Gary, Romain - Le radici del cielo

qweedy

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"A Fort-Lamy, nell’Africa Equatoriale Francese, il centro d’attrazione è l’Hôtel del Ciadien. Fino a qualche tempo fa il Ciaden era un luogo piuttosto desolato, poi è arrivata Minna, tedesca, bionda, un gran corpo vistoso, un passato da dimenticare alle spalle, e l’atmosfera è cambiata. Un giorno piomba sulla pista da ballo un uomo con un viso energico e un po’ scuro, che comincia a parlare a Minna con dolcezza gentile. Non le dice né chi è né da dove viene, ma le parla degli elefanti che vengono uccisi ogni anno in Africa. Meravigliosi animali in marcia negli ultimi grandi spazi liberi rimasti al mondo, abbattuti senza pietà. E così, quasi senza accorgersene, Minna e Morel, il «francese pazzo», l’«avventuriero dello spirito» compiono l’uno verso l’altra i primi passi di un’avventura che diventerà leggenda in Ciad e in tutta l’Africa Equatoriale Francese."


Considerato il primo romanzo autenticamente ecologista, Le radici del cielo valse a Romain Gary il Prix Goncourt 1956. Nel 1958 John Huston ne trasse un celebre film con Trevor Howard, Errol Flynn, Orson Welles e Juliette Gréco.

Amo molto quest'autore, però Le radici del cielo è il libro suo che meno mi è piaciuto. Riconosco che avendolo scritto nel 1955/56 può essere definito il primo romanzo ecologista della storia.

Protagonista è Morel, un francese uscito dal lager nazista, che ora è in Ciad dove cerca di diffondere una petizione per la difesa degli elefanti, simbolo di purezza e di libertà, simbolo della natura libera. Scartoffie da far firmare per tentare di proibire la crudele caccia ai pachidermi o per impedire ai ricchi proprietari terrieri di sterminarli nel timore che possano distruggere le piantagioni. E' un puro, si batte con tutte le sue forze per difendere i giganti dell’Africa. Dalle loro gambe crescono le radici del cielo. Sono i pilastri dell’anima. Gli ideali capaci di sorreggere la più disperata delle imprese. Un’opera buona. Niente più. All’inizio appare innocuo. Lo giudicano addirittura patetico. E Morel per quanto la sua idea nasca da una misantropia di fondo, ha anche una grande, esagerata fiducia nella bontà dell'uomo.

Molto bello il personaggio del naturalista Peer Qvist e quello del cinico redento, il fotografo Field e anche il personaggio di Minna, prostituta tedesca. Gary le perdona il peccato originale della razza forse perchè ha molto sofferto e la pone accanto a Morel nella battaglia per gli elefanti, in un gesto simbolico di riconciliazione tra uomini, di umanità e fratellanza. La battaglia per la protezione della natura è in realtà una battaglia per la protezione della umanità e della libertà stessa, albero della vita le cui radici sono le radici del cielo.

“Quell’individuo soffre di un concetto troppo nobile dell’uomo… Un’esigenza del genere è implacabile. Non si può vivere sentendosela dentro. Non si tratta di politica o di ideologia… Ai suoi occhi, noi manchiamo di qualcosa di più importante, un organo in un certo senso… Non abbiamo quello che ci vuole… Mi stupirebbe molto se si lasciasse prendere vivo”.

“Non era un disperato. Non detestava gli uomini… Anzi aveva fiducia in loro, era un uomo che rideva molto, era allegro… Amava la vita, la natura e…”.


Comprendiamo qualcosa di più di Morel quando sappiamo che nei campi di concentramento dove era stato durante la guerra, un compagno di prigionia aveva escogitato, per sopravvivere, di pensare a una donna. Bellissima, affettuosa. L’aveva descritta a tutti. Piano piano, tutti nella baracca avevano condiviso quella invenzione e lei era diventata reale. “Come sta oggi, la ragazza?” domanda uno di loro. “Dalle la mia sciarpa” dice un altro “se no prende freddo”. I tedeschi se ne accorgono. Vanno su tutte le furie per quella loro fantasia. Mettono il compagno troppo creativo in cella d’isolamento a pane e acqua per trenta giorni. Quando esce, stremato, rientrando nella cella, domanda agli altri: “Come sta la ragazza?”. Morel gli risponde: “È seduta nell’angolo. Ti aspetta”.

Un altro flashback ci racconta di Morel ancora prigioniero dei tedeschi in un campo di lavoro forzato.
Sole che spacca le pietre. Turni massacranti. Uomini trattati peggio degli animali. È sempre quello strano compagno di prigionia a prendere spunto da qualcosa in terra, tra la polvere, per liberare la fantasia. Ogni tanto cadono dal cielo degli insetti grandi e rotondi. Colorati. Ricordano dei fenicotteri. Invece di far finta di niente e calpestare anche solo per caso quegli animaletti, il prigioniero cerca di rispettarli. Li evita. Non li uccide. Poi ne raccoglie uno. Se lo mette su una spalla. Continua a lavorare. Con più forza e vigore di prima. Parla con lui. E così fanno tutti i suoi compagni compreso Morel. I tedeschi minacciano punizioni. Come matti cercano di calpestare e uccidere gli insetti caduti dal cielo. Ma ne cadono sempre di più. Tanti tantissimi.
Non riescono a liberarsi di loro. Pistole, calci non uccidono quei simboli e i prigionieri hanno qualcosa in cui credere.


“Povero Morel. Si è cacciato in una situazione senza uscita. Nessuno è mai riuscito a risolvere questa contraddizione: difendere qualcosa di umano insieme agli uomini”.

“Sapete cosa provo, quando vedo sui bordi delle nostre rare strade quei branchi che i vostri turisti vengono ad ammirare? Vergogna. Vergogna perché so che questa bellezza si accompagna al sedere nudo dei nostri neri, alla sifilide, alla vita sugli alberi, alla superstizione e alla più crassa ignoranza. Ogni leone e ogni elefante allo stato libero significa attendere ancora, soffrire ancora della vita selvaggia e primordiale, sopportare ancora il sorriso di superiorità dei tecnici bianchi che vi dicono, battendovi sulla spalla: “Vedete bene, amico mio, non potete fare a meno di noi…” Ma noi vogliamo essere un continente che avanza e non accovacciato nella notte dei feticci, contemporaneo dell’elefante preistorico e del leone che ancora viene a divorare i bambini nei nostri villaggi. ….
…L’Africa si sveglierà dal suo destino quando avrà cessato di essere il giardino zoologico del mondo… Quando la gente verrà qui non più per contemplare le nere deformate da piatti e da anelli, ma le città e le ricchezze naturali, finalmente sfruttate a nostro esclusivo vantaggio”.
 
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