Dostoevskij, Fedor - La mansueta/Il sogno di un uomo ridicolo

Minerva6

Monkey *MOD*
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Ho preso in edicola questo libretto con due racconti e li ho trovati deliziosi.
Nel primo,un marito si trova a ragionare con se stesso sui motivi che hanno portato la giovane moglie ad uccidersi...cerca di scagionarsi e accusarsi nello stesso tempo fino a rendersi conto che gli uomini sulla terra sono soli e devono amarsi l'un l'altro.
Nel secondo,il protagonista,l'uomo ridicolo,dopo essersi reso conto che tutto è indifferente sogna di morire e di giungere in un altro mondo migliore e perfetto.
Anche qui il finale porta alla stessa conclusione del precedente racconto.La cosa principale è: ama gli altri come te stesso,ecco la cosa principale,ed è tutto,non occorre proprio niente altro: immediatamente si troverebbe come mettere tutto a posto.
Lo stile narrativo di Dosto è piacevole,scorrevole e coinvolgente...peccato solo che siano stati così brevi.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Voglio aggiungere qualcosa sul 1° racconto.
Pur nella sua brevità,ci sarebbe tanto materiale su cui discutere circa il rapporto di coppia e le differenze individuali che poi si possono fondere o continuano a restare tali.
Ho sottolineato la frase:La stranezza non è una colpa,anzi,talvolta riesce seducente per le donne.
Io dico che è vero,aggiungo però che questa seduzione dura poco,perchè alla lunga la stranezza può creare qualche problema.
 

fil.

New member
la mansueta

se posso aggiungere ... l'ho trovato molto triste ed intenso allo stesso tempo. Il messaggio che ho sentito maggiormente è il bisogno di dialogo che abbiamo, e molte volte non sappiamo alimentare.
 

Dallolio

New member
Ho amato tutto Dostoieski, mi manca solo "Suo marito"... tuttavia Sogno di un uomo ridicolo non l'ho capito assolutamente
 
G

giovaneholden

Guest
Ennesima dimostrazione dell'enorme talento dello scrittore russo spesso considerato il maggior narratore di ogni epoca e luogo. Cito sui due racconti una significativa recensione trovata in rete e che mi trova perfettamente d'accordo.
"
Un marito meschino e una donna "mansueta", che fa della propria paziente rassegnazione di fronte alla sofferenza e allo sconvolgente divampare dei sentimenti, motivo di afflizione, di dolore e infine di morte. È la storia di una donna che non riesce a domare i propri sentimenti, che si lascia trasportare da essi, benché in realtà appaia consapevole delle proprie emozioni, a tal punto da decidere lucidamente - non in preda a un attimo di follia e di istinto, come pensa ingenuamente e vilmente il marito - di mettere lei stessa fine a quei sentimenti contrastanti, incoerenti che l'avevano tormentata.
Sembra di vivere - al fianco dei personaggi - una storia assurda, che al fine di rappresentare forse l'incomunicabilità dei sentimenti o la difficoltà o addirittura l'avversione a viverli a pieno, si svincola dal normale evolversi degli eventi, e ci mostra, non so se anche con un retrogusto amaramente ironico, quel legame tra amore e sofferenza, tra passione e tragedia.
È la storia di un uomo che ama la donna, ma, per puro orgoglio di sottomissione della moglie, soffoca i sentimenti di affetto di quest'ultima. Ma infine trova nell'indifferenza e nel distacco della donna - che quasi non si accorge della sua presenza - la ragione del suo amore, della fiamma della passione che lo pervade in ultimo. Quasi come il suo amore fosse alimentato dall'indifferenza della donna, dal conflitto che nasce tra di essi. Ma la donna non sopporta la condizione instabile del loro rapporto e sceglie di compiere il gesto estremo.
E l'uomo deve chiarire la colpa del folle atto, riversando su se stesso la colpa, la quale sembra voler giustificare come dinanzi ad un giudice immaginario, che lo condurrà alla verità.

