166° MG - Inferno (Divina Commedia) di Dante Alighieri

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ci lamentiamo della burocrazia dei giorni nostri, ma Dante per essere salvato deve passare attraverso Virgilio mandato da Beatrice mandata da Lucia mandata da Maria mandata da Dio.

TUNZZZ
 

momi

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Canto III Parafrasi

Ed eccoci qua finalmente alle porte dell'inferno:

«Attraverso me si va nella città che soffre,
attraverso me si va nel dolore senza fine,
3. attraverso me si va tra i dannati.
La Giustizia ha mosso il mio sommo Creatore;
mi hanno creato il Padre,
6. il Figlio e lo Spirito Santo.
Prima di me non fu creato nulla se non
le realtà eterne, e io stessa sono eterna.
9. Lasciate ogni speranza, o voi che entrate».
Queste parole di senso difficile e minaccioso
le vidi scritte sulla parte alta di una porta;
12. perciò [dissi]: «Maestro, il lor significato m’è oscuro».
Egli mi disse, come da esperto:
«Qui è meglio abbandonare ogni paura;
15. ogni pusillanimità dev’essere abbandonata.
Siamo giunti in quel posto dove t’ho detto
che vedrai anime sofferenti che hanno
18. smarrito la verità suprema, cioè Dio».
E dopo che ebbe posto la sua mano sulla mia
con uno sguardo sereno, così che mi confortai,
21. mi fece entrare a quei luoghi segreti.
Qui sospiri, lamenti e alte grida
risuonavano per l’aria senza stelle,
24. e io, che li sentivo per la prima volta, piansi.
Lingue di varie provenienza, accenti sconosciuti,
parole di sofferenza, esclamazioni d’ira,
27. voci alte e basse, con rumori di percosse mischiati
facevano un gran rumore, che si rimescola
in eterno in quel mondo senza luce né tempo,
30. come la sabbia quando soffia il vento.
E io che era nel pieno dello smarrimento,
dissi: «Maestro, cos’è ciò che sento? E chi sono
33. questi che sembrano così schiacciati dal dolore?».
Ed egli a me: «Tengono questo vile
atteggiamento le anime addolorate di quelli che vissero
36. senza fare né il Male né il Bene.
Mischiate a questa schiera spregevole, ci sono
quegli angeli che non furono né ribelli né fedeli
39. a Dio, ma stettero da soli per se stessi.
Li hanno respinti i cieli per non rovinarsi,
ma non li accetta nemmeno l’inferno profondo,
42. ché i dannati non trarrebbero gloria da loro».
E io: «Maestro, cosa c’è di tanto doloroso
che li fa lamentare così forte?».
45. Rispose: Te lo dirò in poche parole.
Questi non hanno speranza di morire,
e la loro vita qui è tanto spregevole e schifosa
48. che sono invidiosi di ogni altro destino.
Il mondo non lascia che duri il ricordo di loro;
la giustizia e la misericordia li disprezzano:
51. non occupiamoci di loro: guarda, e andiamo via».
E io, che li osservai, vidi un’insegna, che
correva girando così velocemente
54. che mi sembrava incapace di fermarsi;
e dietro di essa una fila di dannati
così lunga, che io non avrei mai creduto che
57. la morte ne avesse presi così tanti.
Dopo che io ebbi riconosciuto qualcuno,
vidi e riconobbi l’anima di colui che
60. per vigliaccheria fece la grande rinuncia.
Subito capii e fui sicuro che questa
era la schiera dei vili, che sono disprezzati
63. sia da Dio che dalle forze infernali.
Questi sciagurati, che non hanno mai vissuto,
erano nudi e pungolati con forza
66. dai mosconi e dalle vespe che si trovavano lì.
