Sosa Villada, Camila - Le cattive

qweedy

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Chi sono “Le cattive”? Sono donne trans, donne che si prostituiscono, che si alleano, che lottano, amano e subiscono le peggiori violenze.

"Camila non ha ancora vent'anni quando si affaccia per la prima volta sulla zona rossa del Parco Sarmiento. Camila è una donna che ama, soffre, lotta. Camila è Cristian, un bambino che si prova di nascosto i vestiti della madre, i rossetti, gli orecchini, e trema alle sfuriate del padre. Camila è destinata a prostituirsi, a morire buttata in un fosso, così le hanno detto, così le hanno augurato. Questa è la storia di Camila e del gruppo di donne trans che diventerà la sua famiglia: c'è la Zia Encarna, madre protettrice con i seni gonfi di olio motore, c'è María la Muta, che sogna di volare, c'è la Machi, capace di curare ogni male. Ci sono le notti senza fine, le botte dei clienti, gli insulti, le fughe dalla polizia. C'è la scoperta di sentirsi diversi, il rifiuto dei genitori, la solitudine, la povertà. C'è un'ironia caustica, c'è tutta la gioia e la voglia di vivere di un corpo che rinasce, che fiorisce."

Il romanzo è narrato adottando prevalentemente il punto di vista di una donna che Camila tratteggia a partire dalla sua esperienza personale di donna trans, prostituta e studentessa, ma narra le vicende di un’intera comunità. Lo fa a partire dal misterioso ritrovamento e “adozione” di un bambino abbandonato tra i rovi al limitare del parco in cui le donne si prostituiscono e segue le avventure e disavventure di cui queste donne sono protagoniste e vittime nei loro vari incontri con la “violenza”, rappresentata tanto dagli uomini che vengono in cerca di sesso quanto dallo Stato che cerca di dissipare la comunità, trasformando il parco in un luogo sempre più controllato.

Il corpo è il mezzo che Camila e compagne usano per imporre la propria identità, questo stesso corpo è anche ciò che le rende vulnerabili, perché costantemente reclamato e disdegnato da chi lo vuole comprare o da chi non lo comprende.

Mi è piaciuto.


“In realtà siamo creature notturne, perché negarlo. Non usciamo durante il giorno. I raggi del sole ci debilitano, rivelano le indiscrezioni della nostra pelle, l’ombra della barba, i tratti indomabili degli uomini che non siamo. Non ci piace uscire di giorno perché le masse insorgono di fronte a simili rivelazioni, ci scacciano a suon di insulti, ci vogliono legare e appendere in piazza. Il disprezzo evidente, la sfacciataggine di guardarci e non vergognarsi affatto.

Non ci piace uscire di giorno perché le signore della buona società, le signore fresche di parrucchiere, con i loro cardigan di filo sottile, ci denunciano perché diamo scandalo. Ci indicano con le loro dita da arpie e ci trasformano in statue di sale, prossime al crollo, a vedere la valanga delle nostre cellule sparpagliate come perle di una collana strappata di colpo.

Non ci piace uscire di giorno perché non ci siamo abituate, perché è impossibile abituarsi alla gabbia delle loro regole. Meglio restare a letto, chiuse nelle nostre stanze, a guardare telenovelas o a non fare nulla. Non fare nulla durante il giorno, cancellarsi dalla mappa della produzione, ecco cosa facciamo”.
 
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