166° MG - Inferno (Divina Commedia) di Dante Alighieri

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Dante per quanto profondamente religioso, è uno studioso, uno che crede, o forse spera, che anche la pratica delle virtù morali ed intellettuali, possano dare in qualche misura dei meriti, non solo nel mondo reale, ma anche nell'aldilà: infatti il castello della virtù è l'unico luogo nell'inferno ad essere illuminato; ma Dante, nel mettere i sapienti dell'antichità nel limbo, vuol sottolineare che senza la fede, qualsiasi altro merito non è sufficiente per ottenere la grazia Divina.
In questo canto, come nel canto d'Ulisse, Dante è combattuto tra l'ammirazione per la sapienza (o la curiosità intellettuale di Ulisse) e l'accettazione del mistero della fede.
Per questo scelgo la terzina che, secondo me, evidenzia maggiormente questo conflitto:

"Gran duol mi prese al cor quando lo 'intesi,
però che gente di molto valore
conobbi che'n quel limbo eran sospesi."


In questo quarto canto, Dante si fa una domanda, affrontando direttamente una delle più grandi perplessità teologiche del Medioevo: che fine hanno fatto le anime precedenti la nascita di Gesù, morte senza aver avuto la possibilità di adorare Dio nelle forme cristiane? Come può essere "giusto" il fatto che tutte le persone non battezzate, stiano in quel "lembo" di inferno quasi al pari degli ignavi, che vi stanno solo poco prima?

Perché Dio deve punirli?

Da buon cristiano medioevale, Dante si poneva domande del genere, domande che arrivarono forse a tormentarlo.

Nella Divina Commedia, a quanto pare, non esiste risposta, almeno non in questo canto.

Per adesso abbiamo visto solo i margini dell’inferno (il suo "lembo"), ma abbiamo comunque assistito a vere e proprie torture: persone punte senza sosta da insetti dolorosissimi e uomini che con il loro sangue e le loro lacrime sfamano i vermi. Vien da domandarsi chissà cosa ci sarà più sotto.

Comunque sia Dante ci tiene a salvare tutti coloro che, pur non battezzati, hanno fatto grande la civiltà umana attraverso i loro pensieri e le loro opere. Se è vero che mette nel limbo tutti i grandi pensatori greci, è altrettanto vero che riserva loro un trattamento speciale. E tra loro spunta addirittura anche (il feroce) Saladino, morto appena un secolo prima. Hanno un intero castello a loro disposizione per discutere, un castello ben protetto dal "volgo" degli altri peccatori. Una specie di fortino del sapere, all’interno del quale solo pochi sono ammessi. E Dante, con la sua combricola, riesce ad entrare. Un'altra scelta ell'autore in cui la modestia non è di certo protagonista.

Anche i patriarchi antidiluviani hanno un trattamento di favore: infatti coloro che secondo la Genesi hanno calpestato la Terra per primi, creati direttamente da Dio, usufruiscono di una specie di salvacondotto divino; Gesù in persona (meglio detto; il suo Spirito) è venuto a prendersi "il primo parente" (Adamo) e i suoi primi discendenti, per portarli dritto in Paradiso. Evidentemente nella loro personale bilancia dei meriti, il fatto di aver "avviato" l’umanità pesa molto di più rispetto al fatto di non aver preso il Battesimo.

Ma solo per loro, per i filosofi e per i fondatori della razza umana, Dante riserva un trattamento speciale, come se ci fosse un limbo di serie a e uno di serie b. Per quelli di serie b solo dolore e sofferenza.

Il motivo di tale pena è inconoscibile e l’unica cosa che rimane da fare a Dante è attaccarsi al dogma della giustizia divina.
 
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momi

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Parafrasi Canto V

E così scesi dal primo cerchio
giù nel secondo, che racchiude meno spazio,
3. ma aumenta le sofferenze che fanno disperare [i dannati].

Si erge tremendo Minòs e minaccia ringhiando:
esamina le colpe [dei dannati] all’ingresso;
6. le valuta e condanna avvolgendo la coda.

