I quattro pilastri della letteratura del '900?!

Grantenca

Well-known member
Mi fa piacere che da una discussione un po' "accesa" sia nato qualcosa di interessante e, per me personalmente, potenzialmente istruttivo visto che a differenza di molti di voi non ho fatto studi "classici" e alcuni libri e autori per ora rimangono fuori dalla mia portata.
Chissà che con l'aiuto di qualcuno di voi non mi venga voglia di fare il "salto di qualità".....:wink:

Per cominciare, se non l'hai già fatto, leggi il racconto "I morti" dai "Dubliners" di Joyce.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Mi fa piacere che da una discussione un po' "accesa" sia nato qualcosa di interessante e, per me personalmente, potenzialmente istruttivo visto che a differenza di molti di voi non ho fatto studi "classici" e alcuni libri e autori per ora rimangono fuori dalla mia portata.
Chissà che con l'aiuto di qualcuno di voi non mi venga voglia di fare il "salto di qualità".....:wink:

secondo me questi sono testi che vanno affrontati come si affronta un'avventura tipo trekking, con spirito di ricerca, passione e pazienza. Avventura dopo avventura ci si abitua e diventano testi come tutti gli altri, anzi delle passeggiate :)

per Mann parti da Morte a Venezia o dai Buddenbrock, per Joyce parti da Gente di Dublino, con Proust aspetta e anche con Musil, per Kafka arrischiati subito con le Metamorfosi
 

bonadext

Ananke
Per cominciare, se non l'hai già fatto, leggi il racconto "I morti" dai "Dubliners" di Joyce.
@Ila
Non ha senso leggere solo l'ultimo racconto :boh: Leggi tutti i racconti di "Gente di Dublino" che ne valgono veramente la pena :wink: se vuoi li leggiamo insieme, li rileggerei con piacere :wink:
 

ayuthaya

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Ulisse di Joyce

Punto di partenza di cosa? In cosa Kafka e gli altri citati hanno disegnato una via che prima non c'era?

Ecco di seguito riportata la parte che ti avevo detto:

"Si può essere grandi in molti modi, ma ce n’è uno davvero speciale, che è quello di inventare qualcosa che prima non esisteva e, allo stesso tempo, di farlo in un modo che costituisce di per se stesso il “vertice non superabile”, il massimo dispiegamento della propria potenzialità. Mi spiego: la vera grandezza di Joyce, e di pochi altri artisti come lui (nella letteratura moderna penso a Proust e Musil, rispettivamente ne “La Recherche” e ne “L’uomo senza qualità”), è quella di avere creato un nuovo modo di fare letteratura (in questo senso sono diventati dei veri e propri “progenitori” di un’infinita discendenza...) e insieme averne raggiunto l’apice.
Ricordo la bella recensione di Bonadext su L’uomo senza qualità, nella quale scrive che Musil con quest’opera “è arrivato a un punto da cui non si può più fare ritorno”. Sono d’accordo: da Joyce, Musil, Proust costituiscono punti di non ritorno e allo stesso tempo, ciascuno nella propria “invenzione”, rappresentano il limite oltre il quale non è possibile andare. Sono artisti “congelati”, dunque? No, perchè ognuno di essi, come dicevo prima, è diventato una sorgente per nuove correnti, alcune delle quali hanno preso direzioni diversissime, con risultati magari più facilmente apprezzabili rispetto all’originale, ma che ad essi innegabilmente devono la propria ragione d’essere."

(nel caso il passaggio non sia chiaro, magari provo a spiegarmi meglio...)

Da qui in poi invece può valere come risposta (una delle tante possibili) alla tua domanda specificatamente per Joyce:

"Si è detto che l’intento di Joyce (e una certa dose di autocompiacimento traspira innegabilmente dalle pagine del romanzo) non era di farsi amare, e nemmeno di raccontare semplicemente una storia, seppure in modo originale. No, lui secondo me era ben conscio di quello che stava facendo e cioè fondare un nuovo linguaggio che, fra le altre cose, fosse più aderente ai meccanismi della coscienza, della percezione. Ne sono un esempio il memorabile terzo episodio (forse quello che ho trovato più difficile di tutti), intitolato Proteo, in cui i suoni e gli stimoli esterni si mescolano ai pensieri di Stephen, confondendosi in una materia non a caso proteiforme; o il quindicesimo, geniale nella sua modernità e direi persino preveggenza, un vero inno letterario al subconscio; o ancora il diciottesimo, laddove il flusso di coscienza per cui Joyce è tanto famoso si dipana nella sua forma più estrema: più di quaranta pagine senza alcun segno di punteggiatura che faccia da filtro fra la semicoscienza di Molly (a metà strada fra il sonno e la veglia) e il modo in cui questa viene espressa.
Bè, quello che ho pensato è che ciononostante sarebbe un errore parlare di “realismo” letterario. É vero, indubbiamente Joyce ha fatto quello che nessuno aveva mai osato: ha rotto gli argini della forma tradizionale fino alle estreme conseguenze. Inutile ripeterlo: a partire dall’Ulisse la letteratura non sarà più la stessa. Però ritorna quella contraddizione di cui parlavo all’inizio: se è vero che con Joyce cadono i filtri artistici, linguistici, che separavano il mondo esterno dalla coscienza , è anche vero il suo linguaggio resta pur sempre un artificio, si plasma in una forma tutta sua. É difficile da spiegare, non so neanche se la mia intuizione sia corretta o no... ma mentre leggevo il monologo di Molly pensavo: davvero se la mia mente fosse libera di esprimere se stessa, la sua traduzione letterale e letteraria sarebbe questa, un interrotto flusso di parole e ardite associazioni di idee? Per certi versi sì, lo sarebbe: di sicuro i nostri pensieri non conoscono punteggiatura e la nostra mente vaga in modo apparentemente discontinuo e disordinato, seguendo fili a lei sola noti. Ma è anche vero che il modo in cui Joyce elabora questa intuizione resta, a mio avviso, una forma d’arte e, come tale, qualcosa di “costruito”. Non quindi una semplice per quanto rivoluzionaria trasposizione realistica dei meccanismi della nostra coscienza, bensì uno straordinario punto d’incontro fra questi meccanismi (nei quali rientrano la percezione degli stimoli esterni, la loro elaborazione, ricordi, paure, perversioni...) e la letteratura. Per questo parlavo di “posizione”: lo stile di Joyce si colloca esattamente a metà strada fra la coscienza e la creazione letteraria, il realismo e l’artificio.
Un nuovo linguaggio, insomma. Voleva farlo e ci è riuscito."
 

ayuthaya

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La Recherche di Proust

"Proust non è solo un poeta inarrivabile, non è solo un conoscitore straordinario dell’animo umano e delle sue più intime dinamiche... è anche un "nevrotico", la cui sensibilità (intesa proprio come "impressionabilità" rispetto a tutto ciò che lo circonda) è talmente elevata da far sì che non possa fare a meno di sezionare la propria vita in ogni suo più piccolo ed elementare aspetto, cercando, soppesando, analizzando, rivoltando senza posa... La stessa precisione, la stessa esasperante meticolosità egli la riversa poi nella scrittura, che straborda di riferimenti, citazioni, digressioni, rimandi avanti e indietro ad altri punti della sua stessa colossale opera... è indubbio che Proust non sia proprio quel che si dice uno "scrittore epigrafico", ma questa sua incontenibile verbosità è un vortice da cui è difficile non farsi trascinare e nel quale io mi sono pienamente ritrovata e riconosciuta. Leggere Proust è un'esperienza incredibile, sconvolgente ed... estenuante (se a questo secondo termine è possibile dare un’accezione tutta positiva)!

Potrei scrivere mille cose su questo libro, ma quello che forse più mi ha più colpito è il modo in cui Proust rappresenta la relazione indissolubile fra la realtà e la nostra coscienza. Nessuna oggettività è riconosciuta in ciò che ci circonda, perchè anche la "materialità" nella quale siamo immersi (le nozioni di tempo e spazio, gli odori, i rumori, i sapori...) giunge a noi deformata dal filtro della nostra percezione, che è qualcosa di "unico e irripetibile" proprio come ognuno di noi... E non solo! Qualsiasi elemento (una camera d'albergo, un gruppo di alberi, la visione fugace di una persona che ci colpisce, l'attesa di un piacere a lungo rimandato - per fare qualche esempio tratto dal romanzo) è protagonista di un dialogo continuo e intimo con la nostra anima: suscitando emozioni, risvegliando ricordi che credevamo sopiti, fungendo da depositario delle nostre paure e delle nostre aspettative... Ogni gesto, ogni pensiero, ogni nostra più piccola sensazione si rivela quindi uno spiraglio aperto su quel mondo sconfinato e insondabile che è la nostra coscienza. E tutto questo Proust lo descrive in modo sublime, in pagine che sono pura poesia..."