Queste gli rigavano di sangue il volto,
che, mischiato con le lacrime, veniva raccolto
69. ai loro piedi da vermi luridi.
E quando mi volsi a guardare altrove,
vidi una folla di gente presso un gran fiume;
72. per cui dissi: «Maestro, concedimi
di sapere chi sono, e quale principio le fa
sembrare così desiderose della traversata,
75. come mi pare di capire nella poca luce che c’è».
Ed egli a me: «Tutto ti verrà spiegato
quando noi ci fermeremo
78. sulla triste riva del fiume Acheronte».
Allora, con gli occhi bassi e pieni di vergogna,
temendo che le mie parole fossero state
81. sbagliate, rimasi in silenzio fino al fiume.
Ed ecco giungere verso di noi su una nave
un vecchio, bianco per la vecchiaia,
84. che gridava: «Guai a voi, anime malvagie!
Non sperate di veder mai più il cielo:
vengo per condurvi all’altra sponda
87. nel buio eterno, tra fiamme e ghiacci.
E tu, anima viva, che pure sei qua
allontanati da questi, che sono già morti».
90. Ma, poiché vide che non me ne andavo,
disse: «Per un’altra strada, per altri porti giungerai
alla spiaggia [del Purgatorio]; non da qui: è
93. meglio che ti porti una nave più rapida».
E Virgilio a lui: «Caron, non preoccuparti:
si vuole così là dove si può realizzare ciò che
96. si vuole, e non chiedere altro».
Così si calmarono le guance barbute
al nocchiero della plumbea palude,
99. che attorno agli occhi aveva lingue di fiamme.
Ma quelle anime, che erano nude e stremate,
impallidirono e cominciarono a battere i denti,
102. non appena compresero le parole crudeli.
Bestemmiavano il nome di Dio e dei parenti,
il genere umano e il luogo e il tempo e la stirpe
105. della loro genesi e della loro nascita.
Poi, piangendo a gran voce, si ammassarono
tutte quante insieme verso il fiume malvagio
108. che aspetta chi non ha timore di Dio.
Il demonio Caronte, con gli occhi come brace
che accennava a loro, le aduna tutte;
111. e colpisce con un remo chiunque si siede a terra.
Come in autunno le foglie cadono scendendo
l’una vicino all’altra, fin quando il ramo
114. vede per terra tutte le sue vesti,
così la razza dannata di Adamo
si getta dalla spiaggia sulla barca una ad una,
117. come il falcone al richiamo del cenno [di Caronte].
Così se ne vanno per il fiume cupo,
e prima che siano scese sull’altra riva,
120. già di qua si raduna una nuova schiera.
«Figliolo», disse Virgilio, «coloro che muoiono
in condizione di peccato mortale, tutti
123. convergono qui da ogni paese del mondo;
e sono desiderosi di attraversare l’Acheronte
poiché li spinge la giustizia divina
126. così che la paura si trasforma in desiderio.
Da qui non transita mai un’anima buona e pura
e quindi, se Caronte si lamenta della tua
129. presenza, ora capisci cosa egli vuol dire».
Detto questo, la campagna immersa nel buio
tremò così forte, che il ricordo dello spavento
132. mi ghiaccia di sudore ancor oggi.
Quella valle di lacrime fu colpita da terremoto,
che fece lampeggiare una luce rosso vivo,
che vinse tutte le mie facoltà sensibili;
136. e svenni come l’uomo che crolla nel sonno. (scusa l'inciso, ma Dante o piange o sviene!)
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Per la prima volta in letteratura viene affrontata la figura del vile, dell’ignavo, di colui che non prende parte in nessuna cosa per mancanza di coraggio e per omertà.

