Lem, Stanislaw - Solaris

Zefiro

da sudovest
Capolavoro della fantascienza psicologica, scritto negli anni '60, era considerato la risposta d'oltrecortina al "2001 Odisse nello spazio" di A. Clarke.

Dal romanzo sono stati tratti due film, uno per la regia di Tarkovskij, l'altro per la regia di Soderbergh.

Il pianeta Solaris da decenni sfida gli studi dei ricercatori umani che tentano di comprendere la misteriosissima natura del suo immenso oceano. Kelvin, uno psicologo esperto di solaristica raggiunge sulla stazione spaziale che orbita intorno al pianeta il gruppo di scienziati che sta conducendo ulteriori esperimenti nel tentativo di contattare l'enigmatica intelligenza che s'annida in questo mondo.

La risposta di Solaris è sorprendente ed imprevista, e va a colpire quanto di più remoto ed intimo si nasconde in ciascun uomo.

Il romanzo è stato protagonista del XXXVII Gruppo di Lettura di Forumlibri, questo il link ----------> http://www.forumlibri.com/forum/showthread.php/11480-XXXVII-GdL-Solaris-di-Stanislaw-Lem

Questo 3d comincia col raccogliere i commenti e le recensioni finali di coloro che hanno partecipato al gruppo di lettura ed è a disposizione di chi vorrà inserire ulteriori recensioni e commenti.

La valutazione di chi scrive è:
Consigliato, un romanzo bellissimo, 4,3/5.
 
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Zefiro

da sudovest
il dramma del limite

copio e incollo il mio commento finale al XXXVII GdL
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“Io non riesco a capire fino in fondo i romanzi come Solaris”. Ho trovato questa citazione di Lem nell’introduzione dell'edizione Oscar Mondadori, una delle due in mio possesso; l'altra è la vecchissima e storica edizione cult della Nord e che ho usato per la lettura in occasione di questo GdL. Il fatto che Lem stesso abbia fatto un’affermazione del genere su un’opera scritta da lui stesso la dice lunga sulla complessità di questo romanzo che in verità offre molteplici piani di lettura, tra loro tutti connessi e tutti che ampiamente articolano profonde riflessioni sull’umano.

Bello lo stile scrittorio, mirabile il realismo ritmico dei dialoghi. La scelta stessa del protagonista-antagonista, un oceano, quindi l’acqua, il principio di vita primordiale per eccellenza, dà immediatamente conto del livello di radicalità dell’essere su cui questo romanzo va a posizionarsi: quel nocciolo ultimo, ineludibile e non perimetrabile sia dell'"altro" - qualunque sia questo "altro" da "conoscere" - che dell’io.

Lucidissima la visione scientifica, tecnica e tecnologica. Spettacolari e belle le descrizioni dei paesaggi, dei colori, nonché delle misteriosissime attività dell’oceano di Solaris (mimoidi, longhi, simmetriadi…) descrizioni che, in più di un punto, raggiungono vette di poetico lirismo. Lem ha letteralmente immaginato e costruito per noi un intero mondo. Molto efficaci e realistiche le pagine di solaristica, in cui SL inventa di sana pianta, con una felicità di penna sorprendente, un dibattito scientifico e la storia di una ricerca pluriennale, immensa e vana.

Il cuore del romanzo a mio parere sta in ciò che la critica ha individuato come “dramma gnoseologico”. I limiti strutturali da un lato e mutevolmente mobili dall’altro della capacità di conoscenza dell’uomo. Questo il tema carissimo a Lem, centrale, ossessivo in quasi tutta la sua attività scientifica ed artistico-letteraria. Di fronte a qualcosa di estremamente complesso, che ci trascende magari, procediamo al buio, a tentoni, come riusciamo e come possiamo, sovente andando a cozzare contro invalicabili muri. Ma al contempo non possiamo tirarci indietro. Provare e tentare è altrettanto connaturato all’uomo. Almeno quanto lo sono i limiti stessi. Il senso, e perché no, la gioia della ricerca risiede nel ricercare stesso, si potrebbe dire. E questo è sicuramente vero, ma nulla toglie, in Solaris, al dolore, all’angoscia della consapevolezza del limite.

