qweedy
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"Tra colline di pietra bianca, tornanti, e paesi arroccati, Pietro Borzacchi sta viaggiando con il figlio Jacopo. D'un tratto la frizione della sua vecchia Golf lo abbandona, nel momento peggiore: di venerdì pomeriggio, in mezzo al nulla. Per fortuna padre e figlio incontrano Oliviero, un meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant'Anna del Sannio. Quando Jacopo scende dall'auto è evidente che qualcosa in lui non va: lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro. In attesa che Oliviero ripari l'auto, padre e figlio trovano ospitalità da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione, è proprio in una delle vecchie stanze che si sistemano. Sant'Anna del Sannio, poche centinaia di anime, è un paese bellissimo in cui il tempo sembra essersi fermato, senza futuro apparente, come tanti piccoli centri della provincia italiana. Ad aiutare Agata nel bar c'è Gaia, il cui sorriso è perfetta sintesi del suo nome. Sarà proprio lei, Gaia, a infrangere con la sua spontaneità ogni apparenza. Perché Pietro è un uomo che vive all'inferno. "I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione." Ma la povertà non è la cosa peggiore. Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all'altezza del cuore. Il disamore. Per tutto. Un disamore che sfocia spesso in una rabbia nera, cieca. Il dolore di Pietro, però, si troverà di fronte qualcosa di nuovo e inaspettato. Agata, Gaia e Oliviero sono l'umanità che ancora resiste, fatta il più delle volte di un eroismo semplice quanto inconsapevole."
Come sempre, un altro libro di Daniele Mencarelli che fa riflettere: la malattia di un figlio (l'autismo grave, in questo caso), l'impotenza di un genitore. E lo fa con un realismo impressionante, racconta la paternità più dura, il grido di un uomo lasciato solo con un dolore che in 18 anni ha divorato tutto, anche se stesso. C'è tanta verità in quest'opera: il peso e le difficoltà di un genitore che si scontra con la malattia e con l'indifferenza del mondo esterno; lo Stato assente di fronte a una malattia così grave e tutto il peso che ricade sulla famiglia.
Si sente in questo libro la "fame d'aria", fame di "una via di uscita", fame di una speranza, ma che non concede nulla, assolutamente nulla se non la drammaticità della realtà. Si sente anche la rabbia e la solitudine di un destino che nessuno vorrebbe vivere, la disperazione e l'odio di un uomo arrivato al limite.
Il linguaggio è duro ma scorrevole, privo di falso buonismo ma a tratti anche poetico; la trama ci mette di fronte, in modo efficace, alle lotte quotidiane di chi la disabilità se l’è trovata addosso suo malgrado.
Ho letto tutto di Daniele Mencarelli (La casa degli sguardi, Tutto chiede salvezza, Sempre tornare), questo breve romanzo (180 pagine) è l'ennesima conferma della sua bravura.
Libro più che consigliato, leggendolo c’è solo da imparare.
"Che se a ogni uomo e donna di questa terra dicessero quanto è difficile fare figli normali, nessuno ne farebbe più. Basta un niente, una proteina non assimilata, un enzima che non fa il suo lavoro. La normalità è come un biglietto della lotteria. Invece tutti pensano che sia naturale il contrario. Che un figlio è come un elettrodomestico, costruito per funzionare alla perfezione. Soltanto chi ci passa sa quante competenze ci vogliono per attraversare una strada, per prendere una penna in mano."
"A fianco scorrono le macchine, lo guardano come si guarda il nulla, da lontano ecco avvicinarsi un carro attrezzi bianco, Pietro ci pensa un attimo, poi inizia a sbracciarsi, senza più smettere.
«Non faccio servizio stradale.»
Il signore avrà una settantina d’anni, faccia di paese, bellissimi occhi verdi, in tuta da meccanico. Anticipa qualsiasi richiesta, accelera per ripartire.
«Aspetti.»
Pietro poggia le mani sul finestrino aperto a metà.
«Non le chiedo aiuto per me, ma mio figlio in macchina è gravemente disabile, ha bisogno di un bagno, di una bottiglia d’acqua.»
"Il figlio è poco più alto del padre, che basso non è affatto.