Se l’ignavo Don Abbondio può risultare simpatico nella sua continua goffaggine, qui Dante riserva ai suoi simili un trattamento a dir poco spaventoso: senza sosta punti da vespe e mosconi, il loro sangue si mischia alle lacrime in una pena difficile da immaginare.

Ora; sul fatto che colui che fece il gran rifiuto (per ignavia) fosse Celestino V per me non ci sono dubbi: primo papa della storia ad abdicare, il suo rifiuto (che più grande non si può) portò al soglio proprio quel Bonifacio VIII tanto odiato dall’autore.
Abdicò nel 1294 e Dante scrive quasi in presa diretta, utilizzando un giro di parole che mi sembrerebbe troppo arduo se non fosse riferito a situazioni per lui attuali.

Ancora una volta Virgilio esorta Dante, di fronte alla terribile iscrizione di ingresso, a non lasciarsi sopraffare dalle perplessità. Glielo dice con tono perentorio, lo stesso con il quale rimprovera Caronte di farsi gli affari suoi.
E ancora Dante pecca di immodestia, quando fa dire alla sua guida che il traghettatore lo aveva esortato ad andarsene perché non aveva visto in lui alcuna traccia demoniaca. Quasi a dire che uno degli alleati di Satana aveva riconosciuto il suo antagonista e in quanto tale lo voleva scacciare.

E, una volta più, l’autore vuole mettere il sigillo della sacralità sulla sua impresa: infatti Virgilio dice a Caronte che è direttamente dal Paradiso che arriva la richiesta. A queste parole il cagnaccio abbassa mesto le orecchie.

Il terremoto chiude il canto e Dante, che forse ancora piange per la paura, sviene.

(Speriamo non piagnucoli più:D)
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
La mia terzina:

E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond' io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.


Virgilio, dopo aver esortato per l'ennesima volta con toni bruschi Dante a non ripensarci, gli prende la mano e gli fa un sorriso così dolce che il protagonista nuovamente si conforta.


Incastonato tra il terrore che la lettura dell'iscrizione avrà suscitato in Dante, e quello che vedrà dopo, questo gesto è bellissimo, Virgilio è un amico, un amico dentro l'inferno.
 

momi

Member
Non so proprio da dove iniziare, questo canto è così ricco di spunti e di suggestioni;

prima vorrei solo aggiungere alcune cose ai tuoi commenti:
- In questo canto appare per la prima volta la legge del contrappasso per i peccatori,
- La stretta aderenza di queste pagine dantesche al modello di Virgilio dell’eneide,
- Molti episodi (la porta dell’inferno, lo stato d’animo incerto di Dante, gli ignavi e la loro pena, l' Acheronte e la visione dei dannati, Caronte e le sue parole, i dannati e la maledizione universale e la giustizia di dio, il terremoto e lo svenimento di Dante), sono presenti in questo canto, ma, a detta di alcuni critici, legati tra loro da deboli nessi logico-sintattici.
- Molte scene a campo lungo: le schiere degli ignavi, i dannati che si affollano sulle rive dell’ Acheronte e poi sul traghetto, forse perché gli ignavi non lasciano memoria nel mondo e Dante non vuole mettere in luce nessuno?


Aggiungo due reminiscenze molto personali legate a questo canto:
- So che il legame è un po’ labile, ma tutte le volte che leggo questo canto non posso fare a meno di pensare ai “demoni “ di Dostoevskij, quando uno dei personaggi riferendosi a Stravogin dice che a Dio i tiepidi non piacciono, ed è meglio essere cattivi che neutri.
- Il secondo legame è con la poesia d’ Ungaretti ”si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” con il “Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso dell’altra”
 

momi

Member
LA mia terzina.....
Difficile, c'è ne sono molte che mi piacciono, ma scelgo questa:

"Fama d loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa"

la scelgo perché è un giudizio così impietoso verso coloro che non sono riusciti a decidere e che si sono accontentati a vivere nel loro angolo senza mai prendere posizione, che non sembra appartenere al nostro passato, tanto è diversa la percezione nei confronti di quelli che si fanno i fatti propri!
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Non so proprio da dove iniziare, questo canto è così ricco di spunti e di suggestioni;

prima vorrei solo aggiungere alcune cose ai tuoi commenti:
- In questo canto appare per la prima volta la legge del contrappasso per i peccatori,
- La stretta aderenza di queste pagine dantesche al modello di Virgilio dell’eneide,
- Molti episodi (la porta dell’inferno, lo stato d’animo incerto di Dante, gli ignavi e la loro pena, l' Acheronte e la visione dei dannati, Caronte e le sue parole, i dannati e la maledizione universale e la giustizia di dio, il terremoto e lo svenimento di Dante), sono presenti in questo canto, ma, a detta di alcuni critici, legati tra loro da deboli nessi logico-sintattici.
- Molte scene a campo lungo: le schiere degli ignavi, i dannati che si affollano sulle rive dell’ Acheronte e poi sul traghetto, forse perché gli ignavi non lasciano memoria nel mondo e Dante non vuole mettere in luce nessuno?