Scusatemi se mi sono permessa di riportare pari pari cose che avevo già scritto in PB, ma davvero in questi giorni ho poco tempo e magari può essere un punto di partenza di eventuali ulteriori confronti... Poi è chiaro che se vogliamo davvero andare a capire LE RAGIONI SPECIFICHE per cui questi autori e soprattutto queste opere sono ritenute così importanti, l'unica cosa da fare è spulciare qualche breve saggio: in fin dei conti non ci vedo nulla di male ad ammettere che c'è chi ne sa più di noi... :MUCCA Quello che ho riportato sono solo alcuni degli aspetti che hanno colpito ME come lettrice, con tutti i limiti del caso... :)
 

ayuthaya

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Per Musil, infine, è più complesso perchè nel commento a L'uomo senza qualità in PB sono stata più "emotiva" che "analitica", e questo proprio perchè fra questi tre è stato il romanzo che ho amato di più...
Magari nei prossimi giorni provo a focalizzarmi sui criteri oggettivi che rendono immensa quest'opera, oltre a quelli - per così dire - soggettivi (e questo proprio perchè, un po' forzatamente, sto cercando di separare l'aspetto dell'apprezzamento personale da quello del valore oggettivo e quindi valido per tutti...
 

ila78

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@Ila
Non ha senso leggere solo l'ultimo racconto :boh: Leggi tutti i racconti di "Gente di Dublino" che ne valgono veramente la pena :wink: se vuoi li leggiamo insieme, li rileggerei con piacere :wink:

Ma volentieri grazie!!!! Magari mi fai da guida e da "supporto" in caso di difficoltà!!!

Ci mettiamo d'accordo dai....:ABBB
 

Spideytv

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secondo me questi sono testi che vanno affrontati come si affronta un'avventura tipo trekking, con spirito di ricerca, passione e pazienza. Avventura dopo avventura ci si abitua e diventano testi come tutti gli altri, anzi delle passeggiate :)

per Mann parti da Morte a Venezia o dai Buddenbrock, per Joyce parti da Gente di Dublino, con Proust aspetta e anche con Musil, per Kafka arrischiati subito con le Metamorfosi

Intanto scriviamoli per bene, i Buddenbrook e LA Metamorfosi:D

A parte questo, sì sono d'accordo. Scusate l'intromissione, mi sono appena iscritto e ho visto questa discussione!
 

Spideytv

New member
Devo dire che in gioventù ho letto un pò tutti questi grandi autori, a parte Proust che proprio non fa per me (ayuthaya hai tutta la mia ammirazione) e Joyce, del quale ho letto appunto solo qualche racconto da Gente di Dublino. Poi col tempo mi sono aperto anche ad altre letture
 

ayuthaya

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Grande, immenso Musil!!!! :ad:
Mentre mi stavo interrogando su cosa scrivere, mi è venuto incontro lui stesso con un brevissimo saggio tratto dal libro che sto leggendo adesso e che si intitola (lo scritto, non il libro) "sui libri di Robert Musil" in cui in pratica parla di se stesso! In poche parole è lui stesso a spiegare in cosa si differenzia dai suoi predecessori e quindi in cosa consiste la sua grandezza (questo lo dico io!)!
Appena ho un po' di tempo riporto i passaggi più significativi, sono davvero PERFETTI per questa discussione!!!!

Io Musil lo amoooooo!!!!!!!!! :sbav:
 
Ultima modifica:

ayuthaya

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Ma ti dedichi anche a qualche lettura meno impegnativa ogni tanto ayuthaya?

Mi sa che ti sei perso il commento su Joyce alla pagina precedente! :mrgreen:
Scherzi a parte, è che essendo venuta fuori questa discussione a causa di una mia battuta in risposta a una di Des, mi sembrava giusto andare fino in fondo! D'altra parte più ci sto riflettendo in questi due giorni più mi sto rendendo conto di nuovi aspetti a cui non avevo pensato prima... Domani vedo di scrivere qualcosa su Mann e provare a tirare le somme per quella che è la mia opinione su queste tre opere.

PS per rispondere alla tua domanda: certo che sì, ma non danno le stesse soddisfazioni! :mrgreen:
 

ayuthaya

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L'uomo senza qualità di Musil

Uno scritto di poche pagine davvero fantasioso: l’io narrante, un “geologo letterario” e un amico scrittore di Musil sono all’interno del cervello di quest’ultimo, con la sede dei Turbamenti del giovane Torless da una parte e le Unioni dall’altra. Arrivo al dunque: l’io narrante, stimolato dal cervello stesso di Musil, parla delle sue opere, “difendendole” contro le critiche del geologo (il quale le accusa di mancanza di vigore descrittivo) e scrive

La realtà che si descrive è sempre solo un pretesto. (...) Ma è dagli inizi del romanzo che ci atteniamo a un concetto di narrazione che ne discende. E lo sviluppo vuole che la descrizione della realtà diventi finalmente uno strumento al servizio dell’uomo forte nei concetti; con il suo aiuto egli potrà accostarsi furtivamente a conoscenze del sentimento e a vibrazioni del pensiero che non si lasciano cogliere in generale, né attraverso i concetti, ma solo nel tremolio del caso individuale. Io sostengo che Musil riesce a cogliere quelle conoscenze e quelle vibrazioni; che non si limita ad accennarle o a intuirle.