L'uomo ridicolo è un uomo che si sente ridicolo, perché a considerarlo tale è il resto del mondo e perché lui è cresciuto con la consapevolezza, maturata dentro di lui, di essere ridicolo. Consapevolezza che lo porta all'idea del suicidio. Ma il suicidio non è il tema centrale del racconto - e non credo di svelarvi nulla se vi dico che non si suiciderà. Il tema della novella è racchiuso nel sogno di quest'uomo ridicolo.
Un uomo che sogna di suicidarsi ma non trova il coraggio. Cos'è che gli impedisce di togliersi la vita, di lasciare il mondo che lo irride e verso il quale si mostra indifferente? È il dolore, la pena che prova nei confronti della sofferenza di un altro essere umano. Come può non importargli nulla di questo mondo se prova ancora pietà per una parte, seppur piccola, di esso? Ed è proprio il dolore che lo unisce alla vita. È proprio il dolore il filo di unione tra l'amore per la vita e il desiderio di continuare a vivere.
Un sogno gli rivela la Verità: il dolore esiste perché tra gli uomini non vi è più amore. Se lui voleva togliersi la vita era perché nessuno provava amore per lui. La felicità umana e l'equilibrio di tutte le cose si basano su quel principio antico che recita Ama gli altri come te stesso. E lui vi trova una nuova ragione di vita: deve continuare a vivere per predicare, per diffondere il proprio messaggio. Perché in fondo crede che il concetto di "paradiso" sia concretamente realizzabile anche tra gli uomini."
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
inserisco la recensione del racconto lungo Il sogno di un uomo ridicolo, anche se io ho un'altra edizione rispetto a quella segnalata. La mia edizione è quella di La Biblioteca Ideale Tascabile, 1995, traduzione di Alfredo Polledro. In questa edizione c'è anche la Confessione di Stavogrin da I demoni.

Il tema del racconto è quello della redenzione umana e di come la nostra società, perché secondo me il tema sociale è molto attuale, ha perso il significato di vita e di felicità. L'autore crede alla possibilità di tornare ad uno stato di felicità e di innocenza attraverso un proprio percorso interiore che però deve essere condiviso da tutti per poter essere efficace.

«…Comparvero le unioni, ma ormai l’una contro l’altra. Cominciarono i rimproveri, i rimbrotti. Essi conobbero la vergogna e la vergogna eressero a virtù. Nacque il concetto dell’onore e in ciascuna unione si levò una propria bandiera. Presero a tormentar gli animali e gli animali si allontanarono da loro nei boschi e divennero lor nemici. Cominciò la lotta per la separazione, per l’individuazione, per la personalità, per il mio e il tuo. Presero a parlare in varie lingue. Conobbero la tristezza e l’amarono, ebbero sete di tormenti e dissero che la verità si raggiunge solo col tormento. Allora comparve presso di loro la scienza. Quando divennero cattivi, cominciarono a parlar di fratellanza e di umanità e capirono queste idee. Quando divennero colpevoli, inventarono la giustizia e si prescrissero interi codici, per conservarla, e per far rispettare i codici stabilirono la ghigliottina. Essi si ricordavano appena appena di ciò che avevano perduto, anzi non volevano credere di essere stati un tempo innocenti e felici. Ridevan perfino della possibilità di questa primiera loro felicità e la chiamavano un sogno. Non potevano nemmeno raffigurarsela in forme ed immagini, ma, strano e portentoso fatto: perduta ogni fede nella passata felicità, chiamata fiaba, a tal segno vollero esse daccapo innocenti e felici che si prostrarono davanti ai desideri del proprio cuore come bambini, divinizzarono questi desideri, costruirono templi e presero a innalzar preghiere alla loro stessa idea, al loro stesso «desiderio», in pari tempo credendo pienamente alla sua impossibilità e inattuabilità, ma adorandolo e venerandolo fra le lacrime. E tuttavia, se mai fosse potuto accadere ch’essi tornassero in quello stato innocente e felice che avevan perduto, e se qualcuno d’un tratto gliel’avesse nuovamente mostrato domandando se volevano tornarvi, di sicuro avrebbero ricusato. Essi mi rispondevano: «siamo pur menzogneri, cattivi e ingiusti, noi questo losappiamo e ne piangiamo, e per questo ci tormentiamo da noi stessi, e c’infliggiamo torture e castighi perfino più, forse, di quanto farebbe quel misericordioso Giudice che ci giudicherà e il cui nome ignoriamo. Ma noi abbiamo la scienza e per mezzo di essa ritroveremo la verità, accogliendola ormai consapevolmente. Il sapere è superiore al sentimento, la coscienza della vita è superiore alla vita. La scienza ci darà la sapienza, la sapienza ci rivelerà le leggi, e la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità». Ecco quel che dicevano, e dopo parole siffatte ciascuno prese ad amare se stesso più di tutti, né potevan fare altrimenti…»
 

Trillo

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Non mi soffermo sul primo racconto, per il quale ho provato una repulsione che non mi ha permesso di apprezzarlo. Mi ha invece incuriosito e coinvolto maggiormente Il sogno di uomo ridicolo che, pur nella sua brevità (poco più di una ventina di pagine), ho trovato ricco di spunti e mi ha suscitato diversi pensieri e sensazioni.

Un uomo diventato indifferente a tutto è ormai pronto al suicidio prima che un particolare evento, veicolato da una bambina, impatti con forza sul suo muro dell’indifferenza aprendone delle crepe in grado di risvegliare la sua coscienza. Ne scaturisce una riflessione che ha del filosofico e psicologico, e che poi si tramuta in un’esperienza onirica e mistica che ha a tratti anche del poetico.

