Yanagihara, Hanya - Il popolo degli alberi

qweedy

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"Il giovane medico Norton Perina ritorna da una spedizione nella remota isola micronesiana di Ivu’ivu con una scoperta sconcertante: sembra che la carne di un’antica specie di tartaruga contenga la formula per la vita eterna. Perina ha davvero trovato una cura per la senescenza? Prova scientificamente la sua tesi e guadagna fama e onori mondiali, ma ben presto scopre che quelle proprietà miracolose hanno un prezzo terribile. E mentre le cose sfuggono rapidamente al suo controllo, i suoi stessi demoni prendono piede, con conseguenze personali devastanti. Cosa pensare quando il genio si rivela un mostro?"

"Il popolo degli alberi" è il primo romanzo di Yanagihara, pubblicato nel 2013. In Italia arriva dopo "Una vita come tante". L'autrice, statunitense con padre hawaiano e madre coreana, giornalista di reportage e viaggi, è vissuta alle Hawaii e in Usa.
Il romanzo è ispirato alla storia vera del virologo Daniel Carleton Gajdusek, che nel 1976 vinse il premio Nobel. Aveva individuato in una tribù della Papua Nuova Guinea, una malattia endemica, definita kuru.

La vita del protagonista del libro ricalca quella di Gajdusek. Si chiama Norton Perina e ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 1974, in qualità di scopritore di una sindrome molto particolare, detta di Selene. È una malattia che ritarda di parecchio l’invecchiamento, e che si contrae mangiando un esemplare molto raro di tartaruga, specie presente in Micronesia.
La scoperta, nata da un’intuizione e poi ottenuta grazie a esperimenti in laboratorio, porterà Norton a ricevere il Nobel ma porterà anche il piccolo arcipelago alla totale distruzione, con le case farmaceutiche e le grandi aziende che si precipiteranno sul posto nella speranza di carpire il segreto della vita eterna.
Le motivazioni del dottor Norton Perina sono ai suoi occhi giustificabili, legate alla necessità di scoprire e sapere, anche a costo di sacrificare un popolo. Norton, ormai famoso e ricco, tenterà poi di riscattarsi adottando nel corso degli anni più di quaranta bambini ivu’ivuani abbandonati dai genitori ormai dediti all’alcool.
Il libro comincia con la prefazione dell'amico che invita Perina a scrivere le sue memorie, approfittando del periodo di sosta forzata (non voglio svelare troppo), convinto che chi abbia avuto una vita tanto straordinaria, dedita alla scienza, non possa essere accusato di alcunché.

Anche se alcuni temi antropologici sono davvero interessanti e attraggono, come la ricerca antropologica, la freddezza della ricerca scientifica e dei suoi risultati, l'arroganza occidentale nei confronti dei paesi incontaminati considerati inferiori, la complessità a volte sconvolgente e stratificata della natura umana, il romanzo è respingente, talvolta sgradevole. Crudo, disturbante. Come il suo protagonista Norton Perina, che non suscita empatia, ma una sensazione di gelo per la sua arroganza.


«Era cruciale, a questo punto, convincere Tallent a lasciarmi portare alcuni dei sognatori fuori dall’isola, e con mia sorpresa acconsentì senza troppe discussioni. Naturalmente mi fece una lezioncina, anche lunghetta, sui pericoli di rimuovere dei nativi dal loro contesto, e su quanto fosse improbabile che riuscissero mai a reintegrarsi nella loro società al ritorno, ma i suoi argomenti sembrarono un po’ fiacchi, per non dire assurdi. Se non mi sbagliavo, presto quelle persone non avrebbero più avuto alcuna contezza del loro contesto in ogni caso, e la loro società li aveva già rifiutati, allora perché non prelevarli?»

«Ma ora ci ripensai. Come un animale. E la mia indignazione, sebbene non meno reale, spostò il suo oggetto, dalle circostanze in cui mi trovavo a me stesso. L’avrei dovuto lasciare lì. Non spettava a me salvare qualcosa che non voleva nessuno».

“Ho fatto quello che avrebbe fatto qualunque scienziato. E se dovessi – pur sapendo cosa sarebbe stato di Ivu’ivu e della sua gente – probabilmente lo rifarei. Be’, non è del tutto vero: lo rifarei – senza il probabilmente. Non ci dovrei pensare un secondo.”
 
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