Riflessioni scritte sul Brigantaggio

l'enigmista

New member
Baldassare , mi pari anche intelligente, e mi pare strano che , sia tu ora a darti dello sc**o con affermazioni che non ammettono nessuna forma di dialogo tranne la critica , è certo che in italia la politica non è delle migliori ( se siamo nella crisi , però non è colpa dei politici, è colpa nostra che li abbiamo eletti e non ci siamo fatti sentire quando facevano tutte le cattive cose che ora tutti dicono) ,è certo che l'eolico non può essere fatto da tutte le parti, ma è molto utile anche per l'italia, produce ancora poco, ma sta già riducendo l'inquinamento in italia di 7,3 mln. di tonnellate l'anno è poco solo 1.55% ma è già qualcosa .
E poi è inutile che tu continui a dire che il nord sta bene ,al nord viene concesso tutto : tanti soldi , meno irpef in italia nella mer** ci stanno tutti anche se è vero che il sud sta peggio. La colpa non è dei governi attuali, tutto parte da quando al sud dominavano i Borbone di Spagna , i quali, sfruttavano il sud invece di svilupparlo economicamente e poi di tutti i piani per portare il Sud sul piano economico del Nord non riusciti.
Per me queste sono tutte cavolate , anche quella dello sviluppo economico , in un paese come l 'Italia si dovrebbe campare tutti con i beni culturali che abbiamo e dovremmo mantenerli invece di farli cadere a pezzi e con questo ho finito.
Ovviamente è giusto mantenersi al passo coi tempi nell'economia ma migliorare il nostro patrimonio culturale curandolo un po' di più non ha mai fatto male
P.S. zietta come stai?
 

ila78

Well-known member
Sto bene grazie. Non mi permetto di entrare in discussioni sull'eolico perchè non sono sufficientemente informata e, come ho già detto, non amo sparare sentenze senza documentarmi adeguatamente, fossero pure sentenze prese da Focus Storia (che c'è di male? Qualcosa non va in Focus storia? Io sono abbonata da 3 anni e lo trovo un' ottima pubblicazione). L'anno scorso sono stata in Sicilia e ho visto delle pale eoliche anche lì, ricordo di aver pensato "Pensa come sono avanti sfruttano l'eolico". Ovviamente non sapevo nulla di quello che ha scritto e postato Balda qui. :boh: Ora sono confusa, anche questo necessita di approfondimento. Mi viene in mente che da noi c'è più o meno lo stesso problema con il fotovoltaico, con la scusa degli incentivi e del recupero dell'energia gli agricoltori (non pensate al contadino "bucolico" con la zappa in armonia con la natura, nella mia zona l'agricoltore è nella maggior parte dei casi UN IMPRENDITORE nel senso meno positivo del termine, ricco e potente) hanno riempito campi e campi di pannelli, non coltivano più niente, ma fanno ugualmente soldi a palate.
 

DoppiaB

W I LIBRI !
La colpa non è dei governi attuali, tutto parte da quando al sud dominavano i Borbone di Spagna , i quali, sfruttavano il sud invece di svilupparlo economicamente

Non è proprio così. Forse tu sei da poco in questo forum e non hai ancora potuto leggere tutti i post di Baldassarre all'interno di questo 3d.
Durante il regno dei Borbone il Sud non era sfruttato e sottosviluppato come ci vogliono far credere i libri di storia, anzi. Il regno di Napoli era uno dei regni più importanti e ricchi dell'Europa di quel tempo, molto più di quello dominato dai Savoia.
Baldassarre saprà spiegartelo meglio di me!

Per me queste sono tutte cavolate , anche quella dello sviluppo economico , in un paese come l 'Italia si dovrebbe campare tutti con i beni culturali che abbiamo e dovremmo mantenerli invece di farli cadere a pezzi e con questo ho finito.
Ovviamente è giusto mantenersi al passo coi tempi nell'economia ma migliorare il nostro patrimonio culturale curandolo un po' di più non ha mai fatto male

Il patrimonio culturale dell'Italia non ha uguali con altri Paesi europei se non mondiali, sarebbe bello se fosse considerato veramente un Patrimonio dallo Stato italiano. Non è così purtroppo.
Ricordiamoci che come il nostro patrimonio non è solo culturale ma anche ambientale, e l'eolico non aiuta a valorizzare il patrimonio ambientale nè quello culturale.
 

lettore marcovaldo

Well-known member
Intervengo nella discussione, perchè in passato ho letto alcune cose di questo thread e
trovo che ci siano diverse spunti interessanti.
Però vorrei controbattere certi giudizi storici, in particolare sulla situazione pre-unitaria
del regno di Napoli. Penso che si trascurino alcuni aspetti molto importanti.

Ripropongo un paio di dichiarazioni, che faccio mie e che mi sembrano riassumere molto bene la questione.

(fonte : Interpretazioni revisionistiche del Risorgimento - Wikipedia )

Indro Montanelli
Indro Montanelli, fortemente critico verso quegli storici che sostengono il primato del Regno delle Due Sicilie, scrive nella sua Storia d'Italia:«[...] il Piemonte era di gran lunga, tra gli stati italiani, il più florido, il meglio amministrato e il più efficiente. Alcuni meridionalisti hanno sostenuto e sostengono che questo primato spettava al Regno delle due Sicilie [...], e citano a riprova il fatto che fu Napoli, e non Torino a inaugurare la prima ferrovia. Questa ferrovia però, che si snodava per poche decine di chilometri, rimase unica o quasi, mentre il Piemonte ne costruiva per 850 chilometri. Quanto al bilancio, mentre Napoli badava a tenerlo in attivo con una politica di tesaurizzazione che lasciava il paese senza strade, senza scuole, senza servizi, Torino aggravava il disavanzo, ma per potenziare l'agricoltura e ammodernare l'industria rendendola competitiva con quella straniera»


