordava quale fosse l’occasione, ma solo che, prima dell’arrivo delle sorelle, Villa Eleonora era stata tirata a lucido. Sua suocera aveva quasi supplicato il giardiniere di mettere in ordine l’agrifoglio per evita¬re che invadesse gran parte della scala di pietra, usurpando lo spazio destinato alle bouganville. Avrebbero preso l’aperitivo fuori, prima di raggiungere a piedi quel ristorante di Verezzi tanto famoso per il pesce.
Tra Carlotta e sua figlia passò una muta intesa, carica di iro¬nia, quando un paio d’ore dopo videro tota Francesca prende¬re dal carrello due porzioni abbondanti di tiramisù; la veggen¬te avrebbe gradito anche il limoncello dopo.
Ora riconosceva la stanza; non era cambiato nulla in vent’an¬ni: ecco il ritratto dello spirito-guida incorniciato da argento filigranato, ecco la poltroncina con l’imbottitura rivestita di velluto turchese e i braccioli in legno dove sedeva l’ospite. Il medesimo profumo di allora l’aveva piacevolmente som¬mersa all’apertura dello studiolo della veggente: dolce ma non stucchevole, discreto ma al tempo stesso tenace; un’essenza di gelsomino, la medesima che, dicono, accompagni i fenomeni paranormali: un trucchetto studiato ad Hoc?
Un abbraccio, poi i soliti convenevoli: «Come stanno tutti? Me li saluti? Per favore».
Gli occhi della sensitiva erano liquidi, profondi tanto da suscitare il desiderio di penetrarli e, al tempo stesso, la pau¬ra di cadere nella voragine che celavano a stento. O era solo suggestione? No, quegli occhi non mentivano, non potevano appartenere a una comune mortale.
«Francesca non si fa mai pagare», diceva sempre Nora.
«E come vive?».
«Dà lezioni, non so di che cosa, ai ragazzi del Segré in parti¬colare e, tutte le volte che qualcosa va a buon fine, i suoi – non so bene come chiamarli – clienti, devoti, insomma tutti coloro che la interrogano, le fanno una donazione. Sì, le fanno un la-scito, un’offerta, e corre voce che sia sempre parecchio gene¬rosa; ma lei devolve tutto a una fondazione, non ho mai capito bene quale sia, ha un nome strano. Quello che so è che sono in tanti a stimarla e che alcuni, capitani d’azienda, ispettori di polizia, professionisti, la mandano a prendere dall’autista con una vettura per poi riportarla a casa a operazione conclusa. E lei si adopera, spesso con successo. L’ultimo caso è stato quel¬lo del ritrovamento di un tesoro, una grossa somma scomparsa e ritrovata al monte di Cappuccini; hanno mandato l’avviso di garanzia a uno che non c’entrava niente; all’inizio si parlava di tangente, sai Mani pulite? Ed è proprio grazie a Francesca che quel pover’uomo ha potuto scagionarsi. Tu eri diventata mamma l’anno prima e Antonio stava discutendo la tesi, nel ’73 appunto».
«Allora cara, qual è il problema?», chiese Francesca Goggi non appena ebbe fatto sedere la sua ospite.
Carlotta, che non vedeva l’ora di togliersi, metaforicamente parlando, quel gran sasso dalla scarpa, cominciò proprio dalla figlia e da come, secondo lei, l’avesse ingiustamente coinvolta nella strana storia che da alcuni mesi stava vivendo: «Temo di sbagliare nel confidarmi», disse.
Dire che la risposta della sensitiva la sorprese non è ancora abbastanza: «Non dire così Carlotta: non sei tu a coinvolgerla. Vedi, sono le tracce».
“Quali tracce? Di che cosa sta parlando?” pensò Carlotta
e ce l’aveva scritto in faccia, tanto che Francesca non aveva potuto fare a meno di sorridere: «Capisco che il linguaggio da addetti ai lavori, che mi sono permessa di utilizzare, ti crei dei problemi e mi scuso per questo, ma tu prova a seguirmi adesso: dunque, nella mappa fatale c’è qualcosa che ci avvolge tutti, e che di conseguenza avvolge te e la tua signorinella, unendo in qualche modo anche le vostre azioni, rendendole coerenti. Tu non saresti qui se non fosse stata lei a suggerir¬telo, è vero?».
Come faceva a saperlo? O tirava a indovinare?
La veggente, che aveva assunto un’espressione birichina nel rivolgersi al signore baffuto del ritratto, disse: «Non pensare che me l’abbia detto lui quel che so. Perché vedi, tutto quel che succede è l’energia non solo a produrlo, ma anche a tra¬sformarlo in “atto” alla fine».
Magnifico, ora che l’aveva seguita aveva capito meno di prima!
«Mi scusi Francesca, ma cosa vuol farmi credere? Forse che quella che lei chiama “energia” fa il lavoro delle api, voglio dire che porta da una testa all’altra le informazioni che ci ri¬guardano, così come le api il polline, anche quelle cose che proprio non vorremmo trasferire?».
«Non proprio cara, anche se ci sei andata vicino. È ciascuno dei nostri atti a legarsi a quelli degli altri e, come dire, ai loro momenti. Sono quelle istanze che il linguaggio ordinario chiama coincidenze. Questo è il trascendente; è per questo che nella testa di un altro, come la chiami tu, troviamo proprio le risposte che ci servono».
«Scusi signora, aspetti un attimo, perché mi sono persa».
Qualcuno bussò e Carlotta vide entrare una giovane sconosciuta dalla pelle olivastra che lasciò un vassoio sulla consolle barocca presso l’uscio.
«Ti ho fatto preparare una tisana alla verbena; Nora mi dice che ti piacciono tanto le tisane. Mi fai il piacere di berla, Car¬lotta?».
Carlotta vide Francesca alzarsi con una certa fatica. Il ricordo che aveva di lei si contrappose a quell’immagine di una donna che aveva passato la mezza età e che certamente si muoveva troppo poco.
«Vedi, il “trascendente”, che ci comprende tutti, ci imbriglia facendoci pensare che siamo noi a decidere. Infatti noi decidiamo, ma con una logica differente da quella comune, una logica che va oltre le nostre intenzioni. È lei a farti parlare, anche in questo momento, magari di cose che a te sembrano superflue, inutili, ma che non lo sono, credimi».
«Allora dove sta la nostra libertà? Il tanto acclamato libero arbitrio?».
«Ti sembrerà strano, ma l’arbitrio sta proprio in questa forma differente di equità. Sta nel fatto che non possiamo elu¬derla, dobbiamo servircene. Nessuno, se non Lui, l’Altissimo, può farne a meno, perché avvolge tutto. Si identifica con il nome di destino e persino con quello che le differenti religioni chiamano Tao, Brahma, Dio. È un insieme in movimento continuo e perenne. Le sue particelle sono destinate ad accogliere tutto ciò che l’umanità riconosce come azione e parola».