Su tale tema centrale s’innesta un secondo piano di lettura, il vero colpo di genio di Lem: la rifocalizzazione su sé stessi come al contempo protagonisti del conoscere da un lato e principali ostacoli al conoscere stesso dall’altro.
Il pianeta Solaris, l’oggetto dell’indagine entra in contatto con l’indagatore in modo sorprendente ed inaspettato. Forse per colpire duro, forse, nella potentissima semplicità di un Dio imperfetto e bambino, come ventilato in chiusura di romanzo, per farci un ingenuo e dolorissimo dono. Il riportare in vita, ridare carne a ciò che c’è di più nascosto e profondo: i nostri fantasmi, ciò che più vogliamo ed al contempo temiamo, ciò che abbiamo perduto.
Guardiamo qualcosa, tentiamo di conoscerla e in qualche modo d’impossessarcene e farla nostra, e nel solo atto di guardare, noi stessi cambiamo, almeno un po’ in un micidiale vortice in cui le cause si confondono con gli effetti, l’osservato con l’osservatore, nulla è stabile, tutto precipita, tutto muta continuamente ed incomprensibilmente .
Che tale vertigine avvenga a livelli personalissimi, di ogni singolo e concreto individuo, su piani unici, specifici, intimi (e forse inconfessabili) ne dà ragione la delicatissima scelta letteraria di farci conoscere solo Harey, il fantasma di Kelvin, il protagonista narrante. Kelvin non sa, e noi con lui, chi o cosa siano gli “ospiti” dei suoi compagni, se non per fugaci apparizioni. Quasi fosse qualcosa di troppo intimo per profanarlo con sguardi estranei.

C’è poi la storia d’amore, delicata, bella e dolorissima: l’ospite di Kelvin è Harey, la amatissima moglie perduta, morta suicida. Ma anche qui, nulla è semplice, nulla è ovvio. Il ripugnante clone, estraneo, quel "non-lei" prende spessore. Da semplice tramite di un qualcosa di ignoto muta in soggetto, nuovo, unico: si fa amare per quello che è e non per quello che, chissà cosa, dovrebbe rappresentare. Ma non muta solo agli occhi di Kelvin, muta anche nella evoluzione dell’autocoscienza di sé. Prende consapevolezza d’essere un’altra Harey. E quest’altra Harey vuole, lei, non come rimando ad altro, ma proprio lei, essere amata. Ancora la vertigine, il cambiamento di ruolo, la mescolanza tra osservante ed osservato, entrambi in reciproca evoluzione senza soluzione di continuità.
Dolce il passo in cui cheide a Kelvin: “le somiglio molto?”, o l’altro ancora in cui gli dice: “così sai che sono io e non lei”. Una donna innamorata. Come di questa, proprio di questa Harey, è innamorato Kelvin. Abbastanza da intuire che l’unica cosa sensata da fare è tenere in vita quell’unica remota scintilla di possibilità: restare. Ed aspettarla, forse inutilmente, per sempre.

Una profonda riflessione sui limiti del conoscere. Invalicabili. Ma di cui non possiamo fare a meno… che farne a meno è strappar via un pezzo di sé e perderlo per sempre.
Un romanzo bellissimo. 4,3/5
 
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skitty

Cat Member
Grazie Zef! Copio e appiccico anche io :mrgreen:

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Meravigliose immagini del pianeta e dei sentimenti umani da esso evocati. La storia procede lenta e lascia aperti interrogativi, ma affascina proprio per questo. Voto: 4.

Mi è piaciuto molto. Il tema della fantascienza è un pretesto per sondare la mente ed i limiti umani; ho apprezzato molto la descrizione e l'evoluzione dei sentimenti umani, in mezzo a parti prettamente scientifiche e di analisi (che probabilmente saranno meglio comprese e gradite da chi ha studiato e conosce le materie trattate!).
A volte ho trovato il ritmo molto lento, soprattutto nella seconda metà, dove mi aspettavo più azione e colpi di scena... invece restano molte domande. Il che può essere anche una buona cosa, per stimolare una riflessione... però la mia curiosità è rimasta un pochino in sospeso!
E' un romanzo molto originale, il mio giudizio è assolutamente positivo.