Voglio dire che quando il dannato
gli arriva davanti, confessa tutte [le sue colpe];
9. e lui, giudice dei peccati,

conosce il luogo dell’Inferno a lui destinato;
e si avvolge [il corpo] con la coda in tanti giri quanti sono
12. i cerchi [che l’anima deve percorrere] per arrivare al proprio.
Ci sono sempre molte [anime] davanti a lui:
si recano una alla volta verso [il suo] giudizio, si confessano
15. e ascoltano [la sua sentenza] e poi sono buttate

«O tu, che sei giunto alla dimora del dolore»,
mi disse Minòs dopo avermi visto,
18. interrompendo [così il suo] compito importante
«guarda[ti] attentamente intorno e a chi ti sei affidato
non farti ingannare dalla larghezza dell’entrata! [di questo luogo]
21. E la mia guida gli rispose: «Perché continui a gridare?

Non ostacolare il suo viaggio inevitabile:
così si vuole nel luogo in cui si può [fare]
24. ciò che si vuole, e non chiedere altro».

Ora comincio a sentire le grida dolorose;
ora sono arrivato nel luogo
27. in cui il pianto mi scuote.

Arrivai in un luogo senza luce,
che strepitava come fa il mare in tempesta,
30. quando è attraversato da venti contrari.

Il turbine infernale, che non si ferma mai,
trascina gli spiriti con la sua forza;
33. li tormenta, li rivolta e li colpisce.

Quando [gli spiriti] arrivano di fronte alla rovina,
qui gridano, piangono e si lamentano [di più];
36. e qui bestemmiano la salvezza [a loro non concessa].

Capii che a tale tormento
sono condannati i peccatori della carne,
39. i quali sottomettono la propria ragione alla passione

E come gli stornelli volano
nella stagione fredda, in stormi grandi e fitti,
42. allo stesso modo quel vento i dannati

trascina in tutte le direzioni;
e nessuna speranza mai li consola,
45. non di riposo, ma anche di un momentaneo addolcirsi della pena.

E come le gru cantano i loro lamenti,
volando in una lunga fila nel cielo,
48. vidi allo stesso modo arrivare, emettendo suoni di pianto

anime schierate così dalla stessa tempesta
per cui dissi: «Virgilio, chi sono questi
51. spiriti che la buia tormenta punisce in questo modo?»

«La prima tra quelle [anime]
di cui chiedi notizie», mi disse egli allora,
54. «regnò su molti popoli.

Fu a tal punto corrotta dal vizio della carne,
che rese legale ciò che a ciascuno piaceva,
57. per evitare il disprezzo in cui poteva cadere.

Ella è Semiramide, della quale si racconta
che ereditò il regno da Nino e ne fu la moglie:
60. governò il regno che [oggi] regge il Sultano.

Quest’altra è colei che si uccise per amore,
e non fu fedele alla tomba di Sicheo;
63. [segue] poi la lasciva Cleopatra.

Guarda Elena, per la quale tanto tempo
[la] colpevole [guerra] durò, e guarda il grande Achille
66. che combatté per amore.

Guarda Paride e Tristano»; e tantissime
anime mi mostrò e mi indicò e nominò,
69. che la passione strappò alla vita terrena.

Dopo aver ascoltato la mia guida
citare le donne del passato e i loro amanti,
72. fui pervaso da un sentimento di pietà [tale, che] ne

Cominciai [a dire]: «Virgilio, con piacere
converserei con quelle due [anime] che procedono congiunte,
75. e sembrano così [tanto] leggiadre nella bufera».
Ed egli a me: «Quando questi saranno più vicini a noi
potrai [parlare loro]; e in quel momento li pregherai
78. in nome di quell’amore che li conduce, ed essi si avvicineranno»

Veloce come il vento che a noi li avvicinava,
parlai: «O spiriti affannosi,
81. scendete a parlarci, se Dio non lo impedisce!».

Come colombe richiamate dal desiderio
[che] con le ali distese volano nell’aria
84. all'amorevole nido, guidate dalla volontà;

così questi uscirono [fuori] dalla fila di Didone,
avvicinandosi a noi attraverso l'aria infernale,
87. a tal punto risuonò la forza del [mio] richiamo benigno.

«O uomo vivo, degno di grazia e benevolo
che fai visita nel luogo perduto
90. a noi [anime] che abbiamo macchiato il mondo col sangue,

se Dio non fosse a noi contrario,
rivolgeremmo a lui delle preghiere per la tua salvezza,
93. perché mostri pietà verso il nostro peccato.