Aggiungo due reminiscenze molto personali legate a questo canto:
- So che il legame è un po’ labile, ma tutte le volte che leggo questo canto non posso fare a meno di pensare ai “demoni “ di Dostoevskij, quando uno dei personaggi riferendosi a Stravogin dice che a Dio i tiepidi non piacciono, ed è meglio essere cattivi che neutri.
- Il secondo legame è con la poesia d’ Ungaretti ”si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” con il “Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso dell’altra”

credo che tra i due sarò io a uscire più arricchito da questo mini gruppo

per favore, parlami dei nessi sintattici e dell aderenza al modello dell Eneide

ps anche a me viene sempre in mente Dostoevskij
 

momi

Member
credo che tra i due sarò io a uscire più arricchito da questo mini gruppo

per favore, parlami dei nessi sintattici e dell aderenza al modello dell Eneide

ps anche a me viene sempre in mente Dostoevskij

Nel commento della mia edizione della Divina Commedia, si fa riferimento spesso al canto VI dell’eneide, e per curiosità sono andata a rileggerlo (in italiano, ovvio!), bhe io non sono una critica e Dante è Dante, ma ci sono dei passi che sembrano quasi dei plagi, ti faccio solo l’esempio riguardante lo Caronte e la palude stigia:
“L’acqua e il fiume
spaventoso nocchier Caronte guarda,
d’orribile squallore, a cui dal mento
folta s’effonde la canizie incolta;
gli occhi ha di brage ardenti”
“Qui correva
D’ogni parte precipite una folle
………………………..
Tanti quante
Cadono ai primi freddi dell’autunno
Lente le foglie al suolo,
…………………..
…………………..
Pregavan tutti d’esser primi al varco
E, le mani porgendo all’altra sponda,
mostravano il desio della lor sede”

E poi ci sono altri riferimenti come i moniti severi della guida (“Qui si convien lasciare ogni sospetto”; “ora il cuor saldo, ora il coraggio tuo qui si dimostri!") fino alle singole immagini (“Onda bruna”; “fluctud atros”, “livida palude” “vada livida”), ecc. ecc.

Ma la genialità di Dante è forse anche questa, quella di usare come ispirazione un classico come l’Eneide per creare la Divina Commedia.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Parafrasi canto 4

Mi ruppe il sonno
3 un greve tuono, così che mi scossi
come chi si sveglia di soprassalto;


e mossi intorno l’occhio riposato
6 e guardai dritto davanti a me
al fine di capire dove fossi.

Vero è che mi trovai sull’orlo
9 della valle dolorosa
che raccoglie in sé infiniti lamenti.


Era così profonda e scura
12 che pur spingendo lo sguardo in fondo,
non vedevo alcuna cosa.


«Ora scendiamo in questo mondo cieco»,
15 disse Virgilio assai pallido.
«Io andrò per primo, tu mi seguirai».


E io, accortomi del suo pallore,
18 dissi: «Come posso seguirti, se tu stesso,

che solitamente mi conforti, sei così spaventato?».

Lui a me: «L'angoscia delle persone
21 che son qua giù, mi dipinge in volto
pietà, non quella paura che tu credi.


Andiamo, la strada è lunga».
24 Così andò e così mi fece entrare
nel primo cerchio dell’inferno.


Qui, stando ad ascoltare,
27 non udivo veri e propri pianti ma sospiri
così terribili che l’aria facevano tremare;


ciò avveniva per il dolore senza tormenti,
30 subito dalla vastissima moltitudine,
di bimbi, donne e uomini.