" Noi partiamo per lo spazio preparati a tutto, cioè pronti al sacrificio, alla solitudine, alla lotta, alla morte.
Per modestia, non lo diciamo ad alta voce, ma lo pensiamo dentro di noi di tanto in tanto; pensiamo di essere eccezionali.
Intanto, però, non è tutto, il nostro zelo si rivela una posa. Non abbiamo nessuna voglia di conquistare il cosmo, noi vogliamo soltanto allargare fino ai suoi ultimi confini le frontiere della Terra. Certi pianeti devono essere deserti come il Sahara, altri freddi e ghiacciati come il Polo o tropicali come la giungla del Brasile.
Siamo umanitari e nobili, non abbiamo intenzione di conquistare altre razze, vogliamo solo trasmettere i nostri valori e in cambio impadronirci del loro patrimonio.
Ci crediamo cavalieri dell'ordine del Santo Contatto. Questa è una bugia. Noi cerchiamo solo l'uomo. Non abbiamo bisogno di altri mondi, abbiamo bisogno di specchi. Non sappiamo che cosa farcene di altri mondi. Uno ci basta, quello in cui sguazziamo. Vogliamo trovare il ritratto idealizzato del nostro mondo! Cerchiamo dei pianeti con una civiltà migliore della nostra... ma che sia l'immagine evoluta di quel prototipo che è il nostro passato primordiale. Dall'altro lato, c'è qualcosa in noi che non accettiamo, contro cui lottiamo; ma che comunque resta, perché dalla Terra non abbiamo portato un distillato di virtù o una statua alata dell'uomo! Siamo arrivati qua così come siamo realmente, e quando l'altra faccia, cioè la parte che manteniamo segreta, si mostra com'è veramente... non riusciamo ad andarci d'accordo!"


"... poiché gli strumenti di tortura sono passivi e innocenti, come le pietre che possono cadere e ammazzare. Ma uno strumento di tortura che ti ama e che vuole il tuo bene... Veramente non posso immaginarmelo."
 

asiul

New member
Lo specchio dell'anima....

Riporto il mio commento come scritto nel GdL..

La lettura di questo romanzo è stata scorrevole e piacevolissima. Questo Lem sa produrre momenti di vera lirica letteraria e riesce a tenermi incollata alle pagine del suo romanzo con valutazioni e ragionamenti di filosofia anti utopistica.

L’immagine che mi resta (una delle tante) è quella della riflessione su un mondo che sta smarrendo la sua identità e nella ricerca sfrenata di altri luoghi pronti ad accoglierci non s’accorge di ripetere sempre lo stesso errore. Quello di distruggere tutto ciò che non comprende considerandolo per questo stesso presupposto, ostile.
Diverse le critiche e gli aspetti interessanti che ci fornisce Lem.
Una è l’utopica e vana convinzione di noi umani di poter stabilire un contatto con una vita aliena.
La spedizione dei “cavalieri del santo Contatto” fallisce clamorosamente perché impreparati al cambiamento. L’idea è di sopraffare, conquistare e colonizzare quello che non si riesce a conoscere.

“Dove non c’è gente, lì non ci sono motivazioni accessibili per l’essere umano”.

“Noi siamo comuni, siamo l’erba dell’universo, e di questa qualità così comune così universale andiamo talmente orgogliosi che abbiamo creduto di potervi fare rientrare tutto. In questo stato d’animo ce ne siamo partiti, allegri e contenti (…).Li avremmo dominati o ci avrebbero dominato, non c’era altro nei nostri poveri cervelli, e non ha senso”.

Ci sono due conquiste da compiere in questo romanzo. Quella esteriore dell’oceano e l’altra interiore, dell’uomo con la sua coscienza. Nella presa, si lotta per vincere, ma in entrambi i casi restando sconfitti, perché dall’una dipende l’altra, l’uno non può prescindere dall’altra. Più si combatte l’oceano, più dolorosa sarà la disfatta.
Kelvin che tenta di recuperare il rimorso d’aver spinto la giovane moglie a suicidarsi dieci anni prima, cerca di dimenticarne il ricordo ed il rimorso sostituendolo con l’immagine di un’ ”altra” Harey. Somigliante alla moglie, ma solo nella sua coscienza perché priva di consapevolezza. E a mano a mano che questa prende possesso di sé, trasforma l’immagine che lo “specchio”- oceano gli ha fornito, in qualcosa di diverso ed estraneo. La realtà sostituisce l’illusione e l’illusione consapevole(?) prende possesso della realtà. Ed è qui che avviene la magia. Kelvin non è un buono nel romanzo di Lem, in verità non ci sono buoni in questa storia, ma nell’amore verso un “riflesso” di ciò che è stato, ritrova l’unica pace in grado d’allontanarlo dalle colpe.

Ora lo specchio compie la sua funzione e mostra l’immagine delle cose per quella che è sempre stata, ma così forte è il desiderio di riavere la “sua” Harey da spingerlo al “ritorno al mare”, come se la morte restituisse la vita.
Chissà è forse proprio nel desiderio e la necessità di riavere ciò che s’è perduto che c’è l’accoglienza dell’altro ed a farci pronunciare le parole di Kelvin… “È vero che non sei uguale a me. Ma non significa che sei qualcosa di peggio, al contrario.”