Di quelle cose che a voi interesserà ascoltare e discutere,
noi ascolteremo e discuteremo con voi,
96. fin tanto che la bufera [infernale], come fa [ora], qui si placa.

La città in cui sono nata è posta
sulle rive del mare nel punto in cui il Po scende
99. per sfociare coi suoi affluenti.

Amore, che nel cuore nobile svelto si accende,
colse costui [Paolo] per la [mia] bellezza,
102. che in seguito mi venne strappata; e il modo ancora mi offende
Amore, che non tollera che chi è amato non ami a sua volta,
mi rapì della bellezza di questi [Paolo] in modo così potente,
105. che, come vedi, ancora mi possiede.

Amore ci portò entrambi ad un'unica morte.
Caina è in attesa di colui che ci uccise».
108. Queste parole le anime ci riferirono.

Quando compresi la causa della loro dannazione,
abbassai lo sguardo e restai a lungo pensoso,
111. finché Virgilio mi chiese: «A cosa pensi?».

Quando [gli] risposi, dissi: «Povero me,
quanti soavi pensieri, quanto desiderio
114. portò questi [amanti] all'Inferno!»

Poi mi rivolsi a loro e parlando
dissi: « Francesca, le tue sofferenze
117. mi fanno lacrimare di tristezza e di pietà.

Ma [ti prego] di raccontarmi: nel tempo in cui ci si innamora,
in che modo amore vi concesse
120. di comprendere i vostri desideri nascosti?».

Ed ella mi [rispose]: «Non esiste sofferenza più grande
del ricordare quando si era felici
123. nel tempo della miseria; e questo lo sa [bene] la tua guida

Ma se di sapere l'origine
del nostro amore tu hai così tanto desiderio
126. te lo racconterò piangendo.

Un giorno noi leggevamo per divertimento
di Lancillotto e del suo amore;
129. eravamo soli e [ci sentivamo] innocenti.

Più volte ci attirò lo sguardo
quella lettura, e ci fece impallidire;
132. ma solo un punto fu quello che ci sconfisse.

Quando leggemmo che la bocca desiderata
veniva baciata da quel famoso amante,
135. costui, che mai sia diviso da me,

mi baciò la bocca, tremando tutto.
Galeotto [o testimone] fu il libro e chi lo scrisse:
138. quel giorno [noi] non vi leggemmo oltre».

Mentre una delle due anime ciò raccontava,
l'altra piangeva; così che per la pietà
141. io mi sentii mancare, come se morissi.
E caddi come cade un corpo che muore.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Paolo e Francesca

Mi accodo al giudizio di molti e dico che, anche per me, il quinto canto è il più bello.

Dante e Virgilio incontrano Minosse, una specie di "San Pietro a rovescio", colui che se proprio non detiene le chiavi dell'inferno, di certo lo dirige decidendo a quale cerchia siano destinati i vari peccatori che si presentano a lui.

Nonostante Minosse sia personaggio di tutto rilievo , Virgilio non si fa cruccio di zittirlo, così come aveva fatto con Caronte, per lo stesso motivo e con la stessa frase.

"Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole", cioè "si vuole così dove si può ciò che si vuole" (si vuole così in Paradiso, dove tra dire e fare non c'è di mezzo il mare).

Dante e Virgilio, dunque, entrano in questo secondo cerchio, quello dei lussuriosi, quello di chi, in vita, si è abbandonato all'amore sensuale fino al punto di abbandonare l'intelletto ("enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento").

Arriviamo all'episodio, famosissimo, di Paolo e Francesca. Un episodio dai contorni leggendari, ma che si basa su un fatto storico. Dante vede due figure che in un certo senso sono distanti dalle altre, per grazia e bellezza e chiede a Virgilio il permesso di poter parlare alla donna, permesso che viene accordato da Virgilio. Viene, ancora una volta, rimarcato il fatto che la donna angelica (sul fatto che Francesca sia una donna angelica, bisognerebbe spendere altre parole) sia il tramite comunicativo attraverso il quale Dante arriverà alla conclusione del suo viaggio. E questo tramite deve essere a sua volta mediato dall'inteletto e dalla ragione, rappresentati da Virgilio.

