Jessamine
Well-known member
TRAMA:
Arturo Baldi, novantacinque anni, viene portato d'urgenza in ospedale, dove scivola in un coma profondo. A dispetto dei neurologi, che lo escludono categoricamente, la coscienza di Arturo è ancora vigile. In questo misterioso tempo sospeso Arturo riesce a sentire, uno per uno, tutti i componenti della famiglia che vengono a fargli visita in una incessante sequenza di confessioni, sfoghi, preghiere. In quei meandri della coscienza, domina il faccia a faccia con Dado, il fratello inquieto, il pittore talentuoso, il ribelle che manca da anni dentro il teatro famigliare. In questa sorta di popolata immobilità, Arturo risale dall'infanzia fino alla costruzione della grande famiglia che ora, intorno al suo letto, stilla parole e memoria. Così seguiamo l'amore che lo lega a Carolina da tutta una vita, le figlie Dori e Fiore, le nipoti Margherita e Nina, prossima alle nozze, e la pronipote Anna, che ha ereditato dal prozio mai conosciuto l'occhio e la mano da pittrice. Dado è lo specchio per tornare indietro nel tempo, nel formicolio di segreti che alligna là dove la famiglia sembra più salda. Arianna Mortelliti, alla sua prima prova narrativa ma cresciuta alla scuola del nonno Andrea Camilleri, scrive un romanzo decisamente intrigante, calibrando suspense e informazioni all'interno di una struttura a dialoghi che, progressivamente, scioglie nodi e ambiguità.
COMMENTO:
Ormai non mi capita più molto spesso di leggere un libro senza saperne assolutamente niente, trovandomi semplicemente attratta dal titolo o dalla copertina: di solito mi ritrovo a scegliere fra la mia TBR infinita, o scelgo autori che ho già amato in passato, o mi informo su una tematica in particolare e scelgo la mia lettura di conseguenza. Quindi mi ritrovo quasi sempre a leggere libri che sì, magari non conosco bene, ma di cui quantomeno ho sentito parlare, che mi sono stati consigliati da qualcuno con gusti simili ai miei, o di cui per lo meno so qualcosa dell'autore.
In questo caso, invece, non sapevo assolutamente nulla: i colori della copertina mi sono saltati subito all'occhio fra le altre novità, il titolo mi ha messo simpatia, il libro è venuto a casa con me. Non mi sono informata sull'autrice, non ho nemmeno letto la quarta di copertina, ho solo iniziato a leggere: ammetto che il primo impatto è stato decisamente straniante, perché copertina e titolo, non so perché, mi avevano creato in testa l'idea di aver tra le mani un libro estremamente comico.
In realtà, "Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni" è una storia delicatissima, che parla di lutto in un modo molto leggero (dove "leggero" non significa sicocco o superficiale, ma solo lieve, senza calcare la mano sul dolore o sugli aspetti più strazianti della situazione). Il lutto c'è, il dolore pure, ma la prospettiva del racconto fa in modo che ci sia sempre un filtro, un'accettazione serena di qualcosa di naturale che sì, fa male, ma in qualche modo è anche una chiusura di un cerchio, un puzzle che si completa nell'unico, inevitabile modo possibile.
La struttura del romanzo è molto interessante, il continuo rimbalzare quasi istintivo tra presente e passato funziona molto bene, soprattutto perché non è mai didascalico pur essendo sempre molto chiaro, ho trovato davvero questa idea molto ben riuscita.
la seconda parte del romanzo invece è secondo me un po' più debole, perché l'originalità della struttura non basta più a reggere tutta la narrazione e l'interesse un po' si perde. E allora Mortelliti imbastisce un "mistero" che va a complicare, esasperare e rendere a mio parere un po' irrealistico e poco interessante tutto: una storia che poteva essere una piccola chicca nella sua semplicità diventa un po' un polpettone di intrecci inutilmente amplificati, e questo secondo me è un po' un peccato.
Ciò non toglie che sia stata una lettura estremamente piacevole, soprattutto trattandosi di un esordio.