Spingiamo alcune cose a compiersi senza renderci conto che il loro cammino non è nostro. Ed il sentimento del rimorso ci accompagna rubandoci la vita. Quando questo ahinoi avviene dovremmo smettere di dannarci ed accettare ciò che è accaduto pensando a tutto ciò che resta e che non è mai … mai perduto per sempre, noi stessi; l’unico bagaglio da portare via quando comincia il viaggio.

“Le cose accadute possono essere tremende, ma più tragico è ciò che… accaduto,mai.”

Molti dicevo i temi in questo romanzo. Altro non meno importante, l’ostinata ricerca di conoscere l’inconoscibile. Non v’è spiegazione logica per il metafisico.

"L'uomo è in grado di apprendere poche cose la volta;vediamo soltanto ciò che accade dinanzi a noi, qui e ora; non siamo capaci di figurarci una serie di processi che avvengono simultaneamente, per quanto siano legati o complementari gli uni agli altri....La sorte di un uomo è significativa, quella di cento si può appena afferrare;ma la storia di mille, di un milione, propriamente parlando, non ci dice niente”… omissis … “Che possiamo dunque comprendere di queste innumerevoli navate”… omissis… “che andiamo esplorando, aggrappati come formiche agli anfratti delle volte che respirano”… omissis …“poiché qui tutto fugge, il movimento è l’essenza stessa di queste architetture, un movimento concentrato e volto a uno scopo prefissato. Noi osserviamo solo qualche particolare dei processi, la vibrazione di una sola corda in un’orchestra sinfonica di supergiganti, e per di più sappiamo (sappiamo senza riuscire a concepirlo) che sopra e sotto di noi, in abissi vertiginosi che superano i limiti della vista e dell’immaginazione, avvengono contemporaneamente altre trasformazioni, a migliaia, a milioni, collegate fra loro, come il contrappunto lega le note. Qualcuno ha anche parlato di “sinfonia geometrica”. Ma, in tal caso, noi siamo degli ascoltatori sordi.. per vedere davvero qualcosa bisognerebbe che potessimo retrocedere nello spazio,guardare da una certa distanza” … omissis… “Qui ogni momentanea formazione con la sua bellezza, il cui compimento sfugge alla nostra vista, è tutt’insieme il mezzo e la guida della costruzione stessa.”


Ho avuto la sensazione, leggendo Solaris che quanto scritto mi appartenesse e che fosse già lì, nascosto da qualche parte, in attesa d’essere scoperto. Questa lettura nel/ed il suo genere la sento mio più di quanto pensassi.

Chiudo con una frase che è a metà del libro e che, per me,rappresenta uno dei temi cari a Lem, in questo romanzo...

“…volevamo distruggere ciò che non capivamo”.

Triste pensare come ciò avvenga continuamente.

Riassumo: Solaris non è un semplice romanzo di fantascienza è il viaggio nell'universo umano. Sembra di muoversi nello spazio, ma si resta fermi a pensare che forse l'unica porta da aprire per provare a capire l'ignoto siamo noi stessi. Quel mistero infinito chiamato uomo. Voto: 4,3/5
 
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P

~ Patrizia ~

Guest
Definirlo un libro di fantascienza è riduttivo. Moltissimi i motivi di riflessione che scaturiscono dal tema principale: il limite invalicabile e assoluto della conoscenza. Dell'ignoto ma anche del sé e della realtà.

Un viaggio avvincente e poetico nei meandri dell'animo umano. Bellissimo.
Voto: quattro/5
 

Dory

Reef Member
L'uomo si è mosso per andare alla scoperta di altri mondi, di altre civiltà, senza avere perlustrato a fondo, dentro di sé, i cortiletti, i camini, i pozzi, le porte sbarrate... perché ha troppa paura di quello che ci può trovare.

Questo è ciò che più mi ha colpito del libro: il bisogno, connaturato nell'essere umano,
della ricerca perpetua, di conoscere, di indagare, di scoprire, ciò che lo circonda, fino a spingersi oltre i propri limiti e superandoli anche, ma trovandosene di fronte altri subito dopo.
La storia e la letteratura sono pieni di personaggi che sono l'emblema di questo aspetto fondamentale della natura umana, primo fra tutti Ulisse.
Solaris, può benissimo essere una versione fantascientifica dei miti legati alla figura di Ulisse, c'è tutto: la sete di conoscenza, il viaggio ai limiti delle proprie possibilità, l'esposizione al canto delle sirene, il racconto, il ricordo, la tela di Penelope, e, più di tutto, c'è qualcosa di una potenza immaginativa, poetica, creativa, che non ha eguali in tutto ciò che fa parte delle nostre conoscenze umane e oltre: l'oceano.
 
