qweedy
Well-known member
"E poi dicono che la natura è intelligente. È cieca. È brutale. È incomprensibile. Ha poco senso quanto la vita umana."
Una donna e un bambino vivono in una baracca in mezzo alla foresta, non hanno legami di sangue ma insieme formano una famiglia, atipica e silenziosa. Il rapporto tra i due si riduce a gesti, sguardi e abitudini condivise. La vita nella baracca è semplice, primitiva, finalizzata alla sopravvivenza, mentre il mondo fuori è ostile e selvaggio, il cibo scarseggia, la civiltà e la tecnologia sono echi lontani, appartengono a un passato dimenticato… Con uno stile asciutto e poco rassicurante José Ovejero ci racconta un futuro primordiale abitato da personaggi solitari e senza alcuno spirito eroico, e ci spinge a riflettere sull’animalità profonda della natura umana ma anche sulla sua straordinaria capacità di resistenza.
E' un racconto distopico tradotto da Bruno Arpaia: una donna e un bambino senza passato e neppure futuro, senza nomi, nessun legame di sangue li tiene insieme nella baracca in cui sono alla deriva, sospesi in un luogo-non luogo senza tempo, impegnati nella lotta per la sopravvivenza di ciò che ci rende umani. E cosa ci rende ancora umani quando il mondo è sferzato dal gelo, nei campi restano solo bacche ammuffite, la violenza maschile è accettata come l’unico calore possibile e gli animali sono pronti a colpire? Fino a che punto ci si può spingere per mangiare?
Nello spaventoso mondo “in fumo” in cui Ovejero incapsula i suoi personaggi, 144 pagine che si leggono d'un fiato, riecheggiano inevitabilmente i richiami a La strada di Cormac McCarthy.
Consigliatissimo a chi ama il genere distopico.
Ti piace?, gli chiedo. Lui annuisce, credo, e a volte penso che la nostra comunicazione vada oltre l’immediato, che in realtà parliamo di qualcosa di molto più ampio e significativo di ciò che le mie parole potrebbero tradurre. “Parliamo” ho scritto, come se davvero lui rispondesse con frasi più o meno imperfette. Poi continua a disegnare il suo mondo geometrico in cui non riesco a immaginare cosa ritrae o mostra. Forse niente. Tra quelle linee e ciò che lo circonda è possibile che non esista alcun rapporto. Non sembra nemmeno affezionarsi ad alcuna delle sue opere; non le esamina quando le finisce – se mai ha terminato qualcosa – le calpesta senza farvi attenzione, non gli importa se lo facciamo anche Miss Daisy o io. La gatta e il bambino non possono spiegarmi perché fanno quello che fanno, non forniscono motivazioni. Sono due scatole nere impossibili da aprire. Del resto, neanche io do loro molte spiegazioni. Conviviamo, in silenzio per la maggior parte del tempo. Facciamo ciò che dobbiamo fare; senza giustificarci. Senza mentire. Non riesco a immaginare una famiglia migliore.
Una donna e un bambino vivono in una baracca in mezzo alla foresta, non hanno legami di sangue ma insieme formano una famiglia, atipica e silenziosa. Il rapporto tra i due si riduce a gesti, sguardi e abitudini condivise. La vita nella baracca è semplice, primitiva, finalizzata alla sopravvivenza, mentre il mondo fuori è ostile e selvaggio, il cibo scarseggia, la civiltà e la tecnologia sono echi lontani, appartengono a un passato dimenticato… Con uno stile asciutto e poco rassicurante José Ovejero ci racconta un futuro primordiale abitato da personaggi solitari e senza alcuno spirito eroico, e ci spinge a riflettere sull’animalità profonda della natura umana ma anche sulla sua straordinaria capacità di resistenza.
E' un racconto distopico tradotto da Bruno Arpaia: una donna e un bambino senza passato e neppure futuro, senza nomi, nessun legame di sangue li tiene insieme nella baracca in cui sono alla deriva, sospesi in un luogo-non luogo senza tempo, impegnati nella lotta per la sopravvivenza di ciò che ci rende umani. E cosa ci rende ancora umani quando il mondo è sferzato dal gelo, nei campi restano solo bacche ammuffite, la violenza maschile è accettata come l’unico calore possibile e gli animali sono pronti a colpire? Fino a che punto ci si può spingere per mangiare?
Nello spaventoso mondo “in fumo” in cui Ovejero incapsula i suoi personaggi, 144 pagine che si leggono d'un fiato, riecheggiano inevitabilmente i richiami a La strada di Cormac McCarthy.
Consigliatissimo a chi ama il genere distopico.
Ti piace?, gli chiedo. Lui annuisce, credo, e a volte penso che la nostra comunicazione vada oltre l’immediato, che in realtà parliamo di qualcosa di molto più ampio e significativo di ciò che le mie parole potrebbero tradurre. “Parliamo” ho scritto, come se davvero lui rispondesse con frasi più o meno imperfette. Poi continua a disegnare il suo mondo geometrico in cui non riesco a immaginare cosa ritrae o mostra. Forse niente. Tra quelle linee e ciò che lo circonda è possibile che non esista alcun rapporto. Non sembra nemmeno affezionarsi ad alcuna delle sue opere; non le esamina quando le finisce – se mai ha terminato qualcosa – le calpesta senza farvi attenzione, non gli importa se lo facciamo anche Miss Daisy o io. La gatta e il bambino non possono spiegarmi perché fanno quello che fanno, non forniscono motivazioni. Sono due scatole nere impossibili da aprire. Del resto, neanche io do loro molte spiegazioni. Conviviamo, in silenzio per la maggior parte del tempo. Facciamo ciò che dobbiamo fare; senza giustificarci. Senza mentire. Non riesco a immaginare una famiglia migliore.