LXXXIV GdL - Evgenij Onegin di Puškin

elisa

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finito oggi, è un poema che mi lascia tante domande e poche risposte, cerco di provarci a rispondere e poi posto un commento finale alla lettura un po' più sensato :)
 

Minerva6

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Finito:

estersable88: ho trovato questo romanzo, il primo che leggo di Puskin, piacevole ma non particolarmente emozionante; nonostante fossi curiosa di conoscere l’evoluzione della storia, il libro non è riuscito a coinvolgermi fino in fondo. Ad ogni modo riconosco che si tratta di un’ottima lettura, perciò la consiglio. Ultima considerazione: nei romanzi d’amore di solito mi piacciono i finali alla “e vissero felici e contenti”, ma in questo caso sono contenta che sia andata diversamente! Onegin come personaggio non mi piace e l’ho trovato borioso ed arrogante, perciò… ben gli sta!

Minerva6

Spilla: la prima idea che mi sono fatta di questo lavoro è che sia, volutamente e studiatamente, frammentario e discontinuo. L'autore si diverte a portarci qui e là con i suoi pensieri, quasi ad anticipare i flussi di coscienza del '900. La storia, che ha di sicuro un valore, è però una scusa per divagare, cogliere pensieri e idee. Probabilmente anche musicalità e lessico qui giocano un ruolo importante, ma noi che leggiamo in traduzione non lo sapremo mai. E tesi, suggerimenti, critiche al presente, brevi saggi letterari sono le tessere di un puzzle che Puskin si diverte a gettarci davanti, quasi a dire: beh, che immagine te ne fai, di tutto questo?

elisa: ho avuto la netta sensazione che sfugga sempre qualcosa della trama e dei contenuti attraverso una forma che non riuscivo a farmela diventare propria durante la lettura. Non è un problema di versi ma proprio di abitudine e forse di approccio cognitivo alla lettura, come se non riuscissi a far combaciare lo stile con il contenuto, una specie di "inganno" del cervello. Per cui sospendo il giudizio perché non sono in grado di esprimerlo in modo compiuto se non che è una lettura gradevole, ma mi rendo conto di quanto questo "gradevole" sia generico e riduttivo.

In lettura:

francesca
 
Ultima modifica:

francesca

Well-known member
L'ho ripreso in mano ieri: lo stavo leggendo in contemporanea con un altro libro ma ho capito che non era proprio il caso, per lo stile non è un libro che si possa inframmezzare ad un altro, sembra più fatto per essere letto tutto di seguito.
Ho finito ieri il III capitolo, a me piace, sì è vero, è un po' difficile da seguire, sarei quasi tentata di riniziarlo da capo.
La sensazione è quella di attraversare una storia danzando, senza molta possibilità di fermarsi a riflettere o capire, come immagini che scorrono veloci e lievi.
I personaggi sembrano ombre appena abbozzate, difficile coglierne la reale dimensione.
E' tutto veloce, leggero e sfocato.

Mi sa che devo ancora entrare nella storia, ma mi chiedo se ci entrerò mai.

Francesca
 

elisa

Motherator
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anche io ho avuto la netta sensazione che sfugga sempre qualcosa della trama e dei contenuti attraverso una forma che non riuscivo a farmela diventare propria durante la lettura. Non è un problema di versi ma proprio di abitudine e forse di approccio cognitivo alla lettura, come se non riuscissi a far combaciare lo stile con il contenuto, una specie di "inganno" del cervello. Per cui sospendo il giudizio perché non sono in grado di esprimerlo in modo compiuto se non che è una lettura gradevole, ma mi rendo conto di quanto questo "gradevole" sia generico e riduttivo.
 

