Un romanzo gentile e poetico canta gli ultimi mesi di vita di un gigante di fuoco e acciaio: l’Ilva di Bagnoli, la “fabbrica di Napoli”. Voce narrante è Vincenzo Buonocuore, ex operaio investito del compito, ingrato e lusinghiero, di progettare lo smantellamento delle Colate Continue e organizzarne il trasferimento in Cina.
Per esorcizzare la paura del nulla che seguirà, Buonocore trasforma l’impresa nel “capolavoro” della vita, che sia eseguito a regola d’arte, quasi per contrastare l’assenza di senso che aggredisce tutto e tutti attorno allo scheletro gigantesco della fabbrica, condannata a morte da opportunismi finanziari e politici proprio quando era più vitale, decretando così l’ennesimo fallimento del sogno del riscatto di Napoli.
Per esorcizzare la paura del nulla che seguirà, Buonocore trasforma l’impresa nel “capolavoro” della vita, che sia eseguito a regola d’arte, quasi per contrastare l’assenza di senso che aggredisce tutto e tutti attorno allo scheletro gigantesco della fabbrica, condannata a morte da opportunismi finanziari e politici proprio quando era più vitale, decretando così l’ennesimo fallimento del sogno del riscatto di Napoli.