Sergio Romano
Il giornalista e storico Sergio Romano parla di un "travisamento nazionale". Egli ha dichiarato:
« Per unanime consenso dell'Europa d'allora il Regno delle Due Sicilie era uno degli Stati peggio governati da una aristocrazia retriva, paternalista e bigotta. La «guerra del brigantaggio» non fu il fenomeno criminale descritto dal governo di Torino, ma neppure una guerra di secessione come quella che si combatteva negli Stati Uniti in quegli stessi anni. Fu una disordinata combinazione di rivolte plebee e moti legittimisti conditi da molto fanatismo religioso e ferocia individuale. La classe dirigente unitaria fece una politica che favoriva le iniziative industriali del Nord perché erano allora le più promettenti, e non fece molto, almeno sino al secondo dopoguerra, per promuovere lo sviluppo delle regioni meridionali. Ma il Sud si lasciò rappresentare da una classe dirigente di notabili, proprietari terrieri, signori della rendita e sensali di voti, più interessati a conservare il loro potere che a migliorare la sorte dei loro concittadini. »


A sostegno di quanto sopra, vorrei ricordare un dato in particolare :

(fonte : Didattica Museale | Istruzione.it | )

Nel 1860 l'Italia inizia il proprio cammino scolastico "ereditando" dagli Stati preunitari una popolazione con il 78% di analfabeti, dei quali gran parte donne ed anziani, residenti nel Centro e nel Meridione del Paese (dove si raggiungevano punte del 90% !).

Pur con qualche variazione tutte le fonti indicano che nelle zone del Piemonte, Lombardo-Veneto e Ducati le percentuali erano decisamente più basse.


Nelle campagne di molte parti del meridione 'la ribellione' covava da molto tempo. Sembra evidente poi che la rivolta animata dall'impresa di Garibaldi, trovando alla fine ben poche soluzioni ai problemi delle popolazioni, sia continuata e aumentata negli anni seguenti.

Per esempio :

( www.provincia.cs.it/tiratealpetto/tiratealpetto.pdf )

Dichiarazione del Generale Nunziante ( Calabria 1850 )
«Gli enunciati fatti dimostrano all’evidenza non esservi sito che di continuo non sia perlustrato dalla forza pubblica, non ricovero che possa rimanere occulto all’attento e vigile sguardo dei foresi. Menomate in
gran parte o distrutte le Comitive, a’ superstiti quaranta briganti non rimane oggi che il partito della
presentazione, o di annidare come a lupi nei boschi, ben lontano com’io sono dal credere che vi siano dei
Calabresi cotanto tristi ed infami che ardiscano di accoglierli nel proprio tetto. Qual mai ostacolo dunque
potrà opporsi alla completa distruzione di quella genìa, se all’attività e zelo delle pubbliche forze si unisca il forte braccio dei foresi, ed il potente appoggio dei proprietari?»
....
Lo stato d’assedio e la sanguinosa repressione non eliminò, però, del tutto il brigantaggio. Piccole bande continuarono ad essere attive nella provincia tanto che l’Intendente Ciccarelli, nell’aprile 1857, ammetteva che esse erano «da più tempo in latitanza » e che era stato inutile promettere «l’inesauribile clemenza del Re» nel caso i briganti si fossero costituiti alla giustizia. Nel 1859, un anno prima della spedizione dei Mille, lo stesso Intendente informava che gli scorridori della provincia erano diverse decine;


Si ricorda spesso la rivolta di Bronte.
Ma c'è anche Partinico ( la Sicilia era decisamente antiborbonica ) : Eccidio di Partinico - Wikipedia

Anche questa pagina credo aiuti a capire i problemi di quel tempo :
( da notare che le parole dello scrittore , dato il periodo, non erano affatte scontate )

Da Quarto al Volturno: Noterelle di uno dei Mille di Giuseppe Cesare Abba.
http://www.forumlibri.com/forum/salotto-letterario/6332-pagine.html#post141094


Insomma non mi sembra che il clima fosse molto migliore che in altre parti d'Italia, e
soprattutto con molte meno prospettive di cambiamento.
 
Ringrazio tutti coloro che discutono intorno al Meridione. Porsi interrogativi è da persone preparate e rispettose.

Posto questo video, perché tra i tanti è quello che sintetizza egregiamente cos'era "l'arretrato" Regno delle Due Sicilie e i Borbone, latori di tutti i problemi del Sud.
Al minuto 7:46 ci sono i miei bisnonni (mai più tornati), i miei nonni, mio padre, i miei zii, io e i miei fratelli.
 