Il buon maestro mi disse: «Non mi chiedi
33 che spiriti sono questi che vedi?
Vorrei che tu sapessi, prima che ti addentri,


che essi non hanno peccato; ma se hanno avuto dei meriti,
36 questi non furono sufficienti (alla loro redenzione), perché non hanno avuto battesimo,
che è la porta di quella fede in cui tu credi;


e se essi nacquero prima del cristianesimo,
39 non adorarono come si conviene Dio:
e di questi stessi io faccio parte.


A causa di questo, e per nessun altra colpa,
42 siamo perduti, e per questo siamo puniti
vivendo senza speranza alcuna».


Sentii un gran dolore appena intesi,
45 che persone di grande valore
erano sospese in quel limbo.


«Dimmi, maestro mio, dimmi, signore»,
48 cominciai a chiedergli per essere certo
di quella fede che vince ogni dubbio:


«qualcuno è mai uscito (dal limbo), per proprio o altrui merito,
51 in modo da diventare poi beato?».
Virgilio intese ciò che volevo dirgli,


e rispose: «Io ci sono andato vicino,
54 quando vidi entrare (nel limbo), il possente (Gesù Cristo)
con quei segni di vittoria attorno alla testa.

Dal limbo fece uscire il primo padre (Adamo),
57 e il figlio Abele e Noè,
che di Mosè, il legislatore, fu ubbidiente;


quella del patriarca Abramo e del re David,
60 Giacobbe con i suoi figli
e con Rachele, per la quale fece così tanto,


e molti altri fece beati.
63 Ma devi sapere che, prima di loro,
nessuno spirito fu salvato».


Mentre parlava non smettevamo di camminare,
66 attraverso la selva,
folta di spiriti.


Non avevamo percorso molta strada
69 e non da molto mi ero svegliato, quando vidi un fuoco
che di luce riempì le tenebre.


Eravamo ancora piuttosto distanti,
72 ma non così tanto da non poter discernere
che quella parte di tenebre illuminata fosse occupata da gente onorevole.


«O tu che onori le scienze e le arti (Virgilio),
75 chi sono questi, da essere così onorevoli,
da essere in disparte da questo mondo?».


E Virgilio a me: «La nomea
78 che in terra hanno ancora,
fa sì che in cielo godano di una grazia tale da essere presi in considerazione».


Intanto udii una voce:
81 «Onorate l'altissimo poeta;
la sua ombra, che se ne era andata, ora torna».


E dopo che la voce si fu zittita,
84 vidi quattro grandi ombre venire presso di noi:
non avevano sembianza né triste né lieta.


Il buon maestro cominciò a dire:
87 «Guarda colui con quella spada in mano,
che viene davanti agli altri come loro sire:


è Omero, il poeta sovrano;
90 l'altro è Orazio, il satiro;
Ovidio è il terzo, e l'ultimo è Lucano.


Visto che ciascuno di loro ha in comune
93 il nome che pronunciò quella sola voce (hanno in comune il fatto di essere poeti),
mi rendono onore e di ciò fanno bene».


Così vidi radunarsi la bella scuola poetica
96 di quel signor che scrisse altissimi versi
che sopra gli altri vola come aquila.


Terminato di parlare tra loro,
99 si girarono verso di me salutandomi,
e Virgilio sorrise di questo;

e mi resero tanto onore,
102 da farmi parte della loro schiera,
così che io fui il sesto di tanta intelligenza.

Procedemmo verso la luce,
105 parlando di cose di cui solitamente si tace,
perché era bello parlarne in quel luogo.

Arrivammo ai piedi di un castello,
108 difeso da sette cerchia di mura,
e da un fiumicello.

Lo oltrepassammo perché era quasi a secco;
111 oltrepassammo, io e i saggi, le sette porte:
e arrivammo in un bel prato verde.

C’erano delle persone con sguardo seriosov'eran con occhi tardi e gravi,
114 che mi parevano degni di grande rispetto:
parlavano poco e a voce bassa.