Spilla

Well-known member
Provo a scrivere un commento finale.
Non che io abbia le idee chiare :boh:... Allora, per cominciare, la prima idea che mi sono fatta di questo lavoro è che sia, volutamente e studiatamente, frammentario e discontinuo. L'autore si diverte a portarci qui e là con i suoi pensieri, quasi ad anticipare i flussi di coscienza del '900.
La storia, che ha di sicuro un valore, è però una scusa per divagare, cogliere pensieri e idee. Probabilmente anche musicalità e lessico qui giocano un ruolo importante, ma noi che leggiamo in traduzione non lo sapremo mai.
E tesi, suggerimenti, critiche al presente, brevi saggi letterari sono le tessere di un puzzle che Puskin si diverte a gettarci davanti, quasi a dire: beh, che immagine te ne fai, di tutto questo?
In questo marasma ben poco ordinato (per lo meno nella mia testa :?), alcune cose mi hanno colpito, qua e là, senza logica né nesso apparente:
  1. Puskin deplora la condizione della lingua russa, che nessuno sa usare, se non mescolandola ad assurdi termini stranieri. Vorrebbe forse rifondarla (e mi pare citi Manzoni, no? Che sciacquava i panni in Arno...)
  2. Puskin è orgogliosissimo della sua opera e, ovviamente, detesta i critici, che tratta con irridente disprezzo
  3. Tatiana è una figura solida e autentica. Era una giovinetta sognatrice ma sa diventare una donna concreta e coerente. Il futuro, come il presente, è donna :HIPP
  4. Eugenio è quanto di male ci possa essere: si atteggia sulla base delle mode letterarie dell'epoca e alla fine si rivela, nelle parole di Tatiana, per quello che è, ossia un buono a nulla
  5. Vladimir è trattato meglio. Ma la sua morte svela quanto vacuo fosse anche l'amore della sua Olga (per la quale, pure, è morto)
  6. Bellissime e sognanti sono le descrizioni dei paesaggi nello scorrere delle stagioni. La neve, specialmente, è stato come vederla (da quanti anni non vedo la neve? :??)
  7. Puskin vuole, credo innovare e sperimentare. Il grande romanzo psicologico è solo agli inizi, le figure di "eroe negativo" , un po' decadente, forse non si sono ancora viste (forse aveva già scritto Lermontov? Dovrei controllare). Puskin è davvero un maestro, allora.


Ecco, questo è il commento. A questo punto devo procurarmi un volume di Storia della letteratura russa per verificare quante sciocchezze ho scritto...
 

francesca

Well-known member
Capitolo VI (spoiler)

Ci siamo, Onegin uccide Levskij.
Tutto accade in modo insensato, come se ognuno dei protagonisti fosse spinto da forze ineluttabili e assolutamente incontrollabili dalla loro volontà. Gli stessi innamoramenti sia di Tatiana che di Levskij sono scontati, vengono da sé.
Tutto ciò è tipicamente russo, i personaggi sono travolti dalla vita nonostante loro.

Come ho già anticipato la mia edizione ha molto note: questo mi ha fatto scoprire che il libro è infarcito da riferimenti alla vita intellettuale e sociale del suo tempo; in molte strofe Puskin cita intellettuali e fatti del suo tempo, strofe che sembrano chiacchiere da salotto, si citano scaramucce fra scrittori, fatterelli di cronaca, prese di posizioni di intellettualoidi del tempo.
Come se Puskin ne approfittasse per levarsi qualche sassolino dalle scarpe.
Secondo me questo contribuisce a rendere oscura la lettura per noi lettori moderni, di lingua, cultura e storia abbastanza lontana da quella russa; è difficile seguire tutti questi riferimenti, perché spesso si tratta proprio di cronaca spicciola.
Non c'è il senso storico universale dei grandi romanzi russi di Tolstoj o Dostoeskvij.
Tutto è molto "locale".

Francesca
 

francesca

Well-known member
A mio parere le descrizioni dei paesaggi, dei luoghi, del cambiamento delle stagioni sono bellissime.
Veri e propri momenti di poesia.
Riesce a rendere visibili i luoghi che descrive; mentre leggo i suoi versi, le sue descrizioni prendono vita, come se assistessi al lavoro di un pittore, e davanti a me nascesse un quadro.


Francesca
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Ieri sera ho letto il discorso del Dosto su Puskin, è molto interessante, lo trovate qui
http://www.rodoni.ch/OPERNHAUS/onegin/puskindosto.pdf