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velmez

Active member
Più che un romanzo di fantascienza, mi è sembrato un romanzo fortemente psicologico e filosofico. Letto secondo questo punto di vista anche a me è piaciuto molto: queste descrizioni interiori del pianeta esteriore, questo immenso e rugginoso oceano che si avvicina, avvolge ma poi si disinteressa... ci segue con curiosità ma poi è indotto a lasciar perdere... un piccolo dio embrionale e imperfetto che agisce senza scopo... sono immagini fortissime e davvero ben rese!
Bellissimo il finale, e bellissimo l'innamoramento di lui: innamorarsi di un ricordo pur di non lasciarlo andare. E' come se su Solaris, Kevin abbia fatto un percorso di riappropriazione del dolore: la moglie morta, della cui morte si incolpa, ritorna dopo 10 anni, quando lui quasi non ci pensava più, all'inizio fa paura, ma alla fine non può farne a meno...
Ho letto anch'io la post-fazione che inizia con una citazione di Lem che dice di non saper cosa avesse voluto dire il libro... a me ha lasciato sensazioni profondamente vivide e tutt'altro che razionali: io ci trovo una certa logica, una logica per "osmosi"...
Dal punto stilistico, invece, non ho apprezzato le continue digressioni didattiche (Chris in biblioteca per intenderci), mi è sembrato un escamotage un po' imbranato!
avrei partecipato volentieri al GdL, peccato essere arrivata tardi! :)
 

Dory

Reef Member
Mi accorgo ora che nel mio commento ho dimenticato di scrivere una cosa importante:

Grazie Zefiro per avermi fatto leggere questo libro e conoscere questo autore. Se non fosse stato per te, non l'avrei mai letto, perché non mi piace la fantascienza, ma questo autore fa decisamente eccezione.

GRAZIE
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
c'è anche la mia:

Gli do 3 su 5, l'idea è affascinante ma non mi è piaciuto il continuo disgredire scentifico, che ha tolto ritmo e coinvolgimento alla storia, che è risultata fredda e caotica nel suo svilupparsi, tanto che a un certo punto ho sperato che gli umani fossero gli ospiti che li tenevano in scacco, tanto questi mi sono apparsi antipatici.
 

Yamanaka

Space's Skeleton
Ha ragionissima Velmez! Bellissimo romanzo filosofico-psicologico sul tema della memoria, della malinconia, dell'incomunicabilità e del senso umano. La seconda parte è davvero commovente e da brividi.
 

isola74

Lonely member
Non vado matta per la fantascienza e non pensavo che questo libro potesse piacermi così tanto. Ma forse è perché alla fin fine, di fantascienza resta ben poco nella mente di chi legge... è un romanzo sulla sofferenza dell'uomo che vorrebbe capire tutto ma non può, a partire da ciò che lo circonda fino a ciò che, forse, lo spaventa ancora di più: i suoi sentimenti. E infatti gli scienziati protagonisti perdono tutta la fiducia nella loro scienza quando si scontrano proprio con il loro io più remoto, quello che non possono controllare, e a volte nemmeno conoscere, e temono che qualcun altro riesca invece a a farlo. Forse mi è piaciuto tanto perchè in fondo mi ci sono immedesimata....


"Non abbiamo bisogno di altri mondi, abbiamo bisogno di specchi. Non sappiamo che cosa farcene di altri mondi. Uno ci basta, quello in cui sguazziamo. Vogliamo il ritratto idealizzato del nostro mondo! Cerchiamo dei pianeti con una civiltà migliore della nostra... ma che sia l'immagine evoluta di quel prototipo che è il nostro passato primordiale"


“Noi siamo comuni, siamo l’erba dell’universo, e di questa qualità così comune così universale andiamo talmente orgogliosi che abbiamo creduto di potervi fare rientrare tutto. In questo stato d’animo ce ne siamo partiti, allegri e contenti (…).Li avremmo dominati o ci avrebbero dominato, non c’era altro nei nostri poveri cervelli, e non ha senso”.

"L'uomo si è mosso per andare alla scoperta di altri mondi, di altre civiltà, senza avere perlustrato a fondo, dentro di sé, i cortiletti, i camini, i pozzi, le porte sbarrate... perché ha troppa paura di quello che ci può trovare".


"Non avevo speranze. Però viveva in me l'attesa, l'ultima cosa che mi fosse rimasta. Che appagamenti, che beffe, che torture potevo ancora aspettarmi? Chissà, ma persistevo nella fede irremovibile che l'epoca dei miracoli crudeli non fosse ancora finita"
 
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