E' il quarto libro di Baricco che leggo e mi sembra un buon compendio dei suoi pregi e difetti più vistosi.
Baricco è bravo, sa costruire personaggi simpatici e scene raffinate, non gli mancano le trovate (Danny che si diverte coi nomi dei cavalli ad esempio) e qua e là sa essere suggestivo (l'apparizione dell'America all'inizio). La sequenza del duello è costruita con grande maestria, anche grazie al "leit-motiv" della sigaretta, la cui cenere che infine cade sulla scarpa immacolata del pianista "sfidante" è una riuscita immagine della sconfitta di quest'ultimo.
Purtroppo però non sempre lo stile riscatta l'artificiosità di certe scene, come quella del pianoforte "cullato" dalla musica di Novecento nel bel mezzo della tempesta: un "effetto speciale" molto superficiale, perchè la metafora che suggerisce (l'arte che "domina" le avversità della vita) è troppo scontata. Ma il peggio Baricco lo da' quando scivola nel "commerciale", come in frasi del tipo "il ragtime è la musica che Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro" che vorrebbe far tanto "figo" ma riesce soltanto sciocca, o nell'uso insistito delle parolacce (non sempre giustificato dal contesto). Anche il finale, in questo senso, manca di fantasia ("E' dinamite quella che hai sotto il culo, fratello": roba da western di serie C).
Nel complesso però Baricco resta bravo, un ottimo "artigiano" della parola quando non cede alle mode e talvolta anche un vero artista (specie in Oceano mare secondo me). Io credo che nelle Storie della letteratura italiana di questo secolo lui sarà uno dei pochissimi del nostro presente a venir menzionato.