Ci appartammo,
117 in una spianata, luminosa e vasta,
in una posizione tale da vederli tutti quanti.

Di fronte a noi, sopra l’erba verde,
120 mi mostrarono le grandi anime,
e mi esaltai del fatto che potevo vederle.

Vidi Eletra con molti compagni,
123 tra i quali riconobbi Ettore ed Enea,
Cesare armato e con occhi sanguigni.

Vidi Cammilla e Pantasilea;
126 e dalla parte opposta il re Latino
che sedeva con sua figlia Lavina.

Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino (Tarquinio il Superbo),
129 Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia (Cornelia);
e, in un angolo tutto solo, Saladino.

Poi alzai lo sguardo,
132 vidi il maestro dei maestri (Aristotele)
che sedeva in mezzo a quella filosofica famiglia.

Tutti lo ammiravano e tutti gli rendevano onore:
135 lì con lui vidi Socrate e Platone,
che gli stavano più vicino degli altri;

Democrito, filosofo del caos,
138 Dïogene, Anassagora e Tale,
Empedocle, Eraclito e Zenone;

e vidi il saggio
141 Dïascoride (Dioscoride), vidi Orfeo,
Tulïo e Lino e Seneca;

Euclide, il fondatore della geometria e Tolomeo,
144 Ipocràte, Avicenna e Galïeno (Galeno),
Averoìs (Averroè), che commentò Aristotele in persona.

Io non posso dire di tutti,
147 perché il tema è così vasto,
che molte volte i particolari sfuggono.

La compagnia dei sei si divise:
150 Virgilio mi portò per altra strada,
fuor dell’aria quieta e nell’aria che invece trema.

151 E arrivammo in una zona priva di luce.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Dante e Virgilio, dopo vari tentennamenti, finalmente entrano nel primo cerchio dell'inferno. Che in realtà potremmo definire una zona "neutra" trattandosi del limbo, dal quale per altro veniva lo stesso Virgilio.

Non sono nè anime dannate nè anime pie, ma al contrario degli ignavi la cui condizione era una conseguenza delle scelte fatte in vita, qui non c'è alcuna scelta, benchè ci sia punizione.

L'unica colpa di queste "persone di mezzo" è quella di essere nati prima di Cristo, di conseguenza non avevano, perchè non potevano, adorare Dio nei termini cristiani.

All'interno di un castello talmente fortificato da sembrare invalicabile, Dante e Virgilio, accompagnati da altri quattro poeti "non cristiani" (Ovidio, Lucano, Orazio e Omero, il padre di tutti) riescono invece ad entrare facilmente.

L'interno è abitato dall'allegra combricola dei filosofi per eccellenza, "i greci". Dante e i suoi amici riescono a entrare, probabilmente grazie al fatto che la loro condizione è del tutto simile a quella degli abitanti del castello. Poeti e filosofi.

Dobbiamo dire che la condizione "media" del limbo non è affatto rilassata, visto che le prime cose che Dante sente, sono lamenti e guaiti strazianti.

Coloro che erano nati prima di Cristo e non avevano avuto la fortuna di essere filosofi, secondo Dante non se la passavano tanto bene. Forse solo un po' meglio degli ignavi, la cui condizione di miseria "esterna" all'inferno è, al momento, insuperata.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Celestino V fece il gran rifiuto e "il cane" era un futuro imperatore.

Faccio un passo indietro e torno ai canti 1 e 3, per dire che io ho una visione delle metafore dantesche piuttosto allineata con quella classica. Non sono uno che legge la Divina Commedia come se fosse un libro di Nostradamus intriso di visioni alternative e misteriose.

Molte tesi sono state discusse circa il fatto che "colui che fece il gran rifiuto" potesse anche non essere Celestino V. Si è discussso anche di Ponzio Pilato, un altro che in effetti macchiò la propria esistenza di un rifiuto sicuramente non da poco.