I fatti, dunque: esistevano due famiglie, i Malatesta e i Da Polenta, in perenne lotta tra loro per motivi forse territoriali. Come spesso accadeva all'epoca, si decise per un matrimonio che potesse riavvicinare i due schieramenti. Si decise, dunque, che la giovane Francesca (Da Polenta) dovesse sposare per procura Gianciotto (Malatesta). Fin qui la storia certa.

Ora l'incertezza documentale e la leggenda: in procura Francesca trova il cognato di Gianciotto, Paolo, una specie di notaio che doveva sancire il matrimonio tra i due. Caso vuole che Gianciotto non fosse particolarmente avvenente e piuttosto vecchio, tutto il contrario di Paolo, che invece era giovane e bello. Francesca, ovviamente, si innamora del notaio. Il fatto da rilevare, importantissimo al fine di commisurare il peccato compiuto dai due, è che Francesca per davvero credeva che Paolo fosse il suo promesso sposo. E, seconda cosa, i due si innamorano, dunque il loro peccato carnale quantomeno porta il sigillo del sentimento e della purezza.

Vengono uccisi entrambi da Gianciotto, il quale più che geloso era forse semplicemente invidioso.

Paolo e Francesca finiscono tra i lussuriosi, tra coloro, cioè, che sono continuamente scaraventati sugli scogli dell'inferno da un vento implacabile e violentissimo, così come, allo stesso modo, in vita furono trascinati senza sosta e "senza coscienza" dal vento delle passioni.
Tanto si è detto su questo episodio citato da Dante e molte supposizioni sono state fatte.

La prima domanda che solitamente ci si pone è la seguente: Dante prova una compassione cristiana per i due (cioè "patisce per e con" i due peccatori) oppure addirittura li giustifica in virtù del fatto che erano entrambi in buona fede? In cuor suo, li redime o pensa che la loro punizione sia giusta?
Io sono per una lettura "antica", alla De Sanctis, per intenderci; per me li giustifica, anche se la lettura non è forse così semplicemente lineare.

Motiverò in un altro post, aspetto prima le tue considerazioni, Momi (o quelle di chiunque altro abbia letto questo pippone).
 
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Grantenca

Well-known member
Anch'io concordo sul fatto che è molto difficile trovare una poesia di qualità superiore a quella contenuta nel canto V dell'inferno.
 

momi

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Direi questa

Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.

Perchè racchiude il senso generale del canto.

La tua?



la mia l'avevo già citata,
comunque è la stessa terzina:
gran duol...ect.
 

momi

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commento canto V

Io non sono così certa del fatto che Dante in qualche modo giustifichi i due amanti sfortunati;
certamente Dante prova pietà e simpatia per Francesca e Paolo, infatti Francesca si ci presenta come una donna gentile e con un nobile cuore che si rivolge al poeta con belle parole (grazioso, benigno), ma a parte una umana simpatia per i due personaggi, Dante vuole sottolineare quanto l’amore cortese e cavalleresco tanto celebrato dalla letteratura sia una pericolosa mistificazione che può portare alla dannazione.
E probabilmente anche Dante deve aver provato nella sua vita lo stesso tipo di tentazione e/o fascino dell’amore cortese e della passione; dal’altra parte Dante, come la maggioranza delle persone della sua epoca, è stato fatto sposare a nove anni con un matrimonio combinato e non certamente d’amore.
L’impressione che ho da questo canto è quella di una profonda lezione moralista da parte del poeta (lezione difficilmente condivisibile dalla nostra prospettiva), quella cioè che ci dice: non è importante quanto si è innamorati o appassionati o se quello che si sente è amore (parola più volte ripetuta da Francesca) e non lussuria, se l’amore è fuori dalla legge di Dio porta alla dannazione eterna.
In questo canto Dante non solo condanna l’abbandonarsi alle passioni, ma anche i libri che esaltano questo tipo di sentimenti (i libri cavallereschi); forse è il Dante più moralista e anche un po’” bigotto” che abbiamo incontrato finora.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Io non sono così certa del fatto che Dante in qualche modo giustifichi i due amanti sfortunati;
certamente Dante prova pietà e simpatia per Francesca e Paolo, infatti Francesca si ci presenta come una donna gentile e con un nobile cuore che si rivolge al poeta con belle parole (grazioso, benigno), ma a parte una umana simpatia per i due personaggi, Dante vuole sottolineare quanto l’amore cortese e cavalleresco tanto celebrato dalla letteratura sia una pericolosa mistificazione che può portare alla dannazione.
E probabilmente anche Dante deve aver provato nella sua vita lo stesso tipo di tentazione e/o fascino dell’amore cortese e della passione; dal’altra parte Dante, come la maggioranza delle persone della sua epoca, è stato fatto sposare a nove anni con un matrimonio combinato e non certamente d’amore.
L’impressione che ho da questo canto è quella di una profonda lezione moralista da parte del poeta (lezione difficilmente condivisibile dalla nostra prospettiva), quella cioè che ci dice: non è importante quanto si è innamorati o appassionati o se quello che si sente è amore (parola più volte ripetuta da Francesca) e non lussuria, se l’amore è fuori dalla legge di Dio porta alla dannazione eterna.
In questo canto Dante non solo condanna l’abbandonarsi alle passioni, ma anche i libri che esaltano questo tipo di sentimenti (i libri cavallereschi); forse è il Dante più moralista e anche un po’” bigotto” che abbiamo incontrato finora.