Ila hai letto l’articolo di Focus sul “brigantaggio”?
Avrai notato come furono i piemontesi ad etichettare frettolosamente la resistenza alla conquista come “episodi di brigantaggio”.
La composizione delle bande era eterogena: ex soldati borbonici, contadini, civili. Purtroppo tuttora alcuni storici definiscono il “brigantaggio” come una rivolta violenta di pericolosi e sanguinari criminali. Nelle scuole vige ancora la parola d’ordine “bande delinquenziali”.
Come avrai letto, anche il termine brigante è mutuato dai francesi, i quali così chiamarono gli oppositori meridionali durante il Regno di Gioacchino Murat a Napoli.
Carlo Levi e Gramsci dettero una definizione più obiettiva del brigantaggio e dei briganti. Il primo definì il brigantaggio post –unitario “la quarta guerra nazionale dei contadini del Sud, in cui l’umile Italia storicamente aveva torto e doveva perdere” e Gramsci invece scrisse “"Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti".
Sarà anche Focus come dice qualcuno, ma io non credo che alla luce di documenti ritrovati e pubblicati, su tutti l’opera di Molfese (vice direttore della biblioteca della Camera dei Deputati, che negli anni ’50 girovagando fra i sotterranei della biblioteca si imbatté in faldoni buttati a terra e rimaneggiati, incuriosito scoprì che era il rapporto parlamentare su due anni di brigantaggio. La commissione d’inchiesta fu smantellata dopo due anni perché le nefandezze combinate dai piemontesi verso le popolazioni inerte sono tutt’ora inenarrabili e coperte dal segreto di stato), anche un testo universitario possa esimersi dal definire il “brigantaggio” non solo guerra contadina di natura socio-economica, ma anche resistenza politica al nuovo regno italiano.
Avrai letto cos’era la Legge Pica e quali conseguenze portò nel Meridione, con esecuzioni sommarie e rappresaglie. Noi celebriamo la strage del Sand Creek e dimentichiamo Pontelandolfo e Casalduni, Isernia e Roseto, Civitella del Tronto e Gaeta. Pasquale Villari dice che fu in quegli anni che il Mezzogiorno ereditò “disincanto ed ostilità verso uno stato repressivo, lacerazione sociale”.
Ci fu un patto scellerato tra borghesia delinquenziale del nord e latifondisti del sud. La povera gente si trovò di fronte ad un bivio, vivere in ginocchio o morire in piedi. Ci fu chi scelse la prima via, e si adeguarono a racimolare l’elemosina dai “galantuomini”, ci fu chi scelse di morire in piedi e fu definito “brigante”, ci fu chi scelse una terza via e furono in 25 milioni, gli emigranti. Una terra che fino ad allora era stata di immigrazione (vedi l’emigrazione del nord Europa a Napoli nei primi dell’ 800), divenne una terra da abbandonare.
 

ila78

Well-known member
Ila hai letto l’articolo di Focus sul “brigantaggio”?
Avrai notato come furono i piemontesi ad etichettare frettolosamente la resistenza alla conquista come “episodi di brigantaggio”.
La composizione delle bande era eterogena: ex soldati borbonici, contadini, civili. Purtroppo tuttora alcuni storici definiscono il “brigantaggio” come una rivolta violenta di pericolosi e sanguinari criminali. Nelle scuole vige ancora la parola d’ordine “bande delinquenziali”.
Come avrai letto, anche il termine brigante è mutuato dai francesi, i quali così chiamarono gli oppositori meridionali durante il Regno di Gioacchino Murat a Napoli.
Carlo Levi e Gramsci dettero una definizione più obiettiva del brigantaggio e dei briganti. Il primo definì il brigantaggio post –unitario “la quarta guerra nazionale dei contadini del Sud, in cui l’umile Italia storicamente aveva torto e doveva perdere” e Gramsci invece scrisse “"Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti".
Sarà anche Focus come dice qualcuno, ma io non credo che alla luce di documenti ritrovati e pubblicati, su tutti l’opera di Molfese (vice direttore della biblioteca della Camera dei Deputati, che negli anni ’50 girovagando fra i sotterranei della biblioteca si imbatté in faldoni buttati a terra e rimaneggiati, incuriosito scoprì che era il rapporto parlamentare su due anni di brigantaggio. La commissione d’inchiesta fu smantellata dopo due anni perché le nefandezze combinate dai piemontesi verso le popolazioni inerte sono tutt’ora inenarrabili e coperte dal segreto di stato), anche un testo universitario possa esimersi dal definire il “brigantaggio” non solo guerra contadina di natura socio-economica, ma anche resistenza politica al nuovo regno italiano.
Avrai letto cos’era la Legge Pica e quali conseguenze portò nel Meridione, con esecuzioni sommarie e rappresaglie. Noi celebriamo la strage del Sand Creek e dimentichiamo Pontelandolfo e Casalduni, Isernia e Roseto, Civitella del Tronto e Gaeta. Pasquale Villari dice che fu in quegli anni che il Mezzogiorno ereditò “disincanto ed ostilità verso uno stato repressivo, lacerazione sociale”.
Ci fu un patto scellerato tra borghesia delinquenziale del nord e latifondisti del sud. La povera gente si trovò di fronte ad un bivio, vivere in ginocchio o morire in piedi. Ci fu chi scelse la prima via, e si adeguarono a racimolare l’elemosina dai “galantuomini”, ci fu chi scelse di morire in piedi e fu definito “brigante”, ci fu chi scelse una terza via e furono in 25 milioni, gli emigranti. Una terra che fino ad allora era stata di immigrazione (vedi l’emigrazione del nord Europa a Napoli nei primi dell’ 800), divenne una terra da abbandonare.

Purtroppo non ho ancora avuto tempo di finire questo interessante articolo, mi fa comunque piacere che tu sia andato a leggertelo e mi pare di capire che tu l'abbia trovato interessante e il tuo parere è sicuramente più " a ragion veduta" del mio. Comunque sono ancora incredula del fatto che una pagina così drammatica di storia sui libri (almeno sui miei era così) sia relegata a un piccolo box in fondo al capitolo dedicato all'Unità d'Italia (che comunque in genere viene fatta frettolosamente e male) dal titolo "Brigantaggio" in cui in 10 righe si fa un quadro dei Briganti dipingendoli tipo la Banda Bassotti....:paura: Un'altra cosa che mi ha impressionata di quell'articolo è che li fotografavano IN POSA da morti e li esponevano come se fossero bestie da circo "Guarda bravo bambino ottocentesco di Milano questo è un brigante cattivo del Sud" :paura: Roba da matti....
 

ila78

Well-known member
Ieri sera ho letto con piacere (e con stupore) la storia ci Cicilla e delle "Brigantesse"....erano avanti....:D anche se poi anche loro hanno fatto una brutta fine.:W
 
Si ricorda spesso la rivolta di Bronte.
Ma c'è anche Partinico ( la Sicilia era decisamente antiborbonica ) : Eccidio di Partinico - Wikipedia

Anche questa pagina credo aiuti a capire i problemi di quel tempo :
( da notare che le parole dello scrittore , dato il periodo, non erano affatte scontate )

Da Quarto al Volturno: Noterelle di uno dei Mille di Giuseppe Cesare Abba.
http://www.forumlibri.com/forum/salotto-letterario/6332-pagine.html#post141094


Insomma non mi sembra che il clima fosse molto migliore che in altre parti d'Italia, e
soprattutto con molte meno prospettive di cambiamento.