All’inizio di questa esperienza, il protagonista sogna di spararsi, ma con un colpo al cuore e non con un colpo in testa come aveva inizialmente programmato. Questo mi ha fatto pensare, per contrasto, al famoso discorso di David Foster Wallace Questa è l’acqua. Qui Wallace sottolineava l’importanza di imparare a controllare ed orientare il proprio pensiero, perché, quando questa capacità viene meno, si corre il rischio di venire fagocitati in una spirale di pensieri potenzialmente fatali. Non a caso, diceva lo scrittore, la maggior parte della gente che si suicida con un’arma da fuoco, si spara in testa. Mentre nel discorso di Wallace la mente è vista quasi come un potenziale nemico da tenere a bada per non incorrere nell’autodistruzione, nel racconto di Dostoevskij la mente lasciata libera di vagare assume al contrario un potere salvifico. I pensieri indotti dalla visione della bambina distraggono il protagonista dal premere il grilletto, immergendolo in pensieri che richiamano la sua attenzione, lo inducono a porsi delle domande, ad avvertire il bisogno di risolvere il conflitto interiore suscitato dall’evento, riportando a galla la sua coscienza. Spontaneamente e senza alcuna intenzionalità, la mente del protagonista comincia ad elaborare l’accaduto, i suoi pensieri fluiscono obbedendo solo a loro stessi senza che il protagonista ne abbia alcun controllo, e lo dominano al punto da addormentarlo e poter continuare il loro lavoro indisturbati a livello inconscio. È a questo punto che il protagonista sogna di spararsi al cuore, non più in testa come aveva pensato: l’uomo che era diventato doveva idealmente morire, con un colpo al suo cuore di pietra, preservando invece la sua testa, per poi rinascere purificato nella realtà, con una nuova sensibilità e un nuovo scopo di vita, attraverso un cambiamento che parte inevitabilmente proprio dalla sua mente, che continua ad esercitare una certa capacità di raziocinio anche nel sogno.

Ed effettivamente la visione che ha in sogno lo cambia radicalmente, ed è il pretesto di cui Dostoevskij si serve per esprimere un messaggio di speranza contro il male che affligge la storia dell’uomo. L’antidoto è noto, è quell’ "ama il prossimo tuo come te stesso" che per quanto abbia attraversato indenne il tempo, non ha messo le radici nell’animo umano.
Secondo l’autore/protagonista, l’uomo prima del peccato viveva senza desideri, senza nozioni scientifiche o filosofiche, ma possedeva un altro tipo di sapere a noi sconosciuto, era animato da altre inaccessibili aspirazioni, e per questo era felice, integro, non aveva bisogno di altro all’infuori di ciò che già aveva e che lo rendeva in pace con se stesso. Secondo l’autore, andrebbe recuperata questa dimensione, e il mezzo per raggiungerla consisterebbe nell’estirpare quella che a suo parere costituirebbe l’origine del male, ovvero la concezione secondo cui "la coscienza della vita è superiore alla vita, la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità". Per quanto sia comprensibile il disaccordo su questa visione delle cose, devo dire però che non mi sento di condividere né questa concezione né la posizione dell’autore che vede in tutto ciò il seme del peccato e il principale responsabile del decadimento umano. Si dice che la virtù stia nel mezzo, e in questo senso penso che quella sorta di metacognizione della vita che emerge da quella presunzione di superiorità della conoscenza sia un importante elemento da riconoscere e salvare, perché rappresenta una significativa peculiarità dell’uomo che tra l'altro, a mio parere, se orientata nella giusta direzione, rappresenta proprio il mezzo con cui recuperare in generale una dimensione più umana. Al contrario, la mancanza di riflessione, di un pensiero critico, l’ignoranza, non può portare alla condizione primordiale di armonia col tutto secondo una consapevolezza a noi sconosciuta, che è un qualcosa di puramente idealistico e irrealizzabile nei termini posti dall’autore. D’altra parte, se il protagonista stesso del racconto si salva e matura una nuova consapevolezza della vita, è proprio grazie al processo di interrogazione interiore e di elaborazione riguardo ciò che stava provando.

Il racconto nel suo complesso risulta quindi interessante e piacevole da leggere, per quanto io ne abbia apprezzato maggiormente la prima parte.

Piccola nota: da questo racconto si evince anche che Dostoevskij non fosse a digiuno di nozioni scientifiche. In particolare, all’autore era noto che la velocità della luce fosse finita, in quanto il protagonista, ad un certo punto dice: "Sapevo che esistono nello spazio celeste delle stelle i cui raggi non pervengono sulla terra che dopo migliaia o milioni di anni. Forse volavamo in questi spazi". Per quanto la prima misura della velocità della luce avvenne circa due secoli prima di questo racconto, mi ha ugualmente sorpreso la consapevolezza dell’autore a tal proposito.
 
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