In ogni caso, secondo me, non ci sono dubbi sul fatto che sia proprio Celestino V, il riferimento "ingnavo" dell'Inferno. E non ho dubbi nemmeno sul fatto che il veltro fosse la descrizione di un futuro imperatore. Mi pare che tutto si leghi alla perfezione, in modo così indissolubile da sfuggire a qualsiasi visione alternativa.

Dante, alla fine del 1200, era nel consiglio comunale di Firenze schierato dalla parte di coloro che governavano la città, quei Guelfi “bianchi” che non vedevano di buon occhio l’espansionismo papale. E appoggiò in prima persona diverse leggi che ostacolavano proprio il pontefice, che all’epoca dell’attività politica di Dante, era Bonifacio VIII.

Dante era per le cosiddetta “teoria dei due soli”, che in buona sostanza significava che Impero e Papato dovessero avere sfere di influenza distanti. L’Impero, in quegli anni di nascenti monarchie e di confusione generale, era secondo Dante l’istituzione che doveva vegliare sul mondo e fare da unità, proprio una specie di…cane da caccia.

Io credo che la profezia del veltro (canto 1), alla luce del contesto politico e delle vicende personali dell’autore, fosse proprio riferito ad un futuro imperatore capace di scacciare la Chiesa da quei domini terreni che non le competevano. Più che una profezia, credo fosse una vera e propria speranza.

Quando i Guelfi neri, grazie proprio all’appoggio di Bonifacio, entreranno in Firenze, Dante verrà condannato all’esilio per una serie di malefatte che non credo commise, di certo non tutte.
Dante esiliato dalla sua amata Firenze (presso la quale non farà più ritorno) non poteva che avere il dente avvelenato nei confronti di Bonifacio VIII (reo, secondo lui, di simonia, come vedremo più avanti) e di colui che…fece il gran rifiuto, proprio quel Celestino V che, abdicando per ignavia al soglio pontificio, permise al suo “avvocato” di divenire Bonifacio VIII, che rovinerà la vita di Dante Alighieri.

Che se avesse continuato a fare politica, detto per inciso, non avrebbe scritto la Divina Commedia.
 

momi

Member
Dante e Virgilio, dopo vari tentennamenti, finalmente entrano nel primo cerchio dell'inferno. Che in realtà potremmo definire una zona "neutra" trattandosi del limbo, dal quale per altro veniva lo stesso Virgilio.

Non sono nè anime dannate nè anime pie, ma al contrario degli ignavi la cui condizione era una conseguenza delle scelte fatte in vita, qui non c'è alcuna scelta, benchè ci sia punizione.

L'unica colpa di queste "persone di mezzo" è quella di essere nati prima di Cristo, di conseguenza non avevano, perchè non potevano, adorare Dio nei termini cristiani.

All'interno di un castello talmente fortificato da sembrare invalicabile, Dante e Virgilio, accompagnati da altri quattro poeti "non cristiani" (Ovidio, Lucano, Orazio e Omero, il padre di tutti) riescono invece ad entrare facilmente.

L'interno è abitato dall'allegra combricola dei filosofi per eccellenza, "i greci". Dante e i suoi amici riescono a entrare, probabilmente grazie al fatto che la loro condizione è del tutto simile a quella degli abitanti del castello. Poeti e filosofi.

Dobbiamo dire che la condizione "media" del limbo non è affatto rilassata, visto che le prime cose che Dante sente, sono lamenti e guaiti strazianti.

Coloro che erano nati prima di Cristo e non avevano avuto la fortuna di essere filosofi, secondo Dante non se la passavano tanto bene. Forse solo un po' meglio degli ignavi, la cui condizione di miseria "esterna" all'inferno è, al momento, insuperata.