Non conoscevo l'eccidio di Partinico, ma sono ancora molte le cose che non conosco.
E' differente dalle stragi di Casalduni e Pontelandolfo, Auletta ed Isernia.
L'eccidio di Partinico fu una rappresaglia vergognosa contro i soldati borbonici.

GARIBALDI attraversò Partinico col cappello calato sugli occhi, mesto...
Una pagina di Storia risorgimentale non certo gloriosa!

L' eccidio di Partinico è un episodio avvenuto a Partinico il 16 maggio 1860, mentre era in corso la Spedizione dei Mille.

Dopo la sconfitta di Calatafimi, alla mezzanotte del 15 maggio 1860 le truppe del generale Lanza, ritiratesi nell'abitato di Calatafimi, ricevettero l'ordine di mettersi in marcia per raggiungere Palermo.
La sera del 16 maggio, una delle formazioni borboniche giunse a Partinico, le truppe furono attaccate dai ribelli che, nutriti dall'odio represso nei tanti anni di dominazione borbonica, sparavano dalle case e dai balconi, come rappresaglia i soldati incendiarono molte case.

A Partinico Giuseppe Cesare Abba, più scrittore che soldato, avrebbe preferito non esserci:
Meglio sarebbe stato rompersi il petto e scalare le montagne. […] Già sulla strada il vento recava con l’odore e col fumo degli incendi non spenti del tutto un fetore insopportabile. Cadaveri di soldati e di paesani, cani e cavalli morti e squarciati. Le campane suonavano non so se a stormo o a festa, e il popolo esultava e preti e frati urlavano frenetici evviva. Quei morti eran soldati.

La popolazione di Partinico massacrò quel giorno senza pietà le truppe borboniche in ritiro. Una terribile strage! Morti bruciacchiati, corpi straziati! Orrenda crudeltà anche la danza macabra dei paesani attorno al mucchio dei cadaveri!

Garibaldi attraversò Partinico col cappello calato sugli occhi, mesto...
Con immaginabile imbarazzo dovette accettare tutto, compresa la cittadinanza onoraria ma istituì subito un Comitato di Guerra, con poteri giudiziari proprio in previsione di altri casi di vendette popolari.


La strage di Auletta fu una strage gratuita e crudele verso una popolazione inerme:

IL MASSACRO DI AULETTA
Estate del 1861. Un pugno di mesi appena dalla proclamazione dell'Unità d'Italia, e già l'intero Mezzogiorno brucia in un inferno di sangue e violenza. Nei territori periferici dell'ormai defunto Regno delle Due Sicilie divampa furiosa la rivolta legittimista contro le truppe piemontesi, contro la leva obbligatoria, contro le nuove tasse. Una vera e propria guerra civile, liquidata troppo frettolosamente dalla storiografia ufficiale come una successione di eventi puramente criminali. Campania, Lucania, Calabria: la mappa dell'insurrezione popolare è vasta. Decine i centri che si sollevano contro «l'invasore calato dal Nord» , aprendo le porte alle bande di «briganti», bruciando tricolori ed effigi della nuova dinastia sabauda. E scatenando rappresaglie ordinate dai vari Pallavicini, La Marmora o Cialdini, generale celebre per aver confessato di preferire di gran lunga «beduini affricani ai cafoni meridionali».

Una lunga lista di paesi martiri: Pontelandolfo e Casalduni i più noti, ma anche Auletta, teatro di un eccidio troppo spesso dimenticato. È il pomeriggio del 28 luglio quando una nutrita colonna di legittimisti invade il piccolo centro sulle rive del Tanagro. Accolta, secondo le accuse, da «ignobili feste, balli e canti». Da giorni i ribelli si concentrano nella vicina località Lontrano, in attesa di rinforzi che arrivano alla spicciolata. Contadini delusi, nobiluomini spiantati, disertori, soldati del disciolto esercito napoletano, cani sciolti. Disperati che non hanno nulla da perdere. Il primo atto, altamente simbolico, è la rimozione coatta dei ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi, i padri della Patria. Il vessillo borbonico sventola di nuovo sul palazzo comunale, mentre nella chiesa di San Nicola di Mira riecheggia il Te Deum il suono delle campane invita l'intero circondario alla rivolta. Possidenti e liberali filo-piemontesi si sono già volatilizzati da un pezzo, incalzati dallo spettro di inevitabili ritorsioni. Dalla vicina Pertosa, sede di un drappello della Guardia Nazionale, scatta immediato l'allarme. Decine di guardie e carabinieri calano su Auletta nel tentativo di snidare i ribelli ma vengono respinti a suon di fucilate.

Troppo alto il numero degli insorti: urge una repentina ed esemplare azione di forza, l'analisi dei vertici militari del VI Comando, anche per scongiurare pericolosi tentativi di emulazione. Si decide l'invio dei bersaglieri, affiancati da una squadra di mercenari ungheresi. Al soldo dei Savoia già da diversi anni, gli ausiliari magiari (ma non mancano polacchi, russi, tedeschi, americani, avventurieri e tagliagole) affiancano spesso le truppe sabaude, incaricandosi del «lavoro sporco». Li precede una sinistra fama, alimentata da stupri, saccheggi, abusi e vessazioni. I soldati espugnano Auletta all'alba del 30 luglio, attraversando quella contrada Piano lasciata indifesa dagli assediati. È il caos.

