Statovci, Pajtim - Le transizioni

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"Un ragazzo che sa diventare una donna: si chiama Bujar, e può essere una giovane di Sarajevo corteggiata da uomini di ogni età oppure un affascinante spagnolo che fa innamorare ragazze alle quali non riesce a concedersi. Bujar inventa continuamente se stesso e la propria storia, come un impostore che si appropria dei frammenti che carpisce agli altri, del passato delle persone che ha amato, dei loro nomi, perché può scegliere chi vuole essere, il paese da cui proviene, i dettagli della propria esistenza, semplicemente mentre si racconta a un amico o a una sconosciuta, nel resoconto di una vita trascorsa in viaggio e in fuga, dall’Albania all’America, passando per Roma, Madrid, Berlino, Helsinki. Perché, come dice lui stesso, «nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle»."

La vicenda è raccontata in prima persona, in un succedersi incessante di salti temporali che ci mostrano il protagonista dapprima bambino nel suo paese d’origine, l’Albania, e poi adulto, ramingo per il mondo e perso fra le sue mille identità.
Nei primi anni Novanta Bujar abbandona l'Albania che odia e cerca una nuova esistenza insieme all’amico Agim, unico vero amore della sua vita. Un’altra anima dilaniata, divisa fra la sua vera natura e limpossibilità di essere accettato da una famiglia e da una società in cui i concetti di identità di genere e di omosessualità non sono neppure contemplati. La diversità si somma al paese di provenienza e l’Albania appare come una terra odiata, un paese di rovine e mancanza di libertà mentre gli abitanti “sono talmente disperati che le loro angosce colano giù dai tetti e dai muri, si accumulano come cartaccia e pacchetti di sigarette vuoti agli angoli delle strade.”.
Il lettore segue il protagonista in Spagna, a Berlino, a New York, scoprendolo di volta in volta perso in una nuova vita e soprattutto in una nuova storia, a volte nei panni di donna e altre in quelli di uomo. Una volta è un uomo italiano a Berlino, un’altra una donna spagnola a New York. Nazionalità e identità, genere e sessualità che cambiano, in transizione appunto, “come fossi un figurante nella mia storia”.

E' una riflessione letteraria sull’identità, identità di genere ma anche di confini, di lingua, di famiglia.
Pajtim Statovci è nato in Kosovo nel 1990, è cresciuto in Finlandia dove si è trasferito con la famiglia fuggita dalla guerra quando aveva due anni.
Le transizioni (titolo originario in finlandese Tiranan sydän, “il cuore di Tirana”) è il racconto di un giovane europeo del nostro tempo: non ha certezze, è privo di ideologie, è una persona in cerca di definizione, non ha certezze nemmeno riguardo al suo genere.
Il titolo Le transizioni, scelto per la versione italiana uscita nel 2020, ricalca il titolo della traduzione inglese: Crossing. Una scelta certamente significativa: la parola transizioni è particolarmente evocativa in italiano perché non indica solo il peregrinare fisico da una meta all’altra ma anche la perenne oscillazione dell’animo umano. Non ultimo, poi, è il termine usato per descrivere il percorso medico e psicologico che accompagna il passaggio da un sesso a un altro: “Posso scegliere cosa sono, posso scegliere il mio sesso, la mia nazionalità e il mio nome, il luogo di nascita, semplicemente aprendo la bocca. Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle. Però bisogna essere preparati. Per vivere innumerevoli vite, devi essere in grado di coprire le menzogne con altre menzogne”.

“Sono un ragazzo di ventidue anni, che a volte si comporta come immagina facciano gli uomini, potrei chiamarmi Anton o Adam o Gideon, il nome che di volta in volta suona meglio, e sono francese o tedesco o greco, ma albanese mai, e cammino esattamente come mi ha insegnato mio padre, a passi larghi e cadenzati, so bene come tenere alti petto e spalle, la mascella serrata a garantire che nessuno invada il mio territorio. E in momenti come questo la donna che è in me arde sul rogo”.

“Nei momenti di maggiore debolezza provo una tristezza opprimente, perché so di non rappresentare niente per gli altri, io non sono nessuno ed è come sentirsi morire. Se la morte fosse una sensazione, sarebbe questo: l’invisibilità, vivere la tua vita in abiti scomodi, camminare con scarpe strette”.

“Non importava dove saremmo finiti, perché tutti i luoghi dov’ero stato con lui erano stati una casa”.
 
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