Dante per quanto profondamente religioso, è uno studioso, uno che crede, o forse spera, che anche la pratica delle virtù morali ed intellettuali, possano dare in qualche misura dei meriti, non solo nel mondo reale, ma anche nell'aldilà: infatti il castello della virtù è l'unico luogo nell'inferno ad essere illuminato; ma Dante, nel mettere i sapienti dell'antichità nel limbo, vuol sottolineare che senza la fede, qualsiasi altro merito non è sufficiente per ottenere la grazia Divina.
In questo canto, come nel canto d'Ulisse, Dante è combattuto tra l'ammirazione per la sapienza (o la curiosità intellettuale di Ulisse) e l'accettazione del mistero della fede.
Per questo scelgo la terzina che, secondo me, evidenzia maggiormente questo conflitto:

"Gran duol mi prese al cor quando lo 'intesi,
però che gente di molto valore
conobbi che'n quel limbo eran sospesi."
 

momi

Member
Faccio un passo indietro e torno ai canti 1 e 3, per dire che io ho una visione delle metafore dantesche piuttosto allineata con quella classica. Non sono uno che legge la Divina Commedia come se fosse un libro di Nostradamus intriso di visioni alternative e misteriose.

Molte tesi sono state discusse circa il fatto che "colui che fece il gran rifiuto" potesse anche non essere Celestino V. Si è discussso anche di Ponzio Pilato, un altro che in effetti macchiò la propria esistenza di un rifiuto sicuramente non da poco.

In ogni caso, secondo me, non ci sono dubbi sul fatto che sia proprio Celestino V, il riferimento "ingnavo" dell'Inferno. E non ho dubbi nemmeno sul fatto che il veltro fosse la descrizione di un futuro imperatore. Mi pare che tutto si leghi alla perfezione, in modo così indissolubile da sfuggire a qualsiasi visione alternativa.

Dante, alla fine del 1200, era nel consiglio comunale di Firenze schierato dalla parte di coloro che governavano la città, quei Guelfi “bianchi” che non vedevano di buon occhio l’espansionismo papale. E appoggiò in prima persona diverse leggi che ostacolavano proprio il pontefice, che all’epoca dell’attività politica di Dante, era Bonifacio VIII.

Dante era per le cosiddetta “teoria dei due soli”, che in buona sostanza significava che Impero e Papato dovessero avere sfere di influenza distanti. L’Impero, in quegli anni di nascenti monarchie e di confusione generale, era secondo Dante l’istituzione che doveva vegliare sul mondo e fare da unità, proprio una specie di…cane da caccia.

Io credo che la profezia del veltro (canto 1), alla luce del contesto politico e delle vicende personali dell’autore, fosse proprio riferito ad un futuro imperatore capace di scacciare la Chiesa da quei domini terreni che non le competevano. Più che una profezia, credo fosse una vera e propria speranza.

Quando i Guelfi neri, grazie proprio all’appoggio di Bonifacio, entreranno in Firenze, Dante verrà condannato all’esilio per una serie di malefatte che non credo commise, di certo non tutte.
Dante esiliato dalla sua amata Firenze (presso la quale non farà più ritorno) non poteva che avere il dente avvelenato nei confronti di Bonifacio VIII (reo, secondo lui, di simonia, come vedremo più avanti) e di colui che…fece il gran rifiuto, proprio quel Celestino V che, abdicando per ignavia al soglio pontificio, permise al suo “avvocato” di divenire Bonifacio VIII, che rovinerà la vita di Dante Alighieri.

Che se avesse continuato a fare politica, detto per inciso, non avrebbe scritto la Divina Commedia.

Sono d'accordo con te sul fatto che colui che fece il gran rifiuto sia Celestino, dato che probabilmente i suoi guai futuri e l'esilio sono da imputarsi in gran parte all'elezione di Bonifacio VIII, che era un papa autarchico con mire sulla toscana e su firenze. Il povero Dante ha la sventura di trovarsi dalla parte sbagliata e di appoggiare la parte, in quel momento più debole, credo che l'esilio sia solo dovuto a questioni politiche che a malefatte personali.

Non so se la sua storia personale fosse state diversa, avrebbe comunque scritto la Divina Commedia; non conosco a fondo la sua storia personale, ma ho il sospetto che fosse il tipo di persona che sceglie sempre di appoggiare le cause perse :wink:
 
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