Per le strade e i vicoli si apre una caccia al brigante, criminale e stupida, lo si intuisce ben presto, poiché in giro ci sono soltanto civili inermi: i veri guerriglieri hanno ritenuto più conveniente ripiegare nei boschi che affrontare un avversario superiore per numero ed equipaggiamento. Il paese viene messo a ferro e fuoco. I colpi di baionetta come colonna sonora, basta uno sguardo, una parola di troppo, un semplice sospetto per finire davanti al plotone di esecuzione. Un massacro. Sono proprio gli ungheresi a rendersi protagonisti dei crimini più orrendi, penetrano nelle case, saccheggiano, bruciano. La furia cieca e selvaggia della rappresaglia non risparmia nemmeno i luoghi di culto. E i preti, additati come i veri ispiratori della sedizione.

Il parroco Giuseppe Pucciarelli viene barbaramente seviziato a coltellate nella canonica, letteralmente fatto a pezzi dalla soldataglia assetata di violenza. Che ha il tempo di far piazza pulita di arredi sacri, ex-voto e reliquie. Stessa sorte tocca a quattro religiosi, pestati a sangue in piazza, obbligati ad inginocchiarsi al cospetto del tricolore sabaudo tra risate di scherno ed umiliazioni. Uno di loro - «quasi ottantenne» raccontano le ingiallite cronache del tempo - non resiste nella scomoda posizione, prova ad alzarsi in piedi ma un sergente gli fracassa il cranio con il calcio del fucile. Il bilancio finale della mattanza è terribile: 45 morti accertati (ma potrebbero essere molti di più) e oltre duecento arrestati, condotti a marcire nelle carceri di Salerno con l'accusa di rivolta e cospirazione.

Raffaele Avallone



Concordo sul fatto che la Sicilia fosse antiborbonica, io stesso non sono monarchico, ma forse dovresti informarti sulla rivolta di Palermo del 1866, quando i siciliani capirono di essere finiti dalla padella alla brace e a spese loro capirono che la padella (borbonica) forse non era tanto male, rispetto alla brace (savoiarda).

Scrivi anche "molte meno prospettive di cambiamento". Dovresti solo vedere il piano ferroviario già appaltato (a francesi e le locomotive le avrebbero costruite a Pietrarsa, altra strage, ma l'aggiungeremo poscia) e finanziato dai Borbone per il Meridione. Non ci fu tempo di realizzarlo e lo scandalo ferroviario meridionale fu il primo dell'Italia unita. Tutt'oggi Napoli e Bari sono separate. Per oltre 24 mesi Napoli e Bari non sono state collegate ferroviariamente, a causa della frana di Montagano, frana che nel progetto ferroviario borbonico era aggirata agevolmente.
Non stavamo meglio degli altri stati italiani, ma nemmeno peggio e basta leggere Malanima e Daniele per rendersene conto.

Il più grande unitarista risorgimentale non è del nord, ma è l'immenso Giustino Fortunato, il quale dopo qualche anno di unità sbagliata così scrive, nella lettera a Pasquale Villari n. 89 del 2 settembre 1899, scrive: “L’unità d’Italia ... è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali“. Gli fece eco Gaetano Salvemini (1900): “Se dall’unità d’Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata … è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone". Sempre Fortunato in un’altra lettera del 1923 diretta a Salvemini scriveva: “Non disdico il mio “unitarismo“. Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa”.
 
Favola: Nord trainante

Confindustria, Squinzi: “Italia sull’orlo del baratro. Non siamo casta ma capitalismo”


“Il nord è sull’orlo di un baratro economico che trascinerebbe tutto il nostro Paese indietro, escludendolo dal contesto europeo che conta. Vogliamo questo?”. Sono le parole di Giorgio Squinzi dal palco dell’assemblea di Confindustria, dove interviene davanti a una platea di imprenditori e a una larga rappresentanza del governo, compresi il presidente Enrico Letta e il suo vice Angelino Alfano. “Per tornare al nord trainante – dice – le vie sono quelle che abbiamo detto: credito, fisco, giustizia, semplificazione, infrastrutture, uno Stato amico”. In gioco, secondo Confindustria, c’è la tenuta sociale del Paese: “La tenuta del tessuto sociale è messa a dura prova. Le unità di lavoro sono calate di 1,4 milioni. L’occupazione è diminuita pericolosamente, crollata tra i più giovani. I disoccupati sfiorano i tre milioni”. Ma, prosegue, “a onor del vero non è tutta colpa della crisi. Dal 1997 al 2007 il tasso di crescita dell’economia italiana è stato mediamente inferiore di circa un punto percentuale l’anno a quello dei paesi dell’area euro”.

Ancora questa favola del nord trainante, nord locomotiva dell'Italia e Sud vagone che per inerzia gli andrà dietro. Non capiscono che questa volta o si cresce tutti insieme, o si affonda tutti insieme. Oppure ci si separa realmente.
Nell'attesa io sto studiando l'arabo.
 

Bordeaux

New member
Buongiorno,
a chi è interessato all'argomento consiglio di leggere questo libro riguardante il brigantaggio femminile.
In una panorama stellato di comparse maschili le storie delle donne guerriere.