In effetti la tua lettura è assolutamente condivisibile. Tra l'altro è quella della maggiorparte degli studiosi dei giorni nostri.

A dirla tutta, non è che io la pensi molto diversamente e non metto la mano sul fuoco su nessuna delle interpretazioni possibili. Diciamo solo che sono solo...un po' confuso.

Voglio dire: se Dante è lo stil novo, perchè criticare sè stesso? Devo semplificare, cara Momi, per ovvie ragioni di tempo e spazio, spero non arriccerai il naso per questo, anzi se vuoi completare o criticare il mio ragionamento ne sarò ben felice.

Dunque, semplifico; l'idealizzazione della "donna", ma in termini generali direi dell'amore, era qualcosa di talmente sublimato che non poteva prevedere altro se non espressioni poetiche e raffinatezze di forma. Non sono poi così certo che Dante criticasse, per così dire, sè stesso e la sua produzione antecedente la Divina Commedia.

Paolo e Francesca, in quei versetti memorabili, si abbandonano alla lussuria proprio leggendo un "romanzo", facendosi traviare potremmo dire dalla letteratura (stilnovistica in particolare).

E se invece quell'atto peccaminoso fosse leggittimato dall'arte? Nella mia profonda ignoranza sono ancora convinto che Dante, nella sua immodestia, non potesse criticare i modi che lui stesso aveva adoperato fino a 5-10 anni prima. Non era il tipo da dire "ho sbagliato". Era come Fonzie in Happy Days, non ce la poteva proprio fare:HIPP

A me pare che Paolo e Francesca siano riabilitati da Dante che si commuove dolorosamente e descrive i due come degli uccelletti che danzano armoniosamente all'inferno. Mi sembrano due angeli caduti dal cielo quasi per sbaglio.

Detto questo sono piuttosto confuso e avanzo un'altra ipotesi: Dante stesso era confuso, indeciso tra "redenzione" e colpevolezza.
 

momi

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non credo di sapere che cosa Dante volesse veramente dire in questo canto; e a vedere quante interpretazioni ci sono state nei secoli, forse nessuno può esserne sicuro.
Ma in alcune parti del canto come dopo che Virgilio gli addita alcune delle anime dannate, e durante il colloquio con Francesca, Dante mostra non solo una umana pietà per "le donne antiche e' cavalieri" e per le due "anime offese", ma uno smarrimento e inquietudine che poi lo porta allo perdita dei sensi alla fine del canto.