In particolare mi hanno colpita 3 parti:
- in una, riguardante proprio l'Onegin, Dosto dice che Puskin avrebbe fatto meglio se avesse intitolato il suo poema a Tatiana, perché è lei l'eroe principale, un tipo di bellezza positiva, l'apoteosi della donna russa, che forse non si è più ripetuta tranne che in un'opera di Turgenev
- in un'altra afferma che Onegin forse non ama nessuno e non è neppure capace di amare (io l'avevo intuito) e se Tatiana alla fine l'avesse seguito lui sarebbe stato deluso già il giorno dopo
-nell'ultima dichiara che Puskin è morto nel pieno fiore delle sue forze, portando certamente con sé nella tomba un grande segreto e ora tocca a noi di svelarlo senza di lui
 

francesca

Well-known member
Finito.
Come primo commento a caldo, posso dire che il libro mi è piaciuto, anche se non mi ha pienamente soddisfatto, mi sarebbe piaciuto sapere di più, sapere di più di Onegin, di Tatiana della loro evoluzione psicologica e caratteriale.
Adesso sto leggendo la prefazione alla mia edizione di una certa Pina Pera che è anche la traduttrice e devo dire che mi sta dando parecchi spunti di interpretazione e approfondimento che probabilmente ad una lettura spicciola rimangono sconosciuti.
Da quanto dice Onegin rappresenta un certo tipo di "Russia", la Russia sempre in ritardo, che dipende completamente dalla cultura europea, in particolare da quella francese da cui assorbe atteggiamenti, lingua, sentimenti, rinnegando la sua vera essenza. E' vero, più che alla francese, Onegin ha atteggiamenti alla dandy inglese, ma perché in quel periodo c'era una certa tendenza fra i giovani nobili russi a rinnegare gli usi francesi, senza affrancarsi veramente dalla cultura straniera, quindi considerando l'adesione alla cultura inglese come elemento di discontinuità, ma non di liberazione vera.
Fra l'altro la Pera spiega che nel periodo storico in cui Puskin scrive questo romanzo era già iniziato nella società intellettuale russa un processo di affrancamento dalla lingua e cultura francese, spinto anche dalla vicenda storica dell'invasione di Napoleone, e dalla sua sconfitta. Il popolo russo aveva preso coscienza della sua forza, del suo "carattere", e aveva bisogno di trovare la sua lingua, le sue forme di espressione: in questo Puskin è stato il genio, il precursore che ha aperto la strada alla vera grande letteratura russa.
Molto interessante anche l'interpretazione del romanzo in chiave di "antifiaba". La struttura infatti è tipica delle fiabe, c'è l'eroina (Tatiana) che deve affrontare l'antieroe (Onegin) per affrancare se stessa e superare l'ostacolo che impedisce la sua crescita, la sua realizzazione... in qualche modo l'eroina vince, ma non è una fiaba vera e propria perché manca il gran finale "e vissero felici e contenti".

Ho letto in alcuni dei vostri commenti che Dosto avrebbe detto che Pusking avrebbe fatto meglio ad intitolare il libro Tatiana.
Lungi da me mettere in dubbio le parole del grande Dosto, ma non sono d'accordo.
E' Onegin il vero elemento innovativo e dirompente nel libro, non è personaggio amabile o simpatico, ma contiene il succo vero del romanzo, è il paradigma della vita sprecata alla ricerca di non si sa cosa.
Tatiana ha in sè elementi riconoscibilissimi, ha una storia più nobile è vero, ma anche un po' più banale nella sua parabola psicologica, è l'eroina buona, di cui sono disseminati centinaia di romanzi ottocenteschi, cade ma si rialza e ricostruisce pezzo pezzo la sua dignità, e come sappiamo queste eroine romantiche spesso non hanno scampo, questa dignità conquistata la pagano al prezzo della felicità e del sacrificio.
Onegin ha in sé invece le caratteristiche dell'antieroe, che lo rendono più moderno, che ne fanno un personaggio che può uscire dal suo tempo e dire qualcosa ai lettori di tutti i tempi.
Può raccontare la noia di una vita insensata, passata fra passatempi inutili e logoranti, di una vita insensata anche nei momenti più tragici e alti, quando uccide l'amico, in un nonsense che prende alla gola chiunque abbia sperimentato quanto spesso gli eventi più tragici sorprendano per la loro ridicolezza.
Può raccontare la vita vissuta di corsa, talmente di corsa, da arrivare alla situazione paradossale di provare sentimenti in ritardo con ciò che viviamo veramente, addirittura da arrivare a perdere la capacità stessa di sapere cosa si vuol provare.
Vado avanti nella lettura della prefazione.
empre secondo la Pera, l'Onegin è uno dei più grandi romanzi russi di tutti i tempi, che probabilmente paga al suo giusto riconoscimento come capolavoro, la sua intraducibilità. Sarà interessante leggere le note alla traduzione.

Francesca
 
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