La brigantessa dell

:wink:
 

ila78

Well-known member
Ho sentito in Tv che in Basilicata c'è polemica perchè vogliono piantare delle pale eoliche praticamente in mezzo ai sassi di Matera....scusa Balda, lo chiedo a e che ne sai sicuramente di più, i sassi di Matera non sono Patrimonio dell' Unesco? Si puo' storpiare impunemente un patrimonio dell'umanità? Non credo....sarebbe come se domani decidessero di mettere dei bei pannelli fotovoltaici sopra la Reggia di Versailles a Parigi...boh...:boh:
Il mio ragazzo (che è di quelle parti) mi ha detto "Siamo in Italia, non dobbiamo stupirci...." forse ha ragione lui...:W
 
Ciao Ila,
invece dovremmo continuare a stupirci della stupidità dell'uomo, è proprio questa assuefazione deleteria per tutti, in particolar modo per noi meridionali.
La Lucania è una terra bellissima, il film spot di Papaleo rende leggermenete l'idea, ma rovinata dalla ricerca e trivellazione di idrocarburi ed ora dall'affare eolico e solare. I pali nascono come funghi, non c'è moratoria che tenga e fin quando lo stato (volutamente con la minuscola) non si deciderà a togliere gli abnormi incentivi si procederà a installarli in modo selvaggio per arricchire pochi e devastare il paesaggio di tutti.
Non mi meraviglierei che ci sia un progetto per l'installazione di pale davanti ai sassi. Non dimentichiamoci però, che quello che ora è patrimonio dell'umanità, fino agli anni sessanta era considerata una vergogna da nascondere.
La Lucania potrebbe essere la regione più ricca d'Italia ed invece è la più povera, con un incidenza tumorale superiore del 20% rispetto alla media nazionale, e se qualcuno prova ad opporsi (vedi il tenente Di Bello INTERVISTA AL TENENTE GIUSEPPE DI BELLO: Eccellenza lucana di ambientalismo e giustizia (1 di 2) - YouTube ) finisce male ( Stigliano X Il Tenente Di Bello - YouTube ).

Sull'eolico selvaggio ho già detto, solo chi ci vive circondato da centinaia di pale può capire la devastazione del paesaggio e il danno enorme provocato da queste.
E a rischio di apparire un contestatore di professione vi invio una piccola inchiesta sul solare in Puglia, e se vedete ricoperti migliaia di ettari di pannelli quando scendere in Puglia per le vacanze, capirete il perché:
Il lato nascosto del fotovoltaico Una risorsa diventata emergenza - Inchieste - la Repubblica
 
Avete mai letto Gomorra di Roberto Saviano?
L'ultimo capitolo si intitola "La terra dei fuochi".
Se l'avete letto avrete già un'idea di cosa si sta parlando, se non l'avete letto, guardate l'INFERNO.

"Mi chiedo quanti italiani hanno avuto l'eroico coraggio di sorbirsi la trasmissione di ieri sera di Nicola PORRO. Semplicemente insopportabile. Italia mia, come sei caduta in basso! A me, con l'inganno, i giornalisti di Rai due hanno rubato due ore della mia vita. Due ore in piedi, a Giugliano,a sorbirmi le chicchiere che si facevano in studio. L'ho fatto perché era importante dire agli italiani in ascolto che il VERO DRAMMA, che sta portando a morte il popolo campano NON sono i rifiuti CASALINGHI, ma le IMMONDIZIE INDUSTRIALI, interrate e bruciate a tonnellate nelle nostre campagne. Ancora ieri, il generale Sergio Costa con gli uomini della Polizia Forestale, ha individuato, a Caivano, un altro immenso campo strapieno di questa autentica maledizione. C'è di tutto in quella campagna. Ma proprio di tutto. Sembra di essere all'inferno. Non è la vecchina maleducata a far paura, ma i disonesti, disumani, ottusi criminali di cui anche Nicola PORRO e i suoi invitati in studio hanno preferito fingere di ignorare. Chissà perchè! Chissà perché! Ma vi pare che questo governo con tutti i problemi che ha, si preoccupa di noi? Dunque? Dunque, o sono i campani a sollevarsi in piedi, alzare la voce, accendere il cervello e farsi sentire, o saranno costretti a morire avvelenati.
Padre Maurizio PATRICIELLO
"




Dicono che in Campania non ci siano industrie. Vero
In Campania c'è la più alta mortalità dovuta a rifiuti industriali. Vero

Poiché entrambe le affermazioni sono vere, capirete anche voi che c'è qualcosa che non quadra.
 
