Zingaro di Macondo
The black sheep member
Ci lamentiamo della burocrazia dei giorni nostri, ma Dante per essere salvato deve passare attraverso Virgilio mandato da Beatrice mandata da Lucia mandata da Maria mandata da Dio.
TUNZZZ
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Ci lamentiamo della burocrazia dei giorni nostri, ma Dante per essere salvato deve passare attraverso Virgilio mandato da Beatrice mandata da Lucia mandata da Maria mandata da Dio.
TUNZZZ
Non so proprio da dove iniziare, questo canto è così ricco di spunti e di suggestioni;
prima vorrei solo aggiungere alcune cose ai tuoi commenti:
- In questo canto appare per la prima volta la legge del contrappasso per i peccatori,
- La stretta aderenza di queste pagine dantesche al modello di Virgilio dell’eneide,
- Molti episodi (la porta dell’inferno, lo stato d’animo incerto di Dante, gli ignavi e la loro pena, l' Acheronte e la visione dei dannati, Caronte e le sue parole, i dannati e la maledizione universale e la giustizia di dio, il terremoto e lo svenimento di Dante), sono presenti in questo canto, ma, a detta di alcuni critici, legati tra loro da deboli nessi logico-sintattici.
- Molte scene a campo lungo: le schiere degli ignavi, i dannati che si affollano sulle rive dell’ Acheronte e poi sul traghetto, forse perché gli ignavi non lasciano memoria nel mondo e Dante non vuole mettere in luce nessuno?
Aggiungo due reminiscenze molto personali legate a questo canto:
- So che il legame è un po’ labile, ma tutte le volte che leggo questo canto non posso fare a meno di pensare ai “demoni “ di Dostoevskij, quando uno dei personaggi riferendosi a Stravogin dice che a Dio i tiepidi non piacciono, ed è meglio essere cattivi che neutri.
- Il secondo legame è con la poesia d’ Ungaretti ”si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” con il “Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso dell’altra”
Complimenti a Ziggy e momi.
Questo thread trasuda cultura non ostentata ed è molto ricco.
grazie Mal, molto gentile.
io trasudo, la cultura ce la mette Momi
credo che tra i due sarò io a uscire più arricchito da questo mini gruppo
per favore, parlami dei nessi sintattici e dell aderenza al modello dell Eneide
ps anche a me viene sempre in mente Dostoevskij
...e in quanto a trasudazione...
e in cosa ti fa venire in mente Dosto? questo canto o l'inferno in generale?
credo che tra i due sarò io a uscire più arricchito da questo mini gruppo
per favore, parlami dei nessi sintattici e dell aderenza al modello dell Eneide
ps anche a me viene sempre in mente Dostoevskij
Dante e Virgilio, dopo vari tentennamenti, finalmente entrano nel primo cerchio dell'inferno. Che in realtà potremmo definire una zona "neutra" trattandosi del limbo, dal quale per altro veniva lo stesso Virgilio.
Non sono nè anime dannate nè anime pie, ma al contrario degli ignavi la cui condizione era una conseguenza delle scelte fatte in vita, qui non c'è alcuna scelta, benchè ci sia punizione.
L'unica colpa di queste "persone di mezzo" è quella di essere nati prima di Cristo, di conseguenza non avevano, perchè non potevano, adorare Dio nei termini cristiani.
All'interno di un castello talmente fortificato da sembrare invalicabile, Dante e Virgilio, accompagnati da altri quattro poeti "non cristiani" (Ovidio, Lucano, Orazio e Omero, il padre di tutti) riescono invece ad entrare facilmente.
L'interno è abitato dall'allegra combricola dei filosofi per eccellenza, "i greci". Dante e i suoi amici riescono a entrare, probabilmente grazie al fatto che la loro condizione è del tutto simile a quella degli abitanti del castello. Poeti e filosofi.
Dobbiamo dire che la condizione "media" del limbo non è affatto rilassata, visto che le prime cose che Dante sente, sono lamenti e guaiti strazianti.
Coloro che erano nati prima di Cristo e non avevano avuto la fortuna di essere filosofi, secondo Dante non se la passavano tanto bene. Forse solo un po' meglio degli ignavi, la cui condizione di miseria "esterna" all'inferno è, al momento, insuperata.
Faccio un passo indietro e torno ai canti 1 e 3, per dire che io ho una visione delle metafore dantesche piuttosto allineata con quella classica. Non sono uno che legge la Divina Commedia come se fosse un libro di Nostradamus intriso di visioni alternative e misteriose.
Molte tesi sono state discusse circa il fatto che "colui che fece il gran rifiuto" potesse anche non essere Celestino V. Si è discussso anche di Ponzio Pilato, un altro che in effetti macchiò la propria esistenza di un rifiuto sicuramente non da poco.
In ogni caso, secondo me, non ci sono dubbi sul fatto che sia proprio Celestino V, il riferimento "ingnavo" dell'Inferno. E non ho dubbi nemmeno sul fatto che il veltro fosse la descrizione di un futuro imperatore. Mi pare che tutto si leghi alla perfezione, in modo così indissolubile da sfuggire a qualsiasi visione alternativa.
Dante, alla fine del 1200, era nel consiglio comunale di Firenze schierato dalla parte di coloro che governavano la città, quei Guelfi “bianchi” che non vedevano di buon occhio l’espansionismo papale. E appoggiò in prima persona diverse leggi che ostacolavano proprio il pontefice, che all’epoca dell’attività politica di Dante, era Bonifacio VIII.
Dante era per le cosiddetta “teoria dei due soli”, che in buona sostanza significava che Impero e Papato dovessero avere sfere di influenza distanti. L’Impero, in quegli anni di nascenti monarchie e di confusione generale, era secondo Dante l’istituzione che doveva vegliare sul mondo e fare da unità, proprio una specie di…cane da caccia.
Io credo che la profezia del veltro (canto 1), alla luce del contesto politico e delle vicende personali dell’autore, fosse proprio riferito ad un futuro imperatore capace di scacciare la Chiesa da quei domini terreni che non le competevano. Più che una profezia, credo fosse una vera e propria speranza.
Quando i Guelfi neri, grazie proprio all’appoggio di Bonifacio, entreranno in Firenze, Dante verrà condannato all’esilio per una serie di malefatte che non credo commise, di certo non tutte.
Dante esiliato dalla sua amata Firenze (presso la quale non farà più ritorno) non poteva che avere il dente avvelenato nei confronti di Bonifacio VIII (reo, secondo lui, di simonia, come vedremo più avanti) e di colui che…fece il gran rifiuto, proprio quel Celestino V che, abdicando per ignavia al soglio pontificio, permise al suo “avvocato” di divenire Bonifacio VIII, che rovinerà la vita di Dante Alighieri.
Che se avesse continuato a fare politica, detto per inciso, non avrebbe scritto la Divina Commedia.