È slanciato, e bello, Jacopo è bello, di una bellezza che può ingannare per qualche istante, poi, anche mentre cammina, non si può non notare il leggero dondolamento, l’andatura da sonnambulo aggrappato al braccio del padre, e la mano sinistra, le dita della mano sinistra, che non smettono mai di passare e ripassare sulla coscia. […]
«Ma… che ha?»
«È autistico, a basso funzionamento, bassissimo.»
Oliviero è un meccanico alla prese con parole nuove e complesse.
«L’autismo l’ho sentito, anche qui in paese c’era un ragazzo, ora vive in un istituto perché i genitori sono morti, ma il funzionamento… basso… non l’avevo mai sentito.» […]
«Significa che non parla, non sa fare nulla, si piscia e caca addosso.»
Come sempre, un altro libro di Daniele Mencarelli che fa riflettere: la malattia di un figlio (l'autismo grave, in questo caso), l'impotenza di un genitore. E lo fa con un realismo impressionante, racconta la paternità più dura, il grido di un uomo lasciato solo con un dolore che in 18 anni ha divorato tutto, anche se stesso. C'è tanta verità in quest'opera: il peso e le difficoltà di un genitore che si scontra con la malattia e con l'indifferenza del mondo esterno; lo Stato assente di fronte a una malattia così grave e tutto il peso che ricade sulla famiglia.
Si sente in questo libro la "fame d'aria", fame di "una via di uscita", fame di una speranza, ma che non concede nulla, assolutamente nulla se non la drammaticità della realtà. Si sente anche la rabbia e la solitudine di un destino che nessuno vorrebbe vivere, la disperazione e l'odio di un uomo arrivato al limite.
Il linguaggio è duro ma scorrevole, privo di falso buonismo ma a tratti anche poetico; la trama ci mette di fronte, in modo efficace, alle lotte quotidiane di chi la disabilità se l’è trovata addosso suo malgrado.
Ho letto tutto di Daniele Mencarelli (La casa degli sguardi, Tutto chiede salvezza, Sempre tornare), questo breve romanzo (180 pagine) è l'ennesima conferma della sua bravura.
Libro più che consigliato, leggendolo c’è solo da imparare.
"Che se a ogni uomo e donna di questa terra dicessero quanto è difficile fare figli normali, nessuno ne farebbe più. Basta un niente, una proteina non assimilata, un enzima che non fa il suo lavoro. La normalità è come un biglietto della lotteria. Invece tutti pensano che sia naturale il contrario. Che un figlio è come un elettrodomestico, costruito per funzionare alla perfezione. Soltanto chi ci passa sa quante competenze ci vogliono per attraversare una strada, per prendere una penna in mano."
"A fianco scorrono le macchine, lo guardano come si guarda il nulla, da lontano ecco avvicinarsi un carro attrezzi bianco, Pietro ci pensa un attimo, poi inizia a sbracciarsi, senza più smettere.
«Non faccio servizio stradale.»
Il signore avrà una settantina d’anni, faccia di paese, bellissimi occhi verdi, in tuta da meccanico. Anticipa qualsiasi richiesta, accelera per ripartire.
«Aspetti.»
Pietro poggia le mani sul finestrino aperto a metà.
«Non le chiedo aiuto per me, ma mio figlio in macchina è gravemente disabile, ha bisogno di un bagno, di una bottiglia d’acqua.»
"Il figlio è poco più alto del padre, che basso non è affatto.
È slanciato, e bello, Jacopo è bello, di una bellezza che può ingannare per qualche istante, poi, anche mentre cammina, non si può non notare il leggero dondolamento, l’andatura da sonnambulo aggrappato al braccio del padre, e la mano sinistra, le dita della mano sinistra, che non smettono mai di passare e ripassare sulla coscia. […]
«Ma… che ha?»
«È autistico, a basso funzionamento, bassissimo.»
Oliviero è un meccanico alla prese con parole nuove e complesse.
«L’autismo l’ho sentito, anche qui in paese c’era un ragazzo, ora vive in un istituto perché i genitori sono morti, ma il funzionamento… basso… non l’avevo mai sentito.» […]
«Significa che non parla, non sa fare nulla, si piscia e caca addosso.»