Quoto

"Per iniziare dobbiamo partire da qui, dal riconoscere che fra templi greci arcaici, classici, edificazioni medioevali e invenzioni del barocco, il Meridione ha la piu' alta concentrazione del Mediterraneo. Le sei collezione archeologiche delle principali città del Mezzogiorno sono da sole di un'importanza capitale: qualsiasi persone evoluta ci dovrebbe passare almeno una volta nella vita, come alla Mecca. Eppure sono in stallo. Perchè? Perchè piuttosto che investire su questa ricchezza fino a ieri puntavamo sulle fabbriche. A Melfi, in Basilicata, abbiamo portato le automobili, anzichè i turisti. Abbiamo costruito l'Ilva a Taranto, quando nella città avvelenata dall'acciaio bisognerebbe per il Museo nazionale e i suoi ori celebrati in tutto il mondo. E sapete qual è la media di occupazione di alberghi in Sicilia? Due mesi: un insulto al patrimonio sterminato dell'isola. I nostri politici devono capire che Bagnoli a Napoli, l'Ilva a Taranto, la Fiat a Melfi sono strade sbagliate per definizione. La vera soluzione per il Sud è che diventi un grande serbatoio di beni culturali, di qualità di vita e di turismo, perchè queste forze messe insieme rendono molto più delle tre fabbriche che ho nominato moltiplicate per dieci. Anche in termini di occupazione. Dobbiamo immaginare uno sviluppo diverso per il territorio. Un futuro che dovrà passare necessariamente attraverso una potentissima operazione di restauro dei beni culturali, talmente vasta da assomigliare a un piano Marshall. Ecco si tratta d'impostare un piano Marshall per il Meridione. Iniziamo, per esempio, a riportare all'antico splendore Palermo, uno dei più importanti centri storici del Mediterraneo. Non solo una città meravigliosa, ma anche un luogo con una funzione geopolitica cruciale se pensiamo che l'Europa non sia solo quella dell'austerity, ma anche quella del dialogo fra i paesi del Mare Nostrum. Il restauro dei palazzi di Palermo è quindi un problema EUROPEO, non italiano o cittadino. L'Unione deve occuparsi delle sue culle, difenderle, promuoverle. Deve farsi carico dei suoi tesori: città dei fenici, dei normanni, del Regno di Sicilia non puo' essere curata soltanto dal governo di Roma e dal mendicante Ministero dei Beni Culturali. Deve diventare un progetto europeo e lo dico nonostante io abbia partecipato poche settimane fa ad un'audizione di Barroso a Bruxelles. Uno degli appuntamenti più deprimenti dei miei ultimi dieci anni, perchè ho capito che alla Commissione europea IMPORTA BEN POCO della bellezza italiana. Ma questo non cambia la realtà dei fatti. Pensiamo a Pompei. La villa dei misteri, i corpi pietrificati delle vittime dell'eruzione, i mosaici, gli affreschi erotici i versi dell'Eneide incisi dagli studenti sui muri non sono proprietà dei campani. Appartengono a chiunque studi latino, a Tubingen o alla Sorbona o a Oxford. Con i ragazzi dell'Università di Palermo abbiamo coniato un bellissimo slogan per illustrare questa idea: Terra omnia". Invece che terronia, il Sud è Terra omnia. Di tutti. prendiamo un altra città formidabile per la sua qualità catastrofana: Cosenza. Ha una parte antica talmente collassata, dove solo alcuni privati hanno cominciato a restaurare, sostenuti dal grande impegno del Comune, che investe per riaprire piccole botteghe medievali. Rimetterne in piedi il cuore cittadino significherebbe restituire un centro abitato da 30.000 persone, e far conoscere agli stranieri un autentico gioiello della Calabria finora trascurato" Philippe Daverio "l'espresso - 4luglio 2013"
 
Lucy Riall - Under the Volcano - Revolution in a Sicilian Town (Oxford University Pre

Bronte 1860, c’era Nelson
alle origini del massacro

Una scena del film Bronte, cronaca di un massacro,
girato nel 1972 da Florestano Vancini

Una storica inglese ricostruisce
la strage di contadini nel feudo donato 61 anni prima all’ammiraglio
masolino d’amico

Nel 1860 il paesino etneo di Bronte era tra i luoghi più depressi di tutta la Sicilia, ma quando, incoraggiati dalle notizie dello sbarco dei Mille, i contadini affamati si provarono a occupare le terre, la loro ribellione fu sanguinosamente repressa dagli stessi garibaldini, pronti a schierarsi con l'ordine costituito. L'episodio è stato rievocato, più o meno polemicamente, più volte, anche in una pellicola di Florestano Vancini del 1972 (Bronte, cronaca di un massacro), che la Rai dopo averla commissionata come serie di tre puntate mandò in onda una volta sola, in veste ridotta e in un giorno diverso da quelli in cui abitualmente si trasmettevano film. Oggi il libro di una storica inglese, Lucy Riall - Under the Volcano - Revolution in a Sicilian Town (Oxford University Press) - ricostruisce con eccellente documentazione la vicenda, i cui antecedenti e il cui seguito sembrano istruttivi almeno quanto il fatto stesso.



Tutto ebbe inizio molti anni prima del 1860, addirittura nel 1799. In quell'anno re Ferdinando - III di Sicilia, IV di Napoli e I delle Due Sicilie -, minacciato dall'avanzata delle truppe francesi, fuggì a Palermo a bordo della nave da guerra dell'ammiraglio Nelson; e una volta tratto in salvo ricompensò grandiosamente il suo salvatore nominandolo duca di Bronte e regalandogli in quel luogo una ampia tenuta, che comprendeva il paesino stesso e il convento in disuso di Maniace. Nelson non vide mai il suo feudo, ma prima di morire a Trafalgar fece in tempo a vagheggiare di stabilirvisi un giorno con la sua amante Lady Hamilton. Il dono passò poi ai suoi discendenti Bridport, che, pur continuando a tenersi alla larga dal luogo, si fregiarono del titolo. A quanto pare «Bronte» suonava bene; così quando si trasferì in Inghilterra per farvi carriera un oscuro ma ambizioso parroco irlandese cambiò proprio in «Bronte» il suo cognome poco nobile - si chiamava Patrick Brunty - scrivendolo con una dieresi sulla e finale per garantirsi che fosse pronunciato bisillabo; ed è come Brontë che le tre grandi romanziere sue figlie diventarono famose.



Occupando le terre di Bronte, i contadini del 1860 reagivano dunque a un caso di assenteismo ancora più clamoroso di quello vigente in altri latifondi: qui i proprietari erano addirittura stranieri che nessuno aveva mai visto. Ma l'Inghilterra era una potente nazione da tenersi amica, tanto più in quel momento. Così a reprimere la sommossa fu mandato il più energico e il meno scrupoloso dei conquistatori, ovvero Nino Bixio. La Riall lo tratta meglio di altri cronisti, attribuendogli anche un certo rammarico per l'azione compiuta, ma non tace sui suoi metodi spicci, che comportarono la fucilazione di cinque insorti scelti senza troppo discriminare (tra loro c'erano lo scemo del villaggio e l'avvocato liberale Niccolò Lombardo, che aveva tentato di calmare le acque).



