Proust, Marcel - Il tempo ritrovato

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Capitolo conclusivo della Recherche du temps perdu, Il Tempo ritrovato (1927) getta sull'intera opera una luce retrospettiva che dà senso e valore a tutti gli episodi narrati, anche a quelli che potrebbero sembrare "tempo sprecato". In una Parigi e in una Combray che non sfuggono alla distruzione bellica, il Narratore compie le esperienze decisive, fino a scoprire, grazie a una semplice pietra sconnessa, il ruolo fondamentale delle memorie involontarie e, con esso, la propria vocazione letteraria: la narrazione torna così a chiudersi sul proprio inizio, celebrando la vittoria dell'arte sul Tempo e sulla morte. (quarta di copertina)

Siamo arrivati alla fine della Recherche e Proust non delude, anzi, innalzando ancor più il livello per profondità e introspezione, raccontandoci della vecchiaia e della morte con una lucidità tale da rendere tutto accettabile. I personaggi che abbiamo conosciuto nel corso dell'opera li ritroviamo tutti, con la loro umanità ma soprattutto con al loro realtà liberata dalla visione del Proust giovane che forse vedeva il mondo con un occhio meno critico e più bisognoso di appartenenza sociale, L'ultimo capitolo della Recherche è ancora più bello degli altri, si arriva in cima dopo una lunga salita e si vede dall'alto la vita.
 

isola74

Lonely member
Concordo con te. L'ultimo capitolo è il più bello di tutti....pieno di riflessioni profonde senza tempo in cui spesso mi sono ritrovata.
Le ultime 40/50 pagine sono un capolavoro che si leggono con il sorriso sulla labbra e un pizzico di amarezza perché sai che sta arrivando il momento dei saluti.
 

velvet

Well-known member
Bellissimo ultimo capitolo di questo capolavoro.
Pagine molto belle soprattutto nella seconda parte del volume quando quasi all'improvviso Marcel si accorge di tutto il tempo che è passato, di essere invecchiato al pari di tutti gli altri, che stenta oramai a riconoscere. Il mondo di un tempo, quello raccontato con grande dovizia di particolari negli altri 6 volumi non esiste più se non nei ricordi di quelli che l'hanno vissuto.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Quando studiai l’opera di Proust, alle scuole superiori, ricordo che quello che mi aveva affascinato più di tutto era la concezione del tempo interiore o soggettivo, tratta dalla lezione del filosofo Bergson. D’altra parte è questo il concetto intorno a cui è costruita l’intera opera, che già dal titolo definisce chiaramente l’oggetto della sua “ricerca”. Dalla scuola sapevo anche che la teorizzazione di questa filosofia era contenuta nell’ultimo tomo, ovvero Il tempo ritrovato; quello che però non potevo immaginare è che quest’ultimo capitolo mi avrebbe conquistato fino a questo punto. In questo cammino lungo sette parti e oltre 4000 pagine, ho vissuto momenti di grandissimo coinvolgimento ed altri... di grande coinvolgimento e basta. Come dire: non c’è stata una sola pagina che non mi sia piaciuta, ma alcuni tomi li ho preferiti ad altri (La parte di Swann, All’ombra delle fanciulle in fiore, I Guermantes) e Il tempo ritrovato li ha superati tutti.

La scoperta da parte del Narratore di un’esistenza fuori dal tempo cronologicamente inteso mi ha regalato la stessa felicità esaltante e fragile che lui stesso mostra di provare; il Marcel narratore è talmente minuzioso e preciso nel descrivere ogni singolo passaggio della sua coscienza, che davvero si ha l’impressione di seguirlo passo passo, di condividere con lui lo svolgersi della sua rivelazione. D’altra parte nessuno più Proust è capace di rendere la natura sensoriale delle emozioni, per cui quella che potrebbe essere, ed è, una teorizzazione filosofica parecchio complessa, di fatto si trasforma in un’esperienza quasi fisica, impossibile da descrivere.

Ma basta che un rumore, un odore, già sentito o respirato un’altra volta, lo siano di nuovo, a un tempo nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, ed ecco che l’essenza permanente e abitualmente nascosa delle cose è liberata (...). Un instante affrancato dall’ordine del tempo ha ricreato in noi, per sentirlo, l’uomo affrancato dall’ordine del tempo.” Nella natura extratemporale delle cose, resa possibile attraverso la rievocazione spontanea, risiede quindi la vera felicità, che è allo stesso tempo eterna ed effimera: eterna, perchè qualcosa che non è soggetto al tempo non può morire, effimera, perchè non può essere cristallizzata. Se il piacere di cui parla Proust non nasce dal godimento immediato ma solo dalla sua resurrezione nel ricordo, tentare di fissarlo significa distruggerlo. Non è l’intelligenza che percepisce l’estasi, è l’impressione. Siamo tornati al sapore delle madeleines e il bacio della buonanotte da cui tutto è cominciato.

Che fare allora? “Il solo modo di goderne di più era tentare di conoscerle più compiutamente là dove esse si trovavano, vale a dire in fondo a me stesso, di renderle più chiare sin nella loro profondità.” Dunque attraverso l’opera d’arte. “In ogni momento l’artista deve ascoltare il proprio istinto, e questo fa sì che l’arte dia quel che c’è di più reale, la più austera scuola della vita, e il vero giudizio finale. Quel libro (il libro della nostra vita interiore), arduo più d’ogni altro da decifare, è anche il solo che la realtà ci abbia dettato, il solo che sia stato “impresso” in noi dalla realtà medesima.”

È proprio questo libro che Proust ci regala: un’opera d’arte che ci permetta “di ritrovare, di riafferrare, di farci conoscere quella realtà lontani dalla quale viviamo, (...) quella realtà che rischieremmo di morire senza aver conosciuta e che è, molto semplicemente, la nostra vita.” Ognuno di noi, quindi, dovrebbe scrivere il libro della propria vita, ma, non essendo tutti scrittori, abbiamo la fortuna di poterci affidare al genio di Proust, che di sicuro è più bravo di noi. Grazie!

La via vera, la vita finalmente riscoperta e illuminata, la sola vita, dunque, pienamente vissuta, è la letteratura”.
 
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