Il geologo risponde che questa è speculazione e che in un romanzo dovrebbe invece prevalere la “vitalità” narrativa, e qui c’è il passaggio che mi ha emozionato di più (a parlare è sempre l’io narrante):
Ma una volta ogni tanto si può sentore il bisogno di dire di più, e in modo più preciso, di quel che consentono questi strumenti. E allora si dà forma a uno strumento nuovo. L’arte è una via di mezzo fra concettualità e concretezza. Di solito narra per azioni; e i significati restano all’orizzonte, come una nebbia. Oppure sono limpidi: ma allora erano in gran parte già noti. Non si può tentare, per una volta, con impazienza, di ampliare il nesso oggettivo dei sentimenti e dei pensieri? (...)”

Il geologo “Insomma, il ventesimo secolo è tutto un rimbombo di eventi, e quest’uomo non sa dire nulla di decisivo sui fenomeni della vita, nè sulla vita dei fenomenti! Mera ipoteticità, ecco l’anima della sua poesia.
Risposta “Si tratterebbe di verificare se un’opera d’arte sia oscura per incapacità del suo creatore, o se invece per incapacità del lettore che gli paia oscura. Bisognerebbe estrarne, uno per uno, gli elementi spirituali con cui è costruita. Fra questi elementi decisivi sono – a dispetto di un comodo pregiudizio dei poeti – dei pensieri. Certamente, non bisognerà mai rappresentarli come tali, come puri pensieri, non sto facendo la difesa d’ufficio del razionalismo (...). Eppure, alla fine, fare opera di poesia significa riflettere sulla vita e rappresentarla.



Allora, in cosa consiste la grande rivoluziana musiliana, di cui L’uomo senza qualità costituisce l’apice? Quest’ultimo è un vero e proprio romanzo-saggio, l’azione narrativa è quasi annullata e al suo posto domina il pensiero, e in particolare il pensiero sull’uomo moderno. La novità introdotta da quest’opera è (esattamente come in Joyce e in Proust) di due ordini: uno propriamente “stilistico” (e in questo caso ognuno dei tre ha fondato un nuovo linguaggio, con caratteristiche assolutamente peculiari e irripetibili) e uno di contenuti.
Musil ha modellato il romanzo filosofico per eccellenza e, nel fare questo, ha riflettuto su tutti (e dico TUTTI) gli aspetti della vita – l’amore, lo spirito, Dio e la morale, la realtà e la possibilità, la Storia, le idee, l’azione, la verità e le opinioni, il sentimento, il pensiero, la politica e il denaro, la sanità e la follia, l'estasi, il bene e il male, i buoni e i cattivi, i “buoni” Cattivi e i “cattivi” Buoni, il genio e la mediocrità, il sesso, la pace e la guerra, la giustizia, il libero arbitrio – interrogandosi su come tutti questi aspetti si siano evoluti nell’età moderna.

In conclusione, azzardo una sintesi (da prendere con le pinze, non sono un critico)
Joyce: il più rivoluzionario soprattutto dal punto di vista stilistico, dopo di lui la letteratura non sarà più la stessa, perchè ha saputo “rompere” gli argini formali nei quali era contenuto il flusso della letteratura. Credo che su di lui ci sia davvero poco da discutere: Joyce è la modernità nella letteratura.

Proust: anche lui è stato rivoluzionario, anche se forse ce ne accorgiamo meno. La sua scrittura è introspettiva, ripiegata in se stessa, trova in se stessa il suo sostentamento. Ma la cosa più importante è che, parallelamente a Joyce (ma con presupposti ed esiti evidentemente opposti), ha saputo unire indissolubilmente lo stile letterario ai meccanismi della coscienza (vedi la “non oggettività” di spazio e tempo, i riferimenti a Bergson...).

