Matar, Hisham - Padri, figli e la terra tra di loro

qweedy

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«Non vorrei dare alla Libia nulla più di quanto si è già presa.»

"Hisham Matar ha diciannove anni quando suo padre Jaballa, fiero oppositore del regime di Muammar Gheddafi, viene sequestrato nel suo appartamento del Cairo, rinchiuso nella famigerata prigione libica di Abu Salim e fatto sparire per sempre. Ventidue anni più tardi il figlio Hisham, che non ha mai smesso di cercarlo, può approfittare dello sprazzo di speranza aperto dalla rivoluzione del febbraio 2011 per fare finalmente ritorno nella terra della sua infanzia felice. Quel viaggio verso un presente ormai sconosciuto non è che lo spunto per un itinerario storico e affettivo ben più vasto. Visitando i luoghi e incontrando i parenti e gli amici che hanno condiviso con Jaballa decenni di prigionia nel «nobile palazzo» di Abu Salim, Hisham può recuperare un passato che risuona in lui con un'eco mai sopita e ritagliare i contorni di un padre che, in assenza di un corpo, risulta privo di confini. Le tappe del viaggio privato s'intersecano con la storia libica del ventesimo secolo, dalla resistenza all'occupazione italiana al flirt di Gheddafi con l'Inghilterra di Tony Blair. Ma anche all'antro più buio, all'orrore più raccapricciante, segue, in queste pagine, la luce di un dipinto di Manet, la melodia di un alam: la consolazione dell'arte e della bellezza come autentica espressione dell'uomo. E anche quando della speranza di ritrovare un padre vivo «non rimangono che granelli sparsi», lo sguardo di Matar continua a puntare risolutamente in avanti: «Mio padre è morto ed è anche vivo. Non possiedo una grammatica per lui. E nel passato, nel presente e nel futuro. Ho il sospetto che anche coloro che hanno sepolto il proprio padre provino la stessa cosa. Io non sono diverso. Vivo, come tutti viviamo, nell'indomani»."

Vincitore del Premio Pulitzer nel 2017 nella sezione biografia e autobiografia, è anche un romanzo storico in cui si ripercorre la storia della Libia dal colonialismo italiano, all'ascesa di Gheddafi, dalla sua caduta dopo quarant'anni alla primavera araba.
Nel romanzo la ricerca del padre dell'autore (Jaballa Matar, padre di Hisham) si intreccia alla storia della Libia.

Il ritorno si muove intorno a due date: il 1990, in cui Jaballa Matar, il padre del narratore, leader dell’opposizione a Gheddafi, viene rapito al Cairo e portato a Tripoli nella prigione di Abu Salim e il 2012, quando Hisham Matar, dopo quasi trent'anni di esilio, insieme alla madre, al fratello e alla moglie americana, vola in Libia con l’intento di raccogliere testimonianze sul padre scomparso.

Jamalla Matar era riuscito fra incredibili pericoli a far avere notizie alla famiglia fino al 1996. Poi silenzio. Ad Abu Salim il 29 giugno 1996 furono fucilati 1.270 prigionieri e Hisham non sa se fra quelli vi fosse suo padre.
Anche il fratello minore, zio di Hisham, e alcuni cugini erano stati arrestati e sarebbero stati rilasciati dopo vent'anni nel 2011 grazie al chiasso mediatico creato da Hisham ormai scrittore naturalizzato inglese.

Hisham Matar ricostruisce la figura del padre, giovane appassionato di poesia (una volta aveva detto a suo figlio “conoscere un libro a memoria è come avere una casa dentro il petto”), alto ufficiale dell’esercito, diplomatico, imprenditore di successo, leader nato, patriota convinto, oppositore del regime di Gheddafi, ma ricostruisce anche il proprio tormento di Telemaco bloccato dall’assenza di Ulisse, nella continua incertezza del destino del padre.

Un racconto emblematico dei nostri tempi, delle ambiguità dell’Europa che fa affari con i regimi totalitari invece di contrastarli.

Consigliato a chi ama le autobiografie storiche e soprattutto a chi vuole conoscere di più la storia recente della Libia.

Jaballa Matar “alzava la voce se veniva a sapere che un domestico aveva respinto una persona bisognosa. La regola era semplice, mai respingere chi ha bisogno. – Leggere nei loro cuori non è affar tuo, – mi disse una volta in cui avevo affermato con sicumera che mendicare era una professione. – Il tuo dovere non è di dubitare bensì di dare”.

"All'epoca in Egitto mia madre si comportava come se quel mondo dovesse durare per sempre. E credo sia quello che vogliamo dalle nostre madri: che conservino il mondo e, anche se é una menzogna, si comportino come se il mondo potesse essere conservato. Mentre mio padre era ossessionato dal passato e dal futuro, dal tornare in Libia e ricostruire il paese, mia madre era devota al presente. Per tale ragione fu lei l'elemento veramente radicale della mia adolescenza."

«Nel marzo 1990 mio padre fu sequestrato dai servizi segreti egiziani nel nostro appartamento del Cairo e consegnato a Gheddafi. Venne portato nella prigione di Abu Salim, a Tripoli, conosciuta come “l’ultima fermata”, il posto dove il regime spediva coloro che intendeva dimenticare.»

"Mio padre é morto ed é anche vivo. Non possiedo una grammatica per lui. E' nel passato, nel presente e nel futuro. Anche se gli avessi tenuto la mano, e l'avessi sentita cedere mentre esalava l'ultimo respiro, indugerei comunque, credo, ogni volta che mi riferisco a lui, in cerca del tempo verbale giusto. Ho il sospetto che anche coloro che hanno sepolto il proprio padre provino la stessa cosa. Io non sono diverso. Vivo, come tutti viviamo, nell'indomani."

"Il territorio che separa i padri dai figli ha disorientato molti viaggiatori...Telemaco e altri figli, i cui drammi privati scandiscono le ore silenziose, si sono spinti così lontano dall'incerta distanza tra passato e presente da sembrare spaesati. Sono uomini, come tutti gli uomini, entrati nel mondo grazie a un altro uomo, un garante che ha aperto la porta e, se sono fortunati, l'ha fatto con garbo, forse con un sorriso rassicurante e una pacca d'incoraggiamento su una spalla. E certo i padri sapevano, essendo stati a loro volta figli, che la presenza spettrale della loro mano sarebbe durata negli anni, fino alla fine del tempo, e che per quanto pesanti siano i fardelli caricati su quella spalla, o numerosi i baci che vi può posare un'amante, spinta forse dal segreto desiderio di cancellare le pretese di un altro, la spalla resterà fedele per sempre, ricordando la mano dell'uomo buono che li ha introdotti nel mondo. Essere un uomo significa essere un anello di tale catena di gratitudine e memoria, di biasimo e oblio, di resa e ribellione, fino a che lo sguardo del figlio si fa così sofferto e acuto che, guardando indietro, non vede altro che ombre. Il padre sprofonda ogni giorno di più nella notte, si spinge più oltre nella nebbia, lasciando indietro resti di se stesso e il dato di fatto colossale quanto ovvio, insieme frustrante e misericordioso - giacché come potrebbe un figlio continuare a vivere se non dovesse anche dimenticare -, che per quanto ci sforziamo non arriveremo mai a conoscere davvero i nostri padri."
 
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