Roth, Joseph - I cento giorni

malafi

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Con la stessa immediatezza, nella stessa maniera diretta in cui ci ha narrato le vicende di oscuri ebrei dell’Europa orientale o di funzionari absburgici, Roth racconta in questo libro (apparso per la prima volta nel 1935) una storia di Napoleone – e precisamente la fase più drammatica del suo epos, quella che va dalla fuga dall’Elba sino alla disfatta di Waterloo e all’imbarco per Sant’Elena. Sono «cento giorni» che fecero sognare al mondo, per un’ultima volta, prospettive nuove. Ma a Roth, come sempre, lo sfondo storico non interessa se non in quanto occasione per giungere a qualcos’altro. Ciò che lo attira innanzitutto – lo rivela in una lettera – è la possibilità di mostrare Napoleone «nella sola fase della sua vita in cui è “uomo” e infelice ... Vorrei fare di un “grande” un “umile”». Per raffigurare questo lato segreto di Napoleone, rivolto alla tenebra e all’autodistruzione, Roth è penetrato con delicatezza, e insieme con crudeltà, nella sua psicologia. Ma l’artificio più felice è stato di contrappuntare il suo destino – il più arduo da raccontare, perché troppo raccontato – con quello dell’oscura Angelina Pietri, una delle innumerevoli donne che «in tutto il Paese e nel mondo intero erano innamorate dell’imperatore». Alla fine, mentre l’ombra della storia si staglia opprimente su tutto, i due destini sembreranno in qualche modo convergere, nella desolazione e in una caparbia fedeltà.

Si riconosce la mano di Joseph Roth sin dalle prime righe. Una mano felice, abile e raffinata, che invita alla lettura al di là del contenuto.
Di nuovo alle prese con una decadenza ed un dissolvimento che era nelle sue corde e vediamo in molti dei suoi romanzi, non è un romanzo storico, bensì un romanzo di introspezione dove le vicende storiche sono solo uno sfondo quasi irreale e lontano.
Se piace questo autore, lo consiglio caldamente. Ma come non può piacere un autore dalla prosa così perfetta?
 
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