L'uomo senza qualità di Musil
Uno scritto di poche pagine davvero fantasioso: l’io narrante, un “geologo letterario” e un amico scrittore di Musil sono all’interno del cervello di quest’ultimo, con la sede dei Turbamenti del giovane Torless da una parte e le Unioni dall’altra. Arrivo al dunque: l’io narrante, stimolato dal cervello stesso di Musil, parla delle sue opere, “difendendole” contro le critiche del geologo (il quale le accusa di mancanza di vigore descrittivo) e scrive
“La realtà che si descrive è sempre solo un pretesto. (...) Ma è dagli inizi del romanzo che ci atteniamo a un concetto di narrazione che ne discende. E lo sviluppo vuole che la descrizione della realtà diventi finalmente uno strumento al servizio dell’uomo forte nei concetti; con il suo aiuto egli potrà accostarsi furtivamente a conoscenze del sentimento e a vibrazioni del pensiero che non si lasciano cogliere in generale, né attraverso i concetti, ma solo nel tremolio del caso individuale. Io sostengo che Musil riesce a cogliere quelle conoscenze e quelle vibrazioni; che non si limita ad accennarle o a intuirle.”
Il geologo risponde che questa è speculazione e che in un romanzo dovrebbe invece prevalere la “vitalità” narrativa, e qui c’è il passaggio che mi ha emozionato di più (a parlare è sempre l’io narrante):
“Ma una volta ogni tanto si può sentore il bisogno di dire di più, e in modo più preciso, di quel che consentono questi strumenti. E allora si dà forma a uno strumento nuovo. L’arte è una via di mezzo fra concettualità e concretezza. Di solito narra per azioni; e i significati restano all’orizzonte, come una nebbia. Oppure sono limpidi: ma allora erano in gran parte già noti. Non si può tentare, per una volta, con impazienza, di ampliare il nesso oggettivo dei sentimenti e dei pensieri? (...)”
Il geologo “Insomma, il ventesimo secolo è tutto un rimbombo di eventi, e quest’uomo non sa dire nulla di decisivo sui fenomeni della vita, nè sulla vita dei fenomenti! Mera ipoteticità, ecco l’anima della sua poesia.”
Risposta “Si tratterebbe di verificare se un’opera d’arte sia oscura per incapacità del suo creatore, o se invece per incapacità del lettore che gli paia oscura. Bisognerebbe estrarne, uno per uno, gli elementi spirituali con cui è costruita. Fra questi elementi decisivi sono – a dispetto di un comodo pregiudizio dei poeti – dei pensieri. Certamente, non bisognerà mai rappresentarli come tali, come puri pensieri, non sto facendo la difesa d’ufficio del razionalismo (...). Eppure, alla fine, fare opera di poesia significa riflettere sulla vita e rappresentarla.”
Allora, in cosa consiste la grande rivoluziana musiliana, di cui L’uomo senza qualità costituisce l’apice? Quest’ultimo è un vero e proprio romanzo-saggio, l’azione narrativa è quasi annullata e al suo posto domina il pensiero, e in particolare il pensiero sull’uomo moderno. La novità introdotta da quest’opera è (esattamente come in Joyce e in Proust) di due ordini: uno propriamente “stilistico” (e in questo caso ognuno dei tre ha fondato un nuovo linguaggio, con caratteristiche assolutamente peculiari e irripetibili) e uno di contenuti.
Musil ha modellato il romanzo filosofico per eccellenza e, nel fare questo, ha riflettuto su tutti (e dico TUTTI) gli aspetti della vita – l’amore, lo spirito, Dio e la morale, la realtà e la possibilità, la Storia, le idee, l’azione, la verità e le opinioni, il sentimento, il pensiero, la politica e il denaro, la sanità e la follia, l'estasi, il bene e il male, i buoni e i cattivi, i “buoni” Cattivi e i “cattivi” Buoni, il genio e la mediocrità, il sesso, la pace e la guerra, la giustizia, il libero arbitrio – interrogandosi su come tutti questi aspetti si siano evoluti nell’età moderna.
In conclusione, azzardo una sintesi (da prendere con le pinze, non sono un critico)
Joyce: il più rivoluzionario soprattutto dal punto di vista stilistico, dopo di lui la letteratura non sarà più la stessa, perchè ha saputo “rompere” gli argini formali nei quali era contenuto il flusso della letteratura. Credo che su di lui ci sia davvero poco da discutere: Joyce è la modernità nella letteratura.
Proust: anche lui è stato rivoluzionario, anche se forse ce ne accorgiamo meno. La sua scrittura è introspettiva, ripiegata in se stessa, trova in se stessa il suo sostentamento. Ma la cosa più importante è che, parallelamente a Joyce (ma con presupposti ed esiti evidentemente opposti), ha saputo unire indissolubilmente lo stile letterario ai meccanismi della coscienza (vedi la “non oggettività” di spazio e tempo, i riferimenti a Bergson...).
Musil: come dice lui stesso di sè, è l’irrompere del “pensiero” speculativo, filosofico, nella forma del romanzo. Un vero libro-mondo che passa in rassegna tutti gli aspetti della realtà in rapporto al difficile passaggio dalla tradizione alla modernità (che poi, badate bene, tutte queste tre opere – poichè di opere specifiche stiamo parlando e non solo di autori, e guarda caso sono tutte opere di una certa consistenza – sono situate nello stesso momento storico e anche solo per questa ragione costituiscono il punto di svolta della letteratura moderna; per questo dicevo che non è un’opinione ma un dato di fatto).
Spero che la discussione possa continuare...