Le prime pagine di Lejla e Hamid
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"Lejla e Hamid"
CAPITOLO 1
Genova - Luglio 2011
Un raggio di sole filtrò attraverso le persiane socchiuse e riscattò la stanza dall’oscurità della notte. Hamid aprì gli occhi e si guardò intorno ancora mezzo addormentato. Nella penombra del mattino scorse l’orologio d’argento appeso alla parete. Le lancette segnavano le otto.
Al suo fianco, supina, Lejla dormiva ancora. Hamid sollevò il busto e, appoggiato sui gomiti, rimase a osservarla. La trovava bellissima. La scrutò invano alla ricerca di qualche difetto. Gli piaceva tutto di lei. Anche il naso, che a detta di lei era troppo grande, gli sembrava che si incastrasse alla perfezione nel viso. Lejla era critica anche sulle labbra, sosteneva che quello superiore fosse troppo piccolo. A lui invece sembrava tutto perfetto, come se i lineamenti, netti ma allo stesso tempo delicati, fossero stati modellati con cura da un abile scultore. Aveva un’espressione serena, con la bocca stirata in quello che pareva un mezzo sorriso. Il lenzuolo, lo stesso che la sera prima, stirato e profumato, gli aveva trasmesso una sensazione di piacere mai provata prima, ora, stropicciato e impregnato del loro odore, avvolgeva la ragazza come una tunica, lasciandole scoperta la parte sinistra del corpo. Si erano addormentati nudi, dopo aver fatto l’amore. Lo sguardo di Hamid scivolò dalla clavicola giù fino al seno. Piccolo e sodo, con una bella forma che entrava perfettamente in una coppa da champagne, aveva scherzato lei la prima volta che si era spogliata davanti a lui. Le accarezzò la spalla. La pelle, candida e vellutata, risaltava sotto la sua mano scura, color cioccolato al latte, come gli aveva detto con tenerezza una delle prime volte che erano usciti insieme. Si chinò e avvicinò le sue labbra a quelle di lei. Avrebbe voluto baciarla, uno di quei baci traboccanti di passione che erano soliti darsi e che li portava a desiderare di andare oltre, di non limitarsi a un incontro di bocche. Avrebbe voluto assaporarla, quella bocca, ma si limitò a sentirne il respiro. Non voleva svegliarla.
Si coricò su un fianco, senza distogliere lo sguardo da colei che lo aveva aiutato a riconciliarsi con quel paese che tanto lo aveva fatto soffrire. Erano trascorsi quasi sette anni da quando, non ancora sedicenne, era fuggito dalla sua terra con la speranza di incontrare il paradiso, ignaro che in Italia avrebbe trovato l’inferno. L’inferno dei centri di permanenza temporanea. L’inferno dei campi di pomodori in Puglia. Gli ultimi scampoli di dignità calpestati al suolo come mozziconi di sigaretta. Il dolore ruminato come cibo quotidiano, spesso in mancanza di quello vero. Il desiderio di fuggire altrove per non udire l’ennesimo insulto, per non subire l’ennesima vessazione. Poi un giorno aveva conosciuto quella ragazza dal sorriso facile e la battuta pronta. Una ventata d’aria fresca capace di spazzare via anche i ricordi più bui. Da allora tutto era cambiato, le persone non gli sembravano più ostili come prima. Con alcune eccezioni. Perché se era vero che Lejla lo faceva sentire uguale agli altri, la stessa cosa non poteva dirsi per molti dei suoi amici. Quella sera, in una discoteca in Corso Italia, ci sarebbe stata la festa per i diciotto anni di Gaia, la migliore amica di Lejla, e lui non era stato invitato. Le avevano fatto capire, in bel modo, che la presenza del suo amichetto nero non sarebbe stata gradita. All’inizio Lejla si era impuntata, o tutti e due o nessuno dei due. Poi però poco a poco la sua fermezza si era indebolita. Alla fine aveva ceduto e gli aveva chiesto di poter andare da sola. Hamid c’era rimasto male, ma non se l’era sentita di litigare. Le voleva troppo bene per impedirle di partecipare al compleanno della sua migliore amica, e in fondo sapeva che, se fossero andati insieme in discoteca, sarebbero stati oggetto di scherno e né lei né lui si sarebbero goduti la festa.
Assorto nei suoi pensieri, senza rendersene conto, Hamid sfiorò il capezzolo di Lejla con il dorso della mano. Il contatto, seppur lieve, lo riportò con la mente nella camera dei genitori di lei. Immediatamente, sentì montargli dentro il desiderio e iniziò a baciarla con dolcezza prima sul collo, poi sulle spalle. Infilò la lingua nelle fossette delle clavicole, poi la fece scivolare lungo il petto, giù, verso il seno scoperto. Indugiò intorno al capezzolo, disegnandovi intorno dei cerchi con la punta della lingua. Poi incominciò a leccarlo, dapprima con delicatezza, poi più intensamente, lasciandosi guidare da una crescente voluttà, sentendo che da morbido diventava turgido. Un prolungato mugolio di piacere si sovrappose al ticchettio cadenzato dell’orologio. Gli occhi erano ancora chiusi, ma il corpo di Lejla si stava svegliando, senza fretta. Hamid scostò con la mano il lenzuolo e osservò il piercing e la pancia piatta, con gli addominali cesellati dalle ore trascorse in palestra. Attese un attimo prima di abbassare la testa e iniziare a baciarle il ventre. La scoprì interamente e rimase a guardarla. Aveva i peli del pube rasati. Li tagliava con cura un paio di volte al mese prendendo di nascosto il rasoio elettrico del padre. Aveva già posseduto quel corpo, eppure sentiva di desiderarlo come qualcosa di nuovo e sconosciuto. Si stupì di come il desiderio fosse lo stesso della prima volta, anzi, se possibile ancora più forte. Hamid le allargò con delicatezza le gambe e iniziò a baciare la parte interna delle cosce. Lei, ormai sveglia, lo lasciava fare e ansimava in preda all’eccitazione. Hamid bramava inebriato, quel sapore e quell’odore lo eccitavano terribilmente. Si mise sopra di lei, si infilò un preservativo e la penetrò lentamente. Lejla ebbe un fremito. Hamid iniziò a muoversi, prima piano, poi più velocemente. Il piacere aumentava con il passare del tempo. Era come se ogni parte del corpo avesse deciso di partecipare. Ogni cellula, ogni atomo. All’improvviso lei staccò le labbra da quelle di lui, gettò indietro la testa e con un grido soffocato salutò un orgasmo che la scosse interamente. Lui la guardò senza smettere, sentiva che stava per arrivare il suo turno, e un attimo dopo raggiunse l’apice del piacere. Svuotato di ogni energia, si abbandonò su di lei che lo cinse in un abbraccio stretto e iniziò ad accarezzargli la schiena.
Dopo un minuto Hamid alzò la testa e la guardò, avrebbe voluto dirle un milione di cose, ringraziarla per tutte le sensazioni meravigliose che gli faceva provare, avrebbe voluto provare a descrivergliele, raccontarle di quanto fosse contento da quando stavano insieme, ma le parole non gli uscivano, come se avesse esaurito anche l’energia per parlare. Lei parve capire, lo baciò e gli sorrise. Le brillavano gli occhi, dicevano grazie amore mio per questo risveglio dolcissimo, vorrei tanto che mi svegliassi così ogni mattina per il resto della mia vita.
Hamid sospirò e sorrise. Era la prima volta, da quando aveva memoria, che provava una gioia così intensa e senza confini, e in quell’istante si sentì il ragazzo più felice del mondo.
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Diego Repetto - writer: Lejla e Hamid
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