Dopodiché Bronte rimase a disposizione dei suoi lontani e invisibili padroni inglesi ancora per un altro secolo. Solo negli anni 1930 il quinto Duca si trasferì sul posto e tentò di impiantarvi un'attività; D. H. Lawrence, che lo incontrò durante il suo viaggio in Sicilia, lo descrisse come un cretino. Né lui né i suoi successori comunque si mescolarono mai alla popolazione locale. Da ultimo, nel 1969, lo Stato italiano acquistò la proprietà. Oggi il latifondo è un parco pubblico, e Bronte si autodefinisce non senza fierezza la «capitale mondiale del pistacchio».
 
30 Luglio 1861 - Strage di Auletta

È il pomeriggio del 28 luglio quando una nutrita colonna di legittimisti invade il piccolo centro sulle rive del Tanagro. Il primo atto, altamente simbolico, è la rimozione coatta dei ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi, i padri della Patria. Il vessillo borbonico sventola di nuovo sul palazzo comunale. Troppo alto il numero degli insorti: urge una repentina ed esemplare azione di forza. Si decide l'invio dei bersaglieri, affiancati da una squadra di mercenari ungheresi. Al soldo dei Savoia già da diversi anni, gli ausiliari magiari (ma non mancano polacchi, russi, tedeschi, americani, avventurieri e tagliagole) affiancano spesso le truppe sabaude, incaricandosi del «lavoro sporco». Li precede una sinistra fama, alimentata da stupri, saccheggi, abusi e vessazioni. I soldati espugnano Auletta all'alba del 30 luglio.
Per le strade e i vicoli si apre una caccia al brigante, criminale e stupida, lo si intuisce ben presto, poiché in giro ci sono soltanto civili inermi. Il paese viene messo a ferro e fuoco. I colpi di baionetta come colonna sonora, basta uno sguardo, una parola di troppo, un semplice sospetto per finire davanti al plotone di esecuzione. Un massacro. Sono proprio gli ungheresi a rendersi protagonisti dei crimini più orrendi, penetrano nelle case, saccheggiano, bruciano. La furia cieca e selvaggia della rappresaglia non risparmia nemmeno i luoghi di culto. E i preti, additati come i veri ispiratori della sedizione. Il parroco Giuseppe Pucciarelli viene barbaramente seviziato a coltellate nella canonica, letteralmente fatto a pezzi dalla soldataglia assetata di violenza. Che ha il tempo di far piazza pulita di arredi sacri, ex-voto e reliquie. Stessa sorte tocca a quattro religiosi, pestati a sangue in piazza, obbligati ad inginocchiarsi al cospetto del tricolore sabaudo tra risate di scherno ed umiliazioni. Uno di loro - «quasi ottantenne» raccontano le ingiallite cronache del tempo - non resiste nella scomoda posizione, prova ad alzarsi in piedi ma un sergente gli fracassa il cranio con il calcio del fucile. Il bilancio finale della mattanza è terribile: 45 morti accertati (ma potrebbero essere molti di più) e oltre duecento arrestati, condotti a marcire nelle carceri di Salerno con l'accusa di rivolta e cospirazione.

Raffaele Avallone
30 Luglio 1861 - Strage di Auletta È il pomeriggio del 28 luglio quando una nutrita colonna di legittimisti invade il piccolo centro sulle rive del Tanagro. Il primo atto, altamente simbolico, è la rimozione coatta dei ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi, i padri della Patria. Il vessillo borbonico sventola di nuovo sul palazzo comunale. Troppo alto il numero degli insorti: urge una repentina ed esemplare azione di forza. Si decide l'invio dei bersaglieri, affiancati da una squadra di mercenari ungheresi. Al soldo dei Savoia già da diversi anni, gli ausiliari magiari (ma non mancano polacchi, russi, tedeschi, americani, avventurieri e tagliagole) affiancano spesso le truppe sabaude, incaricandosi del «lavoro sporco». Li precede una sinistra fama, alimentata da stupri, saccheggi, abusi e vessazioni. I soldati espugnano Auletta all'alba del 30 luglio. Per le strade e i vicoli si apre una caccia al brigante, criminale e stupida, lo si intuisce ben presto, poiché in giro ci sono soltanto civili inermi. Il paese viene messo a ferro e fuoco. I colpi di baionetta come colonna sonora, basta uno sguardo, una parola di troppo, un semplice sospetto per finire davanti al plotone di esecuzione. Un massacro. Sono proprio gli ungheresi a rendersi protagonisti dei crimini più orrendi, penetrano nelle case, saccheggiano, bruciano. La furia cieca e selvaggia della rappresaglia non risparmia nemmeno i luoghi di culto. E i preti, additati come i veri ispiratori della sedizione. Il parroco Giuseppe Pucciarelli viene barbaramente seviziato a coltellate nella canonica, letteralmente fatto a pezzi dalla soldataglia assetata di violenza. Che ha il tempo di far piazza pulita di arredi sacri, ex-voto e reliquie. Stessa sorte tocca a quattro religiosi, pestati a sangue in piazza, obbligati ad inginocchiarsi al cospetto del tricolore sabaudo tra risate di scherno ed umiliazioni. Uno di loro - «quasi ottantenne» raccontano le ingiallite cronache del tempo - non resiste nella scomoda posizione, prova ad alzarsi in piedi ma un sergente gli fracassa il cranio con il calcio del fucile. Il bilancio finale della mattanza è terribile: 45 morti accertati (ma potrebbero essere molti di più) e oltre duecento arrestati, condotti a marcire nelle carceri di Salerno con l'accusa di rivolta e cospirazione. Raffaele Avallone
 
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