Penso che Dante nel chiedere a Francesca di raccontargli come si è lasciata prendere dal disio e a compiere il doloroso (perché porta alla dannazione) passo, voglia avvisare i suoi lettori a come sia labile il confine tra i "dolci pensieri" e la lussuria.

probabilmente Dante non vuol rinnegare quello che è stata la sua produzione precedente in cui si esalta l'amor gentil, ma sta facendo un cammino per uscire dalla "selva oscura" e mi sembra alquanto improbabile che voglia giustificare la prevaricazione dei sensi sulla ragione;
o forse questa è l'immagine che mi sono fatta di Dante!
 

momi

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Un'ultima considerazione sul V canto:
questo viene generalmente chiamato il canto di Paolo e Francesca, ma in realtà è solo Francesca la protagonista, Paolo è notabile solo con la sua assenza (mi si nota di più se vengo alla festa o se non vengo?).
Francesca anche se addolorata dal fatto che è effettivamente all'inferno, sembra che provi un certo piacere nel drammatizzare la sua condizione e nel fatto che rimarrà sempre insieme a Paolo (che mai da me non fia diviso);
so che è un po azzardato, ma Francesca mi ricorda quelle eroine tragiche dei romanzi francesi e russi dell'ottocento, quasi un' eroina romantica pre litteram.
Paolo, invece, con il suo silenzio e le sue lacrime, sembra solo rimpiangere il "doloroso passo" e dirsi "ma chi me la fatto fare?".:W
 

momi

Member
La mia terzina favorita (scelta particolarmente difficile in questo canto!) è:

Quando leggemmo il disiato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante."
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
parafrasi canto 6

3 Appena ripresi i sensi, persi a causa della pietà provata per i due cognati che mi confusero la testa di tristezza

6 Nuovi tormenti e nuovi tormentati vedo intorno, ovunque mi volti e ovunque cammini

9 Sono al terzo cerchio, quello della pioggia eterna, maledetta, fredda e greve, che cade senza sosta.

12 Grandine grossa, acqua sporca e neve si riversano senza sosta nella terra marcescente

15 Cerbero, animale crudele e diverso, abbaia con le sue tre gole sopra la gente sommersa da questa pioggia

18 Ha gli occhi vermigli, la barba unta e il ventre largo e con gli artigli graffia e squarta gli spiriti.

21 La pioggia li fa ululare come cani e cercano inutilmente di coprirsi, volgendosi miseri profani

24 Quando Cerbero, l’animale immondo, ci vide aprì le sue bocche mostrandoci i denti. Non c’era membro che tenesse fermo.

27 E Virgilio prese della terra con le mani e la gettò dentro le su bocche.

30 Così come il cane abbaia agognando il cibo, e si acquieta solo dopo aver morso il pasto, perché vuole solo divorarlo

33 Così fece Cerbero, che non lascia mai in silenzio le sue vittime, tanto che vorrebbero essere sorde.

36 Noi passavamo sulle ombre di questa greve pioggia, e ponevamo i piedi sopra queste vittime.

39 Esse erano tutte a terra, a parte una, che si alzò prontamente vedendoci passare davanti

42 “Tu, che passi da questo tratto dell’inferno”, mi disse, “cerca di riconoscermi, sei nato prima che io fossi morto”

45 E io a lui “La tanta angoscia che provi forse ti porta fuori dalla mia mente, tanto che non mi pare di averti mai visto

48 Ma dimmi tu che sei in un posto così dolente, che anche qualora ne dovesse esistere uno simile, non sarebbe mai così spiacevole”

51 Ed egli a me “La tua città -Firenze-, che è colma di invidia, mi tenne con sé durante la mia vita serena.

54 Voi fiorentini mi chiamaste Ciacco e par la dannosa colpa della gola, come tu vedi, mi trovo immerso nelle acque.

57 E io anima triste non sono sola, perché tutti quelli che vedi qui stanno passando simili pene per simili colpe. E non disse più niente.

60 Al che io gli risposi “Ciacco, il tuo affanno mi rattrista tanto che mi vien da piangere, ma dimmi se lo sai quale fazione vincerà.

63 Dimmi se c’è qualche giusto tra loro e dimmi la ragione per cui questa discordia ha avuto luogo”

66 E lui a me “Dopo lunga tenzone, arriverà il sangue e la parte selvaggio (“i bianchi”) cacceranno gli altri (“i neri) con molte offese.

69 Ma dopo tre anni “i bianchi” soccomberanno e il partito dei “neri” vincerà grazie all’aiuto di qualcuno che adesso tentenna.

72 “I neri” terrà la testa alta per molto tempo opprimendo “i bianchi” per tanto tempo senza onta e senza piangerne.