Musil: come dice lui stesso di sè, è l’irrompere del “pensiero” speculativo, filosofico, nella forma del romanzo. Un vero libro-mondo che passa in rassegna tutti gli aspetti della realtà in rapporto al difficile passaggio dalla tradizione alla modernità (che poi, badate bene, tutte queste tre opere – poichè di opere specifiche stiamo parlando e non solo di autori, e guarda caso sono tutte opere di una certa consistenza – sono situate nello stesso momento storico e anche solo per questa ragione costituiscono il punto di svolta della letteratura moderna; per questo dicevo che non è un’opinione ma un dato di fatto).

Spero che la discussione possa continuare...
 
Ultima modifica:

malafi

Well-known member
Allora, in cosa consiste la grande rivoluziana musiliana, di cui L’uomo senza qualità costituisce l’apice? Quest’ultimo è un vero e proprio romanzo-saggio, l’azione narrativa è quasi annullata e al suo posto domina il pensiero, e in particolare il pensiero sull’uomo moderno. La novità introdotta da quest’opera è (esattamente come in Joyce e in Proust) di due ordini: uno propriamente “stilistico” (e in questo caso ognuno dei tre ha fondato un nuovo linguaggio, con caratteristiche assolutamente peculiari e irripetibili) e uno di contenuti.
Musil ha modellato il romanzo filosofico per eccellenza e, nel fare questo, ha riflettuto su tutti (e dico TUTTI) gli aspetti della vita – l’amore, lo spirito, Dio e la morale, la realtà e la possibilità, la Storia, le idee, l’azione, la verità e le opinioni, il sentimento, il pensiero, la politica e il denaro, la sanità e la follia, l'estasi, il bene e il male, i buoni e i cattivi, i “buoni” Cattivi e i “cattivi” Buoni, il genio e la mediocrità, il sesso, la pace e la guerra, la giustizia, il libero arbitrio – interrogandosi su come tutti questi aspetti si siano evoluti nell’età moderna.
..

Avendo letto solo Musil dei 4 'pilastri' (Mann è in lettura), condivido 100% questo tuo pensiero.
In particolare dell'uomo moderno, ne ha descritto talmente bene i tratti, le pulsioni e le debolezze, da risultare attualissimo il suo trattato.
Più volte, nella lettura, mi sono detto 'ma già allora pensavano così?' oppure 'ma ancora oggi non abbiamo superato questo, dopo che ne siamo consapevoli (forse lui lo era) e vinti da un secolo?
 

malafi

Well-known member
In effetti la chiave per leggere Musil è: non sto leggendo un romanzo, ma un saggio filosofico. Le vicende - che però, va detto, aiutano o aiuterebbero il lettore e forse qui ha ragione il geologo - sono solo il pretesto (un po' come lo erano i dialoghi di Platone o l'Elogio della Follia, ecc...) sui quali incardinare il proprio pensiero.

p.s. certo che il nostro Musil era proprio modesto per scrivere un libello come quello che ha letto Ayu :mrgreen:
 

bonadext

Ananke
Su Musil e... gli "altri"

Sto giusto leggendo uno scritto di Giancarlo Mazzacurati "Musil e la crisi della verità", allegato al saggio "Sulla stupidità" di Musil, dove il critico spiega la grandezza di Musil (e di pochi altri) nel ridefinire il termine "romanzo"... riporto le prime tre pagine che mi sembrano perfette per questa discussione

pag 1
4kduzc.jpg


pag 2
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pag 3
23jk2g6.jpg
 

Grantenca

Well-known member
Grande, immenso Musil!!!! :ad:
Mentre mi stavo interrogando su cosa scrivere, mi è venuto incontro lui stesso con un brevissimo saggio tratto dal libro che sto leggendo adesso e che si intitola (lo scritto, non il libro) "sui libri di Robert Musil" in cui in pratica parla di se stesso! In poche parole è lui stesso a spiegare in cosa si differenzia dai suoi predecessori e quindi in cosa consiste la sua grandezza (questo lo dico io!)!
Appena ho un po' di tempo riporto i passaggi più significativi, sono davvero PERFETTI per questa discussione!!!!

Io Musil lo amoooooo!!!!!!!!! :sbav:

Certo dopo quello che scrivi su Musil mi sento un po' in colpa per non averlo letto!!! Non poniamo però limiti alla provvidenza, chissà, in un prossimo futuro... anche se un po' di sospetto paura e diffidenza non mi lascia, pensando che hai ultimato (e. soprattutto, apprezzato) l'Ulisse di Joyce. Il coraggio non è il mio forte. Sono rimasto legato alla solida base dove questi pilastri sono ancorati (Dostevskij e soprattutto, per me Tolstoj).
Bella discussione, comunque.
 
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