Arturo Baldi, novantacinque anni, viene portato d'urgenza in ospedale, dove scivola in un coma profondo. A dispetto dei neurologi, che lo escludono categoricamente, la coscienza di Arturo è ancora vigile. In questo misterioso tempo sospeso Arturo riesce a sentire, uno per uno, tutti i componenti della famiglia che vengono a fargli visita in una incessante sequenza di confessioni, sfoghi, preghiere. In quei meandri della coscienza, domina il faccia a faccia con Dado, il fratello inquieto, il pittore talentuoso, il ribelle che manca da anni dentro il teatro famigliare. In questa sorta di popolata immobilità, Arturo risale dall'infanzia fino alla costruzione della grande famiglia che ora, intorno al suo letto, stilla parole e memoria. Così seguiamo l'amore che lo lega a Carolina da tutta una vita, le figlie Dori e Fiore, le nipoti Margherita e Nina, prossima alle nozze, e la pronipote Anna, che ha ereditato dal prozio mai conosciuto l'occhio e la mano da pittrice. Dado è lo specchio per tornare indietro nel tempo, nel formicolio di segreti che alligna là dove la famiglia sembra più salda. Arianna Mortelliti, alla sua prima prova narrativa ma cresciuta alla scuola del nonno Andrea Camilleri, scrive un romanzo decisamente intrigante, calibrando suspense e informazioni all'interno di una struttura a dialoghi che, progressivamente, scioglie nodi e ambiguità.
COMMENTO:
Ormai non mi capita più molto spesso di leggere un libro senza saperne assolutamente niente, trovandomi semplicemente attratta dal titolo o dalla copertina: di solito mi ritrovo a scegliere fra la mia TBR infinita, o scelgo autori che ho già amato in passato, o mi informo su una tematica in particolare e scelgo la mia lettura di conseguenza. Quindi mi ritrovo quasi sempre a leggere libri che sì, magari non conosco bene, ma di cui quantomeno ho sentito parlare, che mi sono stati consigliati da qualcuno con gusti simili ai miei, o di cui per lo meno so qualcosa dell'autore.
In questo caso, invece, non sapevo assolutamente nulla: i colori della copertina mi sono saltati subito all'occhio fra le altre novità, il titolo mi ha messo simpatia, il libro è venuto a casa con me. Non mi sono informata sull'autrice, non ho nemmeno letto la quarta di copertina, ho solo iniziato a leggere: ammetto che il primo impatto è stato decisamente straniante, perché copertina e titolo, non so perché, mi avevano creato in testa l'idea di aver tra le mani un libro estremamente comico.
In realtà, "Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni" è una storia delicatissima, che parla di lutto in un modo molto leggero (dove "leggero" non significa sicocco o superficiale, ma solo lieve, senza calcare la mano sul dolore o sugli aspetti più strazianti della situazione). Il lutto c'è, il dolore pure, ma la prospettiva del racconto fa in modo che ci sia sempre un filtro, un'accettazione serena di qualcosa di naturale che sì, fa male, ma in qualche modo è anche una chiusura di un cerchio, un puzzle che si completa nell'unico, inevitabile modo possibile.
La struttura del romanzo è molto interessante, il continuo rimbalzare quasi istintivo tra presente e passato funziona molto bene, soprattutto perché non è mai didascalico pur essendo sempre molto chiaro, ho trovato davvero questa idea molto ben riuscita.
la seconda parte del romanzo invece è secondo me un po' più debole, perché l'originalità della struttura non basta più a reggere tutta la narrazione e l'interesse un po' si perde. E allora Mortelliti imbastisce un "mistero" che va a complicare, esasperare e rendere a mio parere un po' irrealistico e poco interessante tutto: una storia che poteva essere una piccola chicca nella sua semplicità diventa un po' un polpettone di intrecci inutilmente amplificati, e questo secondo me è un po' un peccato.
Ciò non toglie che sia stata una lettura estremamente piacevole, soprattutto trattandosi di un esordio.