75 I giusti son pochissimi e mai ascoltati, perché superbia, invidia e avarizia sono le tre scintille che tengono i cuori infiammati.”

78 Qui pose fine al suo discorso lamentoso. E io gli dissi “Desidero che tu mi dica altro, per favore”

81 Dimmi dove sono Farinata e il Tegghiaio, che furono così insigni, Iacopo Rusticci, Arrigo, i Mosca e tutti coloro che (a Firenze) posero il loro ingegno

84 Dimmi dove sono, così che io possa riconoscerli, ho grande desiderio di sapere se sono in cielo o all’inferno”

87 Mi disse “Essi sono tra le anime più nere, ciascuno di loro si è macchiato di colpe diverse e risiedono nei rispettivi cerchi, se scendi li vedrai.

90 Ma quando sarai in paradiso ti prego di ricordare il mio nome agli altri. Non posso più né risponderti né parlarti.”

93 Gli occhi dritti allora rovesciò, guardandomi un poco e chinando la testa e cadde al pari degli altri dannati.

96 Virgilio mi disse “Non si sveglierà se non poco prima del giudizio universale, quando arriverà il Cristo redentore.

99 Quando ciascuno rivedrà la sua triste tomba, riprenderà la sua carne e la sua figura e udirà il giudizio eterno”

102 Così passammo attraverso questa sozza mistura, fatta di ombre e pioggia, a passi lenti, ragionando della vita futura.

105 Quindi io gli dissi “Maestro, questi tormenti aumenteranno o diminuiranno dopo il giudizio universale? Oppure rimarranno uguali?”

108 Ed egli a me “Ricorda la tua dottrina, che afferma che tanto più una sostanza è tale, tanto più forte sente il piacere e il dolore.

111 Tutte questa anime maledette non raggiungeranno mai la perfezione, anche se credono il contrario”

114 Noi aggirammo il cerchio dicendo tante di quelle cose che ora non posso ridirle, quando arrivammo ad un punto in cui la strada scendeva.

E qui trovammo Pluto, il gran nemico.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Da tempo ci si chiede se le profezie di Ciacco, fatte su avvenimenti politici del 1302, siano vere o se Dante molto semplicemente abbia scritto il canto 6 posteriormente a quella data, facendo fare a Ciacco una "posteriore profezia".

Io opto convintamente per la seconda ipotesi: la mia opinione è che il canto sia stato scritto dopo il 1302, anche perchè visto che la situazione a Firenze in quell'inizio di secolo, era piuttosto complicata, non credo potesse essere così semplice per Dante capire gli sviluppi futuri e azzeccarli così in pieno.

Ciacco, la cui figura appare tale e quale nel Decamerone di Boccaccio, è figura controversa, nel senso che non si sa a chi Dante si riferisse.

Di certo è un personaggio goffo ed estremamente caricaturale e il suo stesso soprannome (traducibile in qualcosa come..."maialone"!) ci dice tanto di quale fosse la sua colpa maggiore: quella gola a cui Dante riserva un trattamento estremamente severo, forse perchè il peccato racchiude una debolezza d'animo e una voracità di intenti che vanno al di là del semplice "mangiare ghiottonerie".

@momi; hai un'opinione su chi potesse essere Ciacco? Cosa pensi delle sue profezie?
 

momi

Member
Per me questo è il canto più cupo e opprimente incontrato finora: la pioggia “eterna,maladetta, fredda e grave” mischiata a neve e fango, la terra che “fete”, l’oscurità e i latrati di cerbero .
E poi c’è la figura di Ciacco, questo non ben definito personaggio fiorentino che Dante non riconosce neanche (tanto è trasfigurato dal dolore) e verso il quale prova solo una pietà di convenienza, tant’è che non gli chiede di raccontare la sua storia o il suo peccato, ma solo lo interroga sul futuro di Firenze e di conseguenza del suo proprio:
…. Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa sì, ch’a lacrimar mi ‘nvita;
ma dimmi….
E poi la drammatica conclusione del colloquio con Dante, con Ciacco che ricade a testa in giù dopo aver torto gli occhi e aver guardato per l’ultima volta il poeta.
E’ un canto che mi mette angoscia e mi fa venire alla mente alcune foto,
sebastiao-salgado-miniera-di-serra-pelada.jpg

o forse sono le foto che mi hanno fatto venire in mente l’inferno!
 

momi

Member
Da tempo ci si chiede se le profezie di Ciacco, fatte su avvenimenti politici del 1302, siano vere o se Dante molto semplicemente abbia scritto il canto 6 posteriormente a quella data, facendo fare a Ciacco una "posteriore profezia".

Io opto convintamente per la seconda ipotesi: la mia opinione è che il canto sia stato scritto dopo il 1302, anche perchè visto che la situazione a Firenze in quell'inizio di secolo, era piuttosto complicata, non credo potesse essere così semplice per Dante capire gli sviluppi futuri e azzeccarli così in pieno.

Ciacco, la cui figura appare tale e quale nel Decamerone di Boccaccio, è figura controversa, nel senso che non si sa a chi Dante si riferisse.

Di certo è un personaggio goffo ed estremamente caricaturale e il suo stesso soprannome (traducibile in qualcosa come..."maialone"!) ci dice tanto di quale fosse la sua colpa maggiore: quella gola a cui Dante riserva un trattamento estremamente severo, forse perchè il peccato racchiude una debolezza d'animo e una voracità di intenti che vanno al di là del semplice "mangiare ghiottonerie".

@momi; hai un'opinione su chi potesse essere Ciacco? Cosa pensi delle sue profezie?

Non saprei, ma certo doveva essere uno di quei personaggi che sono da tutti conosciuti, nella comunità in cui vivono ovviamente, e che forse Dante conosceva più di fama che personalmente,
ma di certo non è il tipo di persona simpatica o che Dante ammirasse.

E poi penso proprio che le profezie siano state scritte dopo che i fatti raccontati sono già avvenuti e Dante già in esilio. Dante sarà anche un gran poeta, ma non credo avesse proprio il dono della preveggenza, sennò si sarebbe evitato l'esilio e noi la commedia :mrgreen:
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
La mia terzina del sesto canto è questa;


Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d'i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,


E' quella di apertura e la trovo interessante perchè mi sembra, nella sua rilassante musicalità, una prosecuzione del quinto. E' una terzina dolce nella forma quanto nostalgica nel contenuto, quando tutto il restante canto è fatto di durezza e immagini cupe.

Quando vuoi puoi postare il canto 7.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Per me questo è il canto più cupo e opprimente incontrato finora: la pioggia “eterna,maladetta, fredda e grave” mischiata a neve e fango, la terra che “fete”, l’oscurità e i latrati di cerbero .
E poi c’è la figura di Ciacco, questo non ben definito personaggio fiorentino che Dante non riconosce neanche (tanto è trasfigurato dal dolore) e verso il quale prova solo una pietà di convenienza, tant’è che non gli chiede di raccontare la sua storia o il suo peccato, ma solo lo interroga sul futuro di Firenze e di conseguenza del suo proprio:
…. Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa sì, ch’a lacrimar mi ‘nvita;
ma dimmi….
E poi la drammatica conclusione del colloquio con Dante, con Ciacco che ricade a testa in giù dopo aver torto gli occhi e aver guardato per l’ultima volta il poeta.
E’ un canto che mi mette angoscia e mi fa venire alla mente alcune foto,
sebastiao-salgado-miniera-di-serra-pelada.jpg

o forse sono le foto che mi hanno fatto venire in mente l’inferno!

Molto interessante la tua considerazione circa il fatto che Dante non consideri, se non di sfuggita, i motivi delle pene di Ciacco. Nettissima la "stroncatura" dell'autore in quelle due parole che citi ("ma dimmi") subito dopo a quella compassione che a questo punto sembrerebbe di facciata.

Tradotto "Ah, stai male! Ok, senti un po' a Firenze come andranno le cose?":HIPP

Mi hai fatto riflettere sul fatto che il rapporto che l'autore ha avuto con Paolo e Francesca è agli antipodi rispetto a quello che ha, qui, con Ciacco. Laddove nel canto precedente c'era compartecipazione e interesse, qui c'è totale distacco.

Forse perchè anche Dante era uomo che amava e mal vedeva chi perdeva tempo nei peccati puramente